Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27038 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27038 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI REGGIO
CALABRIA
nei confronti di:
NOME nato a REGGIO CALABRIA il 14/09/1982
avverso l’ordinanza del 20/03/2025 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Reggio Calabria, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari reali, con ordinanza in data 20 marzo 2025, accoglieva l’istanza avanzata nell’interesse di NOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. dello stesso tribunale il 13-2-2025 e, per l’effetto, annullava il provvedimento impugnato disponendo la restituzione allo stesso indagato di quanto in sequestro. Riteneva il giudice del riesame reale che le attività di indicazione di elementi passivi inesistenti nelle dichiarazioni del modello 730 a firma del Sofio dirette alla Agenzia delle Entrate, configurassero non la contestata ipotesi di truffa aggravata, bensì, il diverso fatto di cui all’art. 4 d. lgs. 74/2000 non punibile per mancata superamento della soglia stabilita dalla stessa norma
(100mila €).
Inoltre, riteneva il tribunale, essere assente anche il periculum in mora in considerazione del limitato importo percepito dal ricorrente e pari ad € 2061,60 a fronte di redditi da lavoro subordinato ben superiori che dovevano escludere la possibilità di dispersione del patrimonio.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria deducendo, con il primo motivo, violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 640 comma 2 cod. pen., 3 e 4 d. lgs. 74/2000 stante che aveva errato il giudice del riesame nell’escludere il fumus dei reati contestati in considerazione delle particolari modalità di consumazione dei fatti; invero, ad avviso del ricorrente, ai fini della qualificazione delle condotte ai sensi dell’art. 640 cod. pen. dovevano evidenziarsi una serie di fatti ulteriori e diversi rispetto alla sola spedizione della falsa dichiarazione, tali da integrare artifici e raggiri tipici della truffa; inoltre, un ulteriore elemento significativo, era integrato dalla indebita consegna di parte del profitto illecito da parte dell’indagato alla struttura associativa ‘che non consente di limitare e perimetrare il fine della condotta alla sola evasione fiscale’. In particolare, quali elementi ulteriori indicativi degli artifici integranti l’ipotesi di truffa aggravata originariamente contestata, il P.M. ricorrente indicava: la creazione di falsi profili di operatori accreditati presso diversi CAF; la creazione di false sedi di CAF; la ripartizione di compiti di procacciamento dei contribuenti compiacenti; la raccolta illecita di dati identificativi, credenziali di accesso e PIN di accesso al cassetto fiscale; la raccolta di dati anagrafici e fiscali, l’inserimento di una mole significativa di dichiarazioni, la fraudolenta indicazione di codici IBAN e coordinate bancarie per l’accreditamento delle somme. Inoltre, la somma illecitamente percepita complessivamente dall’associazione, e di cui avrebbe dovuto tenersi conto ai fini della qualificazione giuridica, era ben superiore alla soglia di punibilità e ciò determinava comunque l’erroneità della pronuncia impugnata.
2.1 Il secondo motiva deduceva mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta insussistenza del periculum in mora ed in particolare del pericolo di dispersione delle somme; al proposito, esponeva il pubblico ministero ricorrente, il tribunale non aveva evidenziato il totale del profitto illecito quantificato dal G.I.P. in oltre 718.000 € per i 125 indagati a cui doveva farsi riferimento; inoltre, trattandosi di sequestro finalizzato alla confisca e non di natura impeditiva, la motivazione adottata dal Tribunale di Reggio doveva ritenersi meramente apparente, in considerazione dell’accertata reiterazione delle condotte da parte degli indagati componenti la struttura associativa senza che la
supposta solvibilità dell’indagato potesse escludere poi la reiterazione di analoghe condotte, come risultante dai rapporti tra i numerosi indagati che venivano ampiamente richiamati attraverso vari atti di indagine.
