Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6307 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6307 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato in Albania il 14/05/1979
avverso la sentenza del 10/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile e dell’avv.to NOME COGNOME difensore di COGNOME, che ne ha chiesto l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10/6/2024, la Corte d’appello di Milano confermò la sentenza in data 17/7/2023 del Tribunale di Milano, che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000, per aver inserit nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2014, elementi passivi inesistenti ai fini IRES pari a C 885.636,00, con un’imposta evasa pari a C 243.550,00, e ai fini IVA pari ad C 1.255.950,00, con un’imposta evasa pari a C 281.668,00.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato che, co il primo motivo, denuncia la violazione dell’art. 4 d. Igs. 74/2000 e del cod. pen. con “riferimento alla successione delle leggi penali nel tempo all delle modifiche di cui al d.l.vo 158/15” prospettando l’irrilevanza penale condotte contestate nonché il vizio di motivazione in relazione al medes profilo.
Si assume, in estrema sintesi, che l’indicazione nella dichiarazione di ele passivi inesistenti in data anteriore all’intervento normativo del 20 penalmente irrilevante risultando punito solo l’inserimento in dichiarazio costi fittizi. Si assume che tale risultato interpretativo trovava riscon previsione dell’art. 1 lett. a) e nell’art. 10 quater del d.lgs. 74/2000.
Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 4 d.lgs. 74/ con riferimento alla determinazione dell’imposta evasa e al superannento de soglia di punibilità e il deficit di motivazione in relazione alla ritenuta su dell’accertamento mediante lo “spesometro”.
Si assume che la società, nell’anno d’imposta cui si riferisce la dichiar aveva otto dipendenti e aveva generato elementi attivi pari a C 1456.126,00 cui non poteva ritenersi verosimile che i costi, esclusi quelli per i dip potessero essere pari a soli C 93.631,00, come risultante dallo spesom applicato nell’accertamento induttivo che aveva determinato l’avvio procedimento penale. Si aggiunge che l’onere del superamento della soglia punibilità gravava sull’accusa e non poteva essere addossato alla difesa, erroneamente aveva fatto la Corte territoriale.
Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 4 d.lgs. 74/200 vizio di motivazione in relazione alla prova del dolo specifico richiesto norma incriminatrice.
Si assume che l’atto di appello aveva individuato tutta una serie di contrari all’ipotesi accusatoria e segnalato come l’imputato, al mom dell’accertamento, non fosse più il legale rapp.te della società per cui non la possibilità di accedere alla documentazione contabile ma tali argomenti erano stati adeguatamente valutati dalla Corte territoriale la quale, nono avesse anche ipotizzato che l’imputato potesse aver sottoscritto la dichiara da altri presentata, aveva ugualmente ritenuto integrato il delitto per dell’inesistenza dei costi e della sottoscrizione della dichiarazione.
Con il quarto motivo, si denuncia la violazione dell’art. 62 bis cod. pe deficit motivazionale in relazione al diniego delle attenuanti generiche. Si a che il gravame aveva segnalato plurimi elementi a favore dell’imputato ai fin riconoscimento delle attenuanti generiche ma la Corte territoriale non li valutati dando importanza alla sola entità dell’imposta evasa, cui, quindi,
data una duplice rilevanza, dapprima per determinare la pena, quindi per neg le attenuanti generiche. Si, precisa, ancora, che nessun rilievo poteva assegnato alla condotta processuale dell’imputato, risultando la decisione d comparire in giudizio espressione di una facoltà riconosciuta dal codice di rit
Con il quinto motivo, si denuncia la violazione dell’art. 133 cod. pen vizio di motivazione in relazione alla dosimetria rilevando che la Corte terri non aveva preso in considerazione gli elementi dedotti con uno specifico moti di appello, incentrato sulle “modalità della condotta, sulla limitata inten dolo, sulle peculiari modalità di accertamento” limitandosi a valorizzare l’entità dell’imposta evasa. Si aggiunge che la Corte d’appello, a differe Tribunale, che aveva valorizzato ai fini della dosimetria l’intensità del dolo ritenuto che l’imputato potesse essersi limitato a sottoscrivere la dichia da altri elaborata, così tratteggiando un “atteggiamento assai prossimo colpa” che non giustificava la conferma della pena irrogata dal Tribunale.
Con ultimo motivo, si denuncia la violazione di legge e il def motivazionale in relazione alla confisca. Si assume che non essendo s correttamente determinati i costi sopportati dalla società non è pos determinare neppure l’imposta evasa cui parametrare la confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato in motivi manifestame infondati o non dedotti con il gravame.
