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Dichiarazione infedele e truffa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito che la presentazione di una dichiarazione dei redditi con dati falsi per ottenere un rimborso non dovuto configura il reato di dichiarazione infedele e non quello di truffa aggravata. Anche in presenza di complesse attività fraudolente, si applica il principio di specialità, secondo cui la norma tributaria prevale su quella comune, a meno che non si ottenga un profitto ulteriore e diverso dal solo vantaggio fiscale. La Corte ha quindi respinto il ricorso della Procura, confermando l’annullamento di un sequestro preventivo.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Dichiarazione Infedele e Truffa: Quando il Reato Tributario Assorbe Quello Comune

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sul delicato confine tra il reato di dichiarazione infedele e truffa aggravata ai danni dello Stato. La decisione chiarisce che, in virtù del principio di specialità, la condotta fraudolenta finalizzata esclusivamente a ottenere un indebito rimborso fiscale rientra nella fattispecie prevista dalla normativa tributaria, anche se supportata da un complesso apparato organizzativo. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Complessa Rete di Falsificazioni

Il caso nasce da un’indagine che aveva portato al sequestro preventivo nei confronti di un contribuente. Secondo l’accusa, l’indagato, agendo nell’ambito di una struttura associativa, aveva presentato una dichiarazione dei redditi (modello 730) indicando elementi passivi inesistenti al fine di ottenere un rimborso fiscale non dovuto.

Il Tribunale del Riesame, in prima battuta, aveva annullato il sequestro, riqualificando il fatto non come truffa aggravata, ma come dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. Poiché l’importo evaso non superava la soglia di punibilità prevista da tale norma, il reato non era configurabile. La Procura della Repubblica ha impugnato questa decisione, sostenendo che la complessità delle condotte fraudolente (creazione di profili falsi di operatori CAF, raccolta illecita di dati, uso di IBAN fittizi) integrasse gli ‘artifici e raggiri’ tipici della truffa.

La Decisione della Cassazione sul rapporto tra dichiarazione infedele e truffa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura, confermando pienamente la decisione del Tribunale del Riesame. Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione del principio di specialità, già sancito dalle Sezioni Unite con la celebre sentenza ‘Giordano’ del 2011.

Il Precedente delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite avevano stabilito che i reati fiscali previsti dal D.Lgs. 74/2000 costituiscono una normativa speciale rispetto al delitto generale di truffa aggravata ai danni dello Stato. Questo significa che qualsiasi condotta fraudolenta, il cui unico scopo sia l’evasione fiscale, trova la sua completa disciplina e sanzione all’interno della normativa tributaria. La legge speciale assorbe interamente il disvalore penale del fatto, impedendo il ricorso alla norma generale.

L’applicazione al caso specifico

La Corte ha esteso questo principio anche al rapporto tra la dichiarazione infedele e truffa. Anche se le attività preparatorie messe in atto dall’indagato e dalla sua organizzazione erano elaborate e ingannevoli, il loro fine ultimo era unicamente quello di presentare una dichiarazione mendace per ottenere un vantaggio fiscale. Non è emerso alcun profitto ulteriore o diverso rispetto al mero rimborso non spettante. Pertanto, l’intera condotta deve essere valutata alla luce della norma tributaria (art. 4, D.Lgs. 74/2000), che punisce proprio l’indicazione di elementi passivi fittizi.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che la riforma dei reati tributari del 2000 ha deliberatamente scelto di spostare il momento della repressione penale alla presentazione della dichiarazione annuale, abbandonando il precedente modello che puniva anche gli atti meramente ‘preparatori’. Le varie attività fraudolente descritte dalla Procura (creazione di falsi CAF, procacciamento di clienti, etc.), pur essendo indicative di un’organizzazione criminale, non sono idonee a trasformare il reato tributario in una truffa. Esse sono strumentali alla falsa dichiarazione e non costituiscono l’elemento che induce in errore l’Agenzia delle Entrate, la quale eroga il rimborso basandosi unicamente su quanto esposto nella dichiarazione stessa. In assenza di un profitto ‘extra-fiscale’, la condotta si esaurisce nel perimetro del reato tributario.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: il sistema sanzionatorio penale-tributario è ‘chiuso e autosufficiente’. Un contribuente che mente nella propria dichiarazione dei redditi per ottenere un rimborso, anche con metodi sofisticati, risponderà del reato di dichiarazione infedele (se le soglie sono superate) e non di truffa. La truffa aggravata potrà essere contestata solo qualora la condotta fraudolenta porti a un vantaggio patrimoniale diverso e ulteriore rispetto alla semplice evasione d’imposta, come ad esempio l’ottenimento di pubbliche erogazioni non fiscali.

Quando una falsa dichiarazione dei redditi integra il reato di truffa aggravata e quando quello di dichiarazione infedele?
Integra il reato di dichiarazione infedele (art. 4, D.Lgs. 74/2000) quando la condotta fraudolenta è finalizzata esclusivamente a un vantaggio fiscale, come un rimborso non dovuto. Si configura invece la truffa aggravata (art. 640 c.p.) solo se dalla condotta deriva un profitto ulteriore e diverso rispetto al solo vantaggio fiscale, come l’ottenimento di altre pubbliche erogazioni.

Le attività fraudolente complesse, come la creazione di falsi CAF, per evadere le tasse sono sufficienti a configurare il reato di truffa?
No. Secondo la sentenza, anche attività fraudolente complesse e organizzate, se finalizzate unicamente a presentare una falsa dichiarazione per ottenere un vantaggio fiscale, non trasformano il reato tributario in truffa. Tali attività sono considerate strumentali alla condotta principale, che rimane quella della dichiarazione infedele.

Cosa stabilisce il principio di specialità nel rapporto tra reati tributari e truffa ai danni dello Stato?
Il principio di specialità stabilisce che la normativa penale tributaria (D.Lgs. 74/2000) è speciale e quindi prevale sulla norma generale che punisce la truffa ai danni dello Stato. Di conseguenza, una condotta che rientra pienamente in una fattispecie di reato tributario deve essere punita solo in base a tale norma, la quale esaurisce tutto il disvalore penale del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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