Con parere ritualmente depositato il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione chiedeva annullarsi con rinvio l’ordinanza impugnata avendo, il tribunale del riesame cautelare reale, errato nella applicazione delle norme sul concorso apparente di norme; ed invero, ad avviso del P.G., la mancanza degli elementi degli artifici e raggiri nel delitto tributario di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000 deve portare ad escludere che tra l’art. 640 cod. pen. ed il citato art. 4 possa esservi rapporto di specialità, atteso che, il ricorso alle modalità fraudolente che caratterizza le modalità della truffa non è elemento costitutivo della condotta tipica del delitto tributario, la quale punisce la mera indicazione di elementi attivi o passivi inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.
Ed invero, il primo motivo non coglie nel segno nella parte in cui lamenta l’errata qualificazione giuridica dei fatti posti in essere dal Sofio, poiché si evidenziano una serie di elementi collegati alla falsità delle dichiarazioni annuali dei redditi modello 730 presentate dall’indagato che non valgono a qualificare la condotta ex art. 640 cod. pen. piuttosto che in quella correttamente individuata dal tribunale e riconducibile all’art. 4 d. lgs. 74/2000, non punibile per il mancato superamento della soglia di punibilità.
Assodato che gli artifici e raggiri erano finalizzati all’indebito ottenimento di rimborsi fiscali non dovuti, va, invero, fatta applicazione dell’interpretazione delle Sezioni Unite secondo cui è configurabile un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (artt. 2 ed 8, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen.), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865 – 01). Orbene, con motivazione che rileva anche in relazione al rapporto tra il delitto di truffa aggravata e la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d. lgs. 74/2000, le Sezioni Unite hanno precisato che:’ La negazione del rapporto di specialità tra
frode fiscale e truffa ai danni dell’Erario, si pone, inoltre, in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 …… il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74 del 2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il “modello del c.d. “reato prodromico”, caratteristico della precedente disciplina di cui al d.l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516 – modello che attestava la linea d’intervento repressivo sulla fase meramente “preparatoria” dell’evasione d’imposta – a favore del recupero alla fattispecie penale tributaria del momento dell’offesa degli interessi dell’erario. Questa strategia – come si legge nella relazione ministeriale – ha portato a focalizzare la risposta punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che “realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell’evasione, negando rilevanza penale autonoma alle violazioni “a monte” della dichiarazione stessa”…Particolare rilievo sistematico assumono altresì le disposizioni normative degli artt. 6 e 9 d.lgs. n. 74 del 2000 sul tentativo e, rispettivamente, sul concorso di persone. La disposizione dell’art. 6 del d.lgs. n. 74 del 2000, escludendo la punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo di cui agli artt. 2, 3 e 4 dello stesso decreto legislativo, “mira – oltre che a stimolare, nell’interesse dell’erario, la resipiscenza del contribuente scoperto nel corso del periodo d’imposta – ad evitare che violazioni “preparatorie”, già autonomamente represse nel vecchio sistema (registrazione in contabilità di fatture per operazioni inesistenti, omesse fatturazioni, sottofatturazioni, ecc.), possano essere ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se , quali atti idonei, preordinati in modo non equivoco ad una falsa dichiarazione”, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato … In altri termini, se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere “anticipata”, ai sensi dell’art. 56 cod. pen., anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d’imposta, non è ovviamente consentita l’utilizzazione strumentale di un’ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio quale la truffa aggravata ai danni dello Stato (eventualmente anche sub specie di tentativo) per alterare, se non stravolgere, il sistema di repressione penale dell’evasione disegnato dalla legge…..’.
Prendendo, poi, espressa posizione sul tema del concorso di reati o del concorso apparente di norme la stessa pronuncia delle Sezioni Unite Giordano (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, cit.) espressamente affermava che:’ In definitiva, qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all’interno
del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa…..Vi è, dunque, una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato (e della Unione Europea)…..Ulteriori interventi di contrasto contro il fenomeno delle frodi fiscali, in particolare contro le c.d. operazioni carosello, sono contenuti nel d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni in legge 22 maggio 2010, n. 73. Proprio queste novelle legislative dimostrano ulteriormente che il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali ‘ .
