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Dichiarazione infedele: dolo e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imprenditrice condannata per dichiarazione infedele. La Corte chiarisce che per questo reato non è richiesta una condotta fraudolenta, essendo sufficiente il dolo specifico di evasione, desumibile dall’ingente importo sottratto a tassazione e dalla notevole discrepanza tra i dati dichiarati e quelli di bilancio. Il ricorso è stato respinto anche perché si limitava a riproporre censure già esaminate in appello, chiedendo un riesame dei fatti non consentito in sede di legittimità.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Dichiarazione Infedele: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Ricorso e la Prova del Dolo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema della dichiarazione infedele, un reato tributario disciplinato dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. La decisione è di grande interesse perché ribadisce due principi fondamentali: la natura del dolo specifico richiesto per questo reato e i limiti del sindacato di legittimità, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Analizziamo insieme questa pronuncia per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dalla condanna di un’imprenditrice da parte del Tribunale. In seguito, la Corte d’Appello, pur confermando la responsabilità penale per il reato di dichiarazione infedele, aveva parzialmente riformato la sentenza, concedendo all’imputata il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

Non soddisfatta, l’imprenditrice ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo l’assenza di una condotta artificiosa o fraudolenta e, di conseguenza, la mancanza del dolo di evasione. A suo dire, la corretta indicazione del reddito d’impresa nel bilancio di esercizio avrebbe dovuto essere valutata come un elemento a suo favore, in grado di escludere l’intento illecito. La sua difesa si basava sull’idea che mancasse la prova del profilo psicologico del reato.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Dichiarazione Infedele

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una duplice argomentazione. In primo luogo, il ricorso si limitava a riproporre le medesime censure già avanzate e respinte dalla Corte d’Appello. Questo atteggiamento processuale mira, secondo i giudici, a ottenere una nuova e non consentita rilettura delle prove già esaminate dai giudici di merito, sollecitando una valutazione dei fatti che è preclusa alla Corte di legittimità.

In secondo luogo, la Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello del tutto congrua, logica e fondata su oggettive risultanze processuali, e come tale non censurabile in sede di cassazione.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella chiara distinzione che la Corte opera tra il reato di dichiarazione infedele (art. 4) e altri reati tributari più gravi, come quelli previsti dagli articoli 2 e 3 dello stesso decreto. I giudici hanno sottolineato un punto cruciale: il profilo della ‘fraudolenza’ non è un elemento costitutivo del reato contestato. L’art. 4, infatti, sanziona unicamente la presentazione di una dichiarazione non veritiera, quando l’imposta evasa supera determinate soglie di punibilità, a prescindere dall’uso di particolari artifici.

Sulla base di questa premessa, la Corte ha confermato la sussistenza del dolo specifico, ovvero la finalità di evadere le imposte. Questo elemento soggettivo è stato desunto da dati oggettivi e inconfutabili emersi nel processo:

1. La notevole incidenza degli elementi attivi sottratti a tassazione.
2. L’alta percentuale di tale evasione rispetto all’attivo dichiarato.
3. Il conseguente e cospicuo risparmio fiscale ottenuto illecitamente.

Inoltre, la Corte ha evidenziato come l’imputata non avesse fornito alcun elemento, nemmeno una semplice allegazione, per giustificare la palese discrepanza tra il giro d’affari dichiarato ai fini IVA e le risultanze del bilancio aziendale.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. La prima è di natura sostanziale: per la configurabilità del reato di dichiarazione infedele, non è necessario che l’Agenzia delle Entrate provi l’esistenza di complessi schemi fraudolenti. Il dolo specifico di evasione può essere validamente provato attraverso elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, come la manifesta e ingiustificata sproporzione tra il reddito dichiarato e la reale situazione economica dell’impresa. La seconda lezione è di carattere processuale: il ricorso per cassazione non può essere utilizzato come un appello-bis per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti. Se la motivazione della sentenza impugnata è logica e coerente, il tentativo di sollecitare una nuova valutazione delle prove si scontrerà inevitabilmente con una declaratoria di inammissibilità.

Per il reato di dichiarazione infedele è necessaria una condotta fraudolenta?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che il profilo della fraudolenza non è un elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000, a differenza di altri reati tributari più gravi. È sufficiente la presentazione di una dichiarazione non veritiera che superi le soglie di punibilità.

Come viene provato il dolo specifico di evasione in caso di dichiarazione infedele?
Secondo la sentenza, il dolo specifico di evasione può essere desunto da elementi oggettivi, quali la notevole incidenza degli importi sottratti a tassazione, l’alta percentuale di evasione rispetto a quanto dichiarato e il conseguente considerevole risparmio fiscale, in assenza di giustificazioni fornite dall’imputato.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, il ricorso alla Corte di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Non è possibile chiedere una nuova valutazione delle prove o una rilettura dei fatti già esaminati dai giudici dei gradi precedenti. Un ricorso che si limita a riproporre le stesse censure fattuali viene dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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