Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32593 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32593 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Cernusco sul Naviglio (Mi) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 6766 della Corte di appello di Milano del 20 dicembre 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
letta, altresì. la memoria redatta nell’interesse della ricorrente dalle AVV_NOTAIO.sse NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambe del foro di Milano, con la quale si è insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano ha, con sentenza pronunziata in data 20 dicembre 2024, integralmente confermato la precedente decisione con la quale, in data 19 febbraio 2024, il Tribunale di Milano aveva dichiarato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al reato a lei addebitato – avente ad oggetto la ripetuta violazione, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, dell’art. 4 del dIgs,n. 74 del 2000, per avere la medesima, al fine di evadere le imposte, indicato nelle dichiarazioni fiscali relative all’imposta sul valore aggiunto riguardanti gli anni 2015 e 2016 elementi passivi di reddito aventi ad oggetto costi inesistenti, conseguendo, in tale modo / un profitto determinato, quanto all’anno di imposta 2015, in euri 8.154,00 e, quanto all’anno di imposta 2016, in euri 8.078,00 e la aveva, pertanto, condannata alla pena ritenuta di giustizia.
Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione, a ministero dei propri difensori fiduciari, la imputata, affidando le proprie censure a 4 motivi di impugnazione.
Il primo motivo ha ad oggetto la violazione di legge per essere stata accertata la violazione della normativa di cui al capo di imputazione attraverso lo strumento del cosiddetto “spesometro”, cioè ad uno strumento di accertamento avente un carattere presuntivo; ha puntualizzata la ricorrente come i dati giurisprudenziali indicati nella sentenza impugnata a sostegno della correttezza dell’accertamento sono non pertinenti in quanto tutti riferiti al diverso reato di omessa dichiarazione fiscale e non a quello, attualmente a lei contestato, di dichiarazione infedele.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 39, commi 1, lettera d), e 2, del dPR n. 600 del 1973, nella parte in cui in esso si affermerebbe che le pretese tributarie possono essere fondate su presunzioni semplici, attraverso un ragionamento razionale e coerente, laddove la disposizione consente l’accertamento di un fatto solo nel caso in cui le presunzioni siano gravi, precise e concordanti; ad avviso della ricorrente in tale modo il giudice avrebbe sostituito ai requisiti della gravità, precisione e oka.concordanza GLYPH quello v mera GLYPH razionalità GLYPH ampliando GLYPH i GLYPH presupposti dell’accertamento fiscale.
Il successivo terzo motivo di impugnazione concerne il vizio di motivazione, in particolare la sua contraddittorietà, per essere contenute nella sentenza impugnata due affermazioni fra loro non conciliabili avente ad
oggetto, rispettivamente, la legittimità del ricorso al metodo induttivo di accertamento del reddito nella ipotesi in cui il contribuente non abbia presentato la dichiarazione dei redditi ovvero nel caso in cui egli detenga le scritture contabili imposte dalla legge in maniera irregolare, senza poi, peraltro, chiarire quale delle due indicate ipotesi sia quella che, in relazione alla posizione della COGNOME iha giustificato il ricorso al metodo induttivo di accertamento.
Infine /con il quarto motivo dì ricorso / la difesa della ricorrente sì è doluta della mancanza di motivazione in punto di esclusione del beneficio delle circostanze attenuanti generiche.
In data 20 maggio 2025 la congiunta difesa della ricorrente ha depositato una memoria in cui ha, sinteticamente, insistito per l’accoglimento dei motivi di impugnazione precedentemente proposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è risultato inammissibile e, pertanto, come tale lo stesso deve essere ora dichiarato.
Manifestamente infondato è, infatti, il primo motivo di ricorso; sostiene, infatti, la parte ricorrente che i giudici del merito abbiano fatto cattivo governo della stessa norma precettiva in ipotesi violata per avere gli stessi ritenuto che l’avvenuta evasione della imposta e l’ammontare di essa possa essere desunta attraverso lo strumento del cosiddetto “spesonnetro”; tale mezzo di accertamento, infatti, sarebbe utilizzabile in relazione al reato di cui all’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000, il quale sanziona penalmente, ove sia risultato che l’ammontare della imposta evasa era superiore alla soglia di punibilità prevista dal legislatore, l’eventualità della omessa dichiarazione fiscale, ma non anche nel caso, concretamente oggetto di contestazione a carico della imputata, di violazione dell’art. 4 del citato dlgs n. 74 del 2000, cioè, sempre premesso il superamento della soglia di punibilità, l’ipotesi di infedele compilazione della dichiarazione fiscale.
L’assunto da cui prende le mosse la censura è, però, erroneo.
Infatti, anche a non volere richiamare un, peraltro mai smentito precedente giurisprudenziale secondo il quale In tema di reati tributari, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa,
nonché ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando le scritture contabili imposte dalla legge siano state irregolarmente tenute (Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 febbraio 2008, n. 5786, rv 238825), si’ osserva che lo strumento nell’occasione adottato, cioè il cosiddetto “spesometro”, consente la determinazione del reddito imponibile di un soggetto che debba regolarmente provvedere alla tenuta di scritture e documenti contabili comprovanti i suoi flussi, attivi e passivi, di reddito, sulla base della documentazione, da lui emessa ovvero a lui indirizzata, conservata dai soggetti che con codesto soggetto siano venuti in affari.
In tale caso, pertanto, non di vero e proprio accertamento induttivo si tratta ma di accertamento documentale, fondato su specifici dati contabili, la cui concludenza e veridicità è compito del contribuente imputato contestare; cosa chefnel caso in esame /non risulta essere avvenuto
La chiara infondatezza del primo motivo di impugnazione permette il congiunto esame dei successivi due motivi di impugnazione e giustifica l’affermazione della inammissibilità dei medesimi; in relazione al primo di essi, osserva il Collegio che il carattere non meramente presuntivo dell’accertamento operato ma il suo fondamento documentale, rende ultronee la doglianze in ordine alla insussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (peraltro riferibili non al concetto di presunzione ma, semmai, a quello di indizio, cioè di elemento dimostrativo della esistenza di un dato fatto sulla base del quale, sulla base di un criterio di logica inferenza, desumere un altro fatto ignoto), che caratterizzebbe il criterio adottato per l’accertamento dell’omissione tributaria che è alla base della imputazione contestata alla La COGNOME, mentre per ciò che attiene al secondo aspetto denunziato, cioè la contraddìttorietà della motivazione della sentenza impugnata, essa sarebbe riscontrabile ove la metodica di verifica fiscale adottata nell’occasione fosse ammissibile solo in una delle due ipotesi prospettate dalla ricorrente (cioè, alternativamente, omessa dichiarazione ovvero irregolare tenuta della scritture contabili) ma non allorché essa sia consentita in entrambi i casi astrattamente prospettati e quindi anche nel caso concretamente a lei contestato, relativo non alla omessa dichiarazione ma alla dichiarazione infedele a cagione della irregolare tenuta delle scritture contabili.
Infine in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, rileva il Collegio che, a fronte di una coerente motivazione contenuta nella sentenza impugnata, concernente la mancata allegazione in sede di gravame di ragioni che le avrebbero potute giustificare, la ricorrente si è limitata, in
contrasto con i condivisi orientamenti giurisprudenziali, a sostenere che sarebbe stato onere del giudicante evidenziare le ragioni per le quali esse non sono state riconosciute, trascurando in tale modo di rilevare che, stante la natura devolutiva del giudizio di gravame, in assenza di una motivata contestazione della motivazione della sentenza di primo grado, non vi è onere da parte della Corte di appello di ulteriormente giustificare la esclusione del beneficio già disposta dal giudice di primo grado (cfr.: Corte di cassazione, Sezione I penale, 13 settembre 2021, n. 33951, rv 281999).
Il ricorso deve, in definitiva, essere dichiarato, per le ragioni sopra esposte, inammissibile e la ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2025
Il AVV_NOTAIO estensore
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Il Pres ente