1.1 L’affermazione della predetta pronuncia risulta pertanto di inequivocabile chiarezza nella misura in cui stabilisce che qualsiasi condotta di frode al fisco trova la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria, senza possi bilità di ‘recupero’ di fatti, peraltro nemmeno costituenti reato per omesso superamento delle soglie di punibilità, nell’alveo delle generali ipotesi di truffa aggravata in danno dello Stato.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, va ribadito anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, fatto meno grave rispetto alle indicate ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, senza invece che sussistano ulteriori profitti diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell’Agenzia delle Entrate.
Pertanto, anche nel rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sussiste l’identica ratio già individuata dalle Sezioni Unite che hanno sottolineato la ‘ generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato ‘ (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, cit.).
Corretta risulta pertanto la qualificazione giuridica effettuata dal tribunale del riesame reale e non paiono fondate al proposito le doglianze dedotte con il ricorso del pubblico ministero.
1.2 Va, peraltro, sottolineato che gli elementi valorizzati dal pubblico ministero ricorrente valgono, quantomeno in larga parte, a sottolineare la natura organizzata e professionale delle attività di falsa rappresentazione dei dati immessi
nelle dichiarazioni ad opera di soggetti professionalmente dediti a tale attività, ma non paiono costituire elementi -comunque irrilevanti ai fini della qualificazione del fattotali da integrare artifici e raggiri posti in essere nell’ambito del rapporto tra privato ed Agenzia delle Entrate, ed idonei a determinare l’ingiusto profitto. L’avvenuta rappresentazione di falsi elementi passivi nelle dichiarazioni modello 730 ha determinato ex se l’attribuzione al Sofio di un non dovuto rimborso, mentre, tutti gli elementi indicati dal ricorso e costituiti: dalle indicazioni di CAF non esistenti, dai falsi profili dei contribuenti, dal procacciamento dei clienti etc. sono elementi che possono concorrere, ove provati, ad attestare l’esistenza di una struttura organizzata associativa, ma non costituiscono elementi in forza dei quali l’Agenzia delle entrate ha erogato il rimborso, che è stato conseguente, invece, alla sola falsa rappresentazione di dati falsi relativi a spese, esposti nelle dichiarazioni mod. 730 del Sofio. Anche sotto tale profilo, pertanto, il ricorso si manifesta non fondato.
Indubbiamente suggestive ma altresì non fondate paiono poi le conclusioni del P.G. presso questa corte di legittimità; esponendo che la fattispecie di cui all’art. 4 d. lgs. 74/2000 non è integrata da condotte fraudolente bensì dalla sola falsa indicazione di elementi attivi o passivi inesistenti e sottolineando, quindi, che il delitto di cui all’art.4 cit. è integrato dal mero mend acio, non può mancarsi di osservare come, il P.G. finisce per ricollegare la condotta tipica della indicazione di oneri passivi inesistenti non alla truffa, bensì, alla più lieve e residuale fattispecie di cui all’art. 316 -ter cod. pen., costituita dalla indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, in questo caso costituite dai rimborsi fiscali, con conseguente impossibilità di accoglimento del ricorso in punto qualificazione giuridica, non sussistendo, comunque, l’ipotesi di cui all’art. 640 secondo comma cod. pen..
Il rigetto del primo motivo, in punto sussistenza del fumus del delitto di truffa aggravata, determina l’assorbimento della doglianza avanzata dal pubblico ministero ricorrente in relazione alla ritenuta insussistenza anche del periculum in mora , peraltro prospettata in relazione ad evidenti profili di vizio di motivazione pur in relazione ad un ricorso in materia di cautela reale che consente doglianze limitate alla sola violazione di legge in cui rientra anche l’ipotesi della motivazione meramente apparente, certamente non rilevabile nelle diffuse ed argomentate considerazioni svolte dal Tribunale di Reggio Calabria.
In conclusione, l ‘ impugnazione deve ritenersi infondata.
Rigetta il ricorso.
Roma, 11 luglio 2025