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Dichiarazione infedele: Cassazione su costi inesistenti

Un imprenditore è stato condannato per dichiarazione infedele per aver inserito costi inesistenti per oltre 2 milioni di euro, evadendo più di 500.000 euro tra IRES e IVA. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando che tale condotta era reato anche prima della riforma del 2015 e che l’enorme entità della frode dimostra il dolo.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Dichiarazione infedele: costi inesistenti sono reato anche prima del 2015

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito principi fondamentali in materia di reati tributari, in particolare sul delitto di dichiarazione infedele. Il caso riguarda un imprenditore condannato per aver inserito costi fittizi nella dichiarazione fiscale del 2014 al fine di abbattere l’imponibile e evadere le imposte. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sulla continuità normativa della fattispecie e sulla prova dell’elemento psicologico del reato.

I Fatti: la Condanna per Dichiarazione Infedele

Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, avevano condannato l’amministratore di una società per il reato previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver presentato una dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2014 indicando elementi passivi inesistenti per un importo di oltre 885.000 euro ai fini IRES e di oltre 1.255.000 euro ai fini IVA. Questa operazione aveva portato a un’evasione fiscale complessiva di oltre 525.000 euro.

L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a diversi motivi volti a smontare l’impianto accusatorio.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imprenditore si basava su sei argomentazioni principali:

1. Irrilevanza penale: Si sosteneva che, prima della riforma del 2015 (D.Lgs. 158/15), l’indicazione di elementi passivi inesistenti non costituisse reato, ma solo quella di costi fittizi.
2. Determinazione dell’imposta: Si contestava il superamento della soglia di punibilità, mettendo in dubbio la sufficienza delle prove basate sullo “spesometro”.
3. Mancanza del dolo specifico: L’imputato asseriva di non aver agito con la specifica intenzione di evadere, ipotizzando di aver semplicemente firmato una dichiarazione redatta da terzi.
4. Diniego delle attenuanti generiche: Si criticava la decisione dei giudici di merito di non concedere le attenuanti generiche.
5. Dosimetria della pena: Si lamentava che la pena fosse stata calcolata basandosi unicamente sull’entità dell’imposta evasa.
6. Confisca: Si contestava la misura della confisca, ritenuta non correttamente determinata.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. Le motivazioni della Corte sono un compendio di diritto penale tributario.

Continuità Normativa e la Rilevanza della Dichiarazione Infedele

Sul primo e più rilevante motivo, la Corte ha smontato la tesi difensiva, affermando che esiste una piena continuità normativa tra la disciplina previgente e quella introdotta dalla riforma del 2015. L’indicazione di costi mai sostenuti è sempre stata penalmente rilevante. La riforma del 2015 ha avuto lo scopo di escludere dalla punibilità solo i costi effettivamente sostenuti ma fiscalmente non deducibili per altre ragioni, non certo di legalizzare l’inserimento di passività del tutto inventate. Dichiarare costi inesistenti, come osservato dalla Corte, rappresenta un disvalore maggiore rispetto alla semplice infedeltà valutativa.

La Prova del Dolo nell’Evasione Fiscale

Anche la censura sulla mancanza di dolo è stata ritenuta infondata. I giudici hanno sottolineato come l’intento di evadere sia stato logicamente desunto da elementi oggettivi inequivocabili: l’enorme entità dei costi fittizi dichiarati, l’assenza totale di documentazione a supporto e la notevole discrepanza tra il dichiarato e l’accertato. Secondo la Corte, un abbattimento dell’imponibile così significativo non poteva che essere il risultato di una scelta consapevole. Viene inoltre ribadito che il delitto è compatibile anche con il dolo eventuale: l’imprenditore, firmando la dichiarazione, ha quantomeno accettato il rischio che i dati in essa contenuti fossero falsi e finalizzati all’evasione.

La Valutazione degli Elementi per la Pena e le Attenuanti

La Corte ha confermato la correttezza del diniego delle attenuanti generiche, giustificato dall’elevata entità dell’imposta evasa e dall’assenza di segni di resipiscenza. Ha inoltre precisato un principio importante: uno stesso elemento, come la gravità del fatto, può essere legittimamente utilizzato sia per determinare la pena base (dosimetria) sia per negare le attenuanti, senza che ciò violi il principio del “ne bis in idem”.

Inammissibilità dei Motivi Generici o Nuovi

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibili gli altri motivi perché generici, ripetitivi di argomentazioni già respinte in appello o, come nel caso della confisca, perché proposti per la prima volta in sede di legittimità, in violazione delle regole processuali.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione della Cassazione rafforza alcuni punti fermi nella lotta all’evasione fiscale. In primo luogo, certifica che l’indicazione di costi “fantasma” in dichiarazione è una condotta grave, da sempre considerata reato. In secondo luogo, chiarisce che di fronte a frodi di vasta portata, la difesa basata sulla mera ignoranza o sull’affidamento a terzi ha scarse possibilità di successo, poiché il dolo può essere provato anche in via indiretta. Infine, la sentenza ricorda l’importanza di articolare compiutamente le proprie difese nei gradi di merito, poiché le porte della Cassazione restano chiuse a questioni nuove o formulate in modo generico.

Inserire costi mai sostenuti in una dichiarazione fiscale era reato anche prima della riforma del 2015?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che esiste una “continuità normativa”, il che significa che la condotta di indicare elementi passivi inesistenti per evadere le imposte costituiva già il reato di dichiarazione infedele (art. 4 del D.Lgs. 74/2000) anche prima delle modifiche introdotte nel 2015.

Come viene provato il dolo (l’intenzione di evadere) in un caso di dichiarazione infedele?
Il dolo può essere desunto da elementi oggettivi e logici. In questo caso, l’enorme entità dei costi inesistenti dichiarati, la totale assenza di documentazione di supporto e la notevole riduzione dell’imponibile sono stati considerati prove sufficienti della consapevolezza e volontà dell’imputato di evadere, o quantomeno della sua accettazione del rischio (dolo eventuale).

È possibile contestare l’importo della confisca per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione?
No. La Corte ha ribadito che, di norma, non possono essere dedotte in Cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello. La contestazione sulla confisca, non essendo stata sollevata nel precedente grado di giudizio, è stata quindi dichiarata inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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