Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25455 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25455 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata in Belgio il 29/04/1972, avverso la sentenza del 12/09/2024 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/05/2022, il Tribunale di Torino condannava NOME COGNOME alla pena di un anno e due mesi di reclusione, in quanto ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000, avendo costei, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE dal 13/03/2013 al 18/10/2016 e firmataria delle relative dichiarazioni, al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, avvalendosi delle fatture per operazioni inesistenti indicate nel capo di incolpazione, indica’ Y nelle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi, applicando le pene accessorie di legge e disponendo confisca dei beni dell’imputata per un valore corrispondente ad euro 165.080,00.
Con sentenza del 12/09/2024, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva l’ammontare della confisca per equivalente ad euro 154.550,00, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, NOME COGNOME tramite i difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, relativamente alla condotta contestata per l’anno di imposta 2014, sulla non utilizzazione della fattura n. 1/2014 emessa da RAGIONE_SOCIALE nelle dichiarazioni ai fini IRES e IVA relative all’anno di imposta 2014, per insussistenza dell’elemento oggettivo.
In sintesi, la difesa lamenta error in iudicando, poiché, per l’anno di imposta 2014, la fattura n. 1/2014 della F.L. s.r.l. non era stata inserita nell dichiarazione ai fini IVA della Europamedia s.r.I., mentre la predetta fattura era stata indicata nel conto fatture da ricevere ai fini della dichiarazione delle imposte dirette.
Conseguentemente, considerata la natura bifasica della condotta del contestato delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, che comprende la fase di registrazione nelle scritture contabili delle fatture per operazioni inesistenti e la successiva presentazione della dichiarazione, che costituisce il momento consumativo del reato, doveva escludersi la perfezione del reato, limitatamente alle dichiarazioni relative all’anno di imposta 2014, non essendo state le fatture indicate nelle relative dichiarazioni fiscali.
Lamenta, pertanto, la difesa l’erronea interpretazione della fattispecie contestata contenuta nella sentenza impugnata nella parte in cui è stato affermato che il risparmio complessivo di imposta nell’anno 2014 è stato traslato
al 2015, con l’annotazione di tali fatture nel maggio 2015, per un maggior risparmio di imposta di 81.380,00 euro, periodo in cui l’imputata era legale rappresentante e periodo peraltro ricompreso nel capo di imputazione, nonché la circostanza che le pronunce di legittimità citate dalla sentenza impugnata a sostegno della propria tesi non sono state reperite dalla difesa, nonostante ricerche anche presso gli uffici della Suprema Corte.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., sui fatti di cui all’imputazione sub a), b) e c) contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata; sulla condotta relativa all’anno di imposta 2016 e sulla qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Innanzitutto, la difesa deduce di aver portato all’attenzione del giudicante dei documenti costituenti prova dell’esistenza di un rapporto tra RAGIONE_SOCIALE e il suo fornitore (RAGIONE_SOCIALE, nonché della effettività delle prestazioni oggetto delle fatture contestate, senza che la Corte di appello avesse correttamente motivato sulle produzioni documentali della difesa, opponendo rilievi sovrapponibili a quelli effettuati in precedenza dall’Agenzia delle Entrate.
In secondo luogo, la difesa deduce che, relativamente alle fatture per operazioni inesistenti emesse nell’anno di imposta 2016 ed utilizzate nella dichiarazione IVA presentata il 22/02/2017, era stata affermata la responsabilità della ricorrente quale amministratrice di fatto, essendo stata legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE sino alla data dell’11/10/2016 (iscrizione 18/10/2016). In particolare, la Corte di merito aveva ritenuto che l’imputata fosse rimasta l’effettiva amministratrice sulla scorta di due elementi di fatto, vale a dire la firma sulla dichiarazione IVA 2016 e le dichiarazioni rese dall’originario coimputato e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE dal 18/10/2016, NOME COGNOME il quale si era affermato estraneo ai fatti di reato.
Lamenta la difesa che l’estraneità del coimputato non prova che la condotta sia ascrivibile all’imputata che il coimputato non accusa; aggiunge la difesa che l’attività istruttoria aveva provato soltanto che l’intermediario, che aveva presentato il 22/02/2017 la dichiarazione IVA per l’anno di imposta 2016, aveva indicato il codice fiscale della ricorrente, ma non anche che quest’ultima avesse firmato la dichiarazione IVA, non avendo gli accertatori materialmente verificato se vi fosse una sottoscrizione della ricorrente sulla predetta dichiarazione. Pertanto, sostiene la difesa che il fatto che l’imputata avesse firmato la dichiarazione IVA è circostanza di fatto non acquisita agli atti del processo e che la presentazione telematica della predetta dichiarazione era stata opera di un terzo intermediario, per cui tale elemento era inidoneo a provare che la ricorrente fosse amministratrice di fatto.
2.3 Con il terzo motivo, la difesa deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., violazione dell’art. 81 cod. pen., per la mancata individuazione del reato più grave e per l’assenza di motivazione sui singoli aumenti di pena.
Lamenta la difesa che il Tribunale non ha individuato il reato più grave, né ha indicato il quantum di ogni singolo aumento per le condotte poste in continuazione, benchè l’imputazione riguardasse tre anni di imposta e menzionasse quattro date di commissione del reato; né la Corte di appello, pur investita in punto di trattamento sanzionatorio e di aumenti da reato continuato, ha aggiunto nulla, confermando la sentenza di primo grado e così incorrendo nel medesimo errore di diritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato con riferimento al primo motivo e alla prima parte del secondo motivo, perché la motivazione della sentenza impugnata è carente ed anche erronea nella parte in cui richiama principi giuridici non affermati da questa Corte di legittimità.
1.1 Occorre, infatti, premettere che l’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede un’unica incriminazione per il soggetto che ponga in essere una dichiarazione fraudolenta, sia che si avvalga di un solo documento, sia che utilizzi una pluralità di fatture o altri documenti, a nulla rilevando che le fatture o gli altri documenti siano diversi; e ciò perché il reato non si perfeziona con la semplice registrazione del documento che sarà poi utilizzato ma con la dichiarazione, riferita a quella specifica intera annualità, e con l’indicazione, nell’ambito della suddetta dichiarazione, di elementi passivi fittizi inseriti nella contabilità.
La registrazione delle fatture rappresenta, infatti, un’attività meramente prodromica alla realizzazione del reato – che si consuma nel momento in cui si presenta una dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o nel momento in cui si registra in contabilità il singolo documento, che sarà poi utilizzato per abbattere i costi -, mentre è irrilevante il numero delle fatture o degli altri documenti utilizzati per abbattere i costi (Sez. 3, n. 626 del 21/11/2008, dep. 2009, Rv. 242343; nello stesso senso, Sez. 3, n. 7027 del 22/10/2024, dep. 2025, COGNOME, n.m.).
Il reato è allora integrato con la presentazione della dichiarazione