In relazione alla rilevanza penale della condotta contestata, il ri ermeneutico cui perviene il difensore, prospettante la non punibilità, prima riforma del d.lgs. 158/2015, dell’esposizione in dichiarazione di elementi p inesistenti, si pone in palese contrasto:
con il costante orientamento di legittimità di cui costituiscono espressi sentenze richiamate in ricorso, che hanno ritenuto che sussista una conti normativa ai fini dell’integrazione della dichiarazione infedele fra la pre disciplina e quella introdotta dal d.lgs. 158/2015 in relazione all’esposiz elementi negativi di reddito non esistenti in rerum natura ( Sez. 3, n. 306 22/03/2017, COGNOME, Rv. 270295 – 01; Sez. 3, n, 55485 del 16/10/201 Puglisi);
con la ratio della novella del 2015 che la relazione illustrativa allo sch d.lgs. 24/9/2015 n. 158 individua nell’esigenza di superare “l’attuale descr del fatto incriminato- la quale, per un verso, prescinde da comportam fraudolenti e, per altro verso, rende penalmente rilevanti non solo le ome mendaci indicazioni di dati oggettivi ma anche l’effettuazione di valuta
11 h GLYPH
i
giuridico tributarie difformi da quelle corrette, il “rischio penal a carico del contribuente, correlato agli ampi margini di opinabilità e di incertezza che connotano i risultati di dette valutazioni”, rendendo così palese la volontà del legislatore di espungere dall’ambito di applicazione della norma i costi che siano stato effettivamente sostenuti dal contribuente e portati in deduzione in dichiarazione, anche se ritenuti indeducibili ai fini fiscali, e non gi di rendere non punibile l’indicazione di costi mai sostenuti, come l’interpretazione proposta in ricorso postulerebbe;
con gli arresti giurisprudenziali formatisi sotto la vigenza della disposizione antecedente alla riforma del 2015, che ritenevano fittizio il costo che non fosse stato effettivamente sostenuto in rerum natura dal contribuente, divergendo solo sulla rilevanza, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 4 d.lgs. 74/200 quelli che, seppur sostenuti realmente dal contribuente, risultavano indeducibili secondo la normativa tributaria, e con le linee guida seguite dagli organi accertatori ( si pensi alla Circolare del 14.4.2000 del Comando Generale della Guardia di Finanza che aveva individuato «in via interpretativa» quali elementi passivi fittizi tutte le «componenti negative “non vere”, “non inerenti”, “non spettanti”, o “insussistenti nella realtà”, che risultassero dichiarate in misur superiore a quella effettivamente sostenuta o a quella ammissibile in detrazione»).
Non può, infine, essere sottaciuta l’illogicità del risultato ermeneutico cu perviene il ricorrente che riconduce nel perimetro di rilevanza penale della condotta di dichiarazione infedele i soli elementi negativi di reddito che comunque avevano avuto una manifestazione naturalistica per escluderne le condotte di falso ideologico prospettanti costi inesistenti che, come osservato dalla miglior dottrina, “assumono un più elevato disvalore a fronte della tutela del bene giuridico della trasparenza e dell’effettività della posizione del contribuente, oltre che del gettito erariale”.
Manifestamente infondato in quanto riprende pedissequamente il relativo motivo di gravame senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata risulta la censura relativa alla determinazione dell’imposta evasa.
La Corte territoriale ha correttamente rilevato che l’ufficio fiscale aveva già scorporato gli oneri da lavoro dipendente e gli “oneri ricavati con lo strumento dello spesometro che…riporta i dati reali delle fatture emesse nonché di quelle ricevute e registrate” e che a tali valutazioni la difesa non ha opposto neppure un “inizio di prova”.
E, in effetti, non risulta che nel corso del processo la difesa abbia fornito dat specifici in grado di dimostrare costi effettivi, anche se non documentati, che invalidassero le conclusioni cui è pervenuto l’ufficio fiscale.
i-
GLYPH
Anche il ricorso costituisce espressione della medesima strategia difensiva non adducendo elementi, afferenti i costi sostenuti, in grado di intaccare il costrutto argomentativo posto alla base del provvedimento impugnato.
Il motivo è, quindi, inammissibile in quanto fondato su argomenti non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, COGNOME, Rv. 253849).
Anche il terzo motivo d’impugnazione è inammissibile, perché basato su doglianze formulate in modo non specifico.
La Corte territoriale ha desunto il dolo richiesto dalla norma incriminatrice valorizzando l’entità dei costi inesistenti dichiarati, l’insussistenza documentazione idonee a comprovarli nonché l’assenza di elementi che potessero far ritenere che COGNOME fosse stato ingannato da dati errati da altri forniti.
Il processo inferenziale che, da tali premesse, perviene alla conclusione che l’imputato era consapevole dell’inesistenza dei costi inseriti nella dichiarazione e della finalità cui il falso ideologico era finalizzato o che, comunque, ne accettò i rischio, non presenta evidenti discrasie sul piano logico, tanto meno manifeste, né si discosta dagli approdi interpretativi cui questa Corte è pervenuta in relazione alle norme richiamate nell’intestazione del motivo.
Questa Corte ha precisato, sia pure in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 d.lgs. n. 74 del 2000), ma l’argomento di attaglia anche al reato di dichiarazione infedele, che il delitto non è incompatibile con il dolo eventuale “perché il fatto che sia costituito da una finalità (evasiva) ulteriore rispetto quella diretta alla realizzazione dell’evento tipico (presentazione della dichiarazione fraudolenta) non esclude affatto, ma anzi presuppone, che il dolo richiesto per detta realizzazione sia invece quello generico, comprensivo, quindi, anche del dolo eventuale, ravvisabile appunto nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione materialmente posta in essere abbia ad oggetto fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e, quindi, che detta azione sia finalizzata ad evadere le imposte dirette o l’Iva (Sez. 3, n. 52411 del 19/6/2018, Bet; conf. Sez. 3, n. 37131 del 4/7/2024, COGNOME).
Nel caso di specie, milita contro l’ipotesi difensiva, prospettante l’affidamento a terzi, la notevole discrasia fra quanto dichiarato come elementi passivi e quanto accertato, in quanto l’abbattimento dell’imponibile derivato dai costi inesistenti era così significativo che già le imposte liquidate li rendeva palesi (cfr
Sez. 3, n. 55485 del 16/10/2018, COGNOME, che valorizza, ai fini della prova dell’elemento soggettivo proprio la predetta discrasia).
Né la tenuta logica della motivazione è scalfita dalle censure difensive, peraltro, imperniate, ancora una volta, su un’ipotesi ricostruttiva, ossia la scissione all’interno dell’organizzazione della società fra amministratore di diritto e “l’amministratore della gestione”, che non trova riscontro alcuno nelle risultanze probatorie richiamate nelle sentenze di merito e che neppure la sentenza impugnata accredita, avendo la Corte territoriale solamente ipotizzato che la dichiarazione potesse essere stata redatta “da qualche ufficio interno o esterno”.
Per il resto, il motivo si esaurisce nell’allegazione di una serie di dati, la c fonte non è neppure rivelata, privi della capacità di incidere sul processo inferenziale sviluppato nella sentenza impugnata in ordine all’elemento soggettivo.
Manifestamente infondato risulta anche il quarto motivo d’impugnazione.
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020 Ud. (dep. 12/08/2020 ) Rv. 279549 – 02).
Nel caso di specie, l’entità dell’imposta evasa e l’assenza di segni di resipiscenza, valorizzati dalla Corte territoriale per giustificare il diniego de attenuanti generiche, costituiscono elementi che sottraggono la motivazione alle censure difensive.
Va, anche, precisato che ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere tenuto in considerazione sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comport lesione del principio del “ne bis in idem” (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904-03; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425) e detto principio è stato affermato anche con riguardo al criterio della gravità della condotta (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi e aa., Rv. 264378).
Non è incorsa, pertanto, in alcuna violazione di legge o vizio motivazionale la sentenza di appello nel valutare la gravità del reato dapprima ai fini della dosimetria e poi per escludere le attenuanti generiche.
Il motivo di ricorso relativo alla confisca, infine, è inammissibile in quant relativo ad una doglianza che non risulta proposta in sede di gravame, risultando
il motivo di appello incentrato sull’applicabilità della misura a con antecedenti l’entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, tanto è vero che sentenza impugnata non se ne fa alcuna menzione e il ricorrente non denuncia con riferimento alla confisca l’omessa motivazione.
Giova ricordare che “in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni n prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilev ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necess evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della senten di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal contro della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame.” (Cas Sez. 4, sent. n. 10611 del 04/12/2012, dep. 07/03/2013, Rv. 256631).
Va, peraltro, aggiunto che la doglianza, per quanto innanzi esposto, ris anche manifestamente infondata, non risultano adotti elementi in grado incidere sulla determinazione del risparmio fiscale operata dai giudici di merit
Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che, considerati i profili di inammissibilità, si stima equo determinare in euro trem
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 19/12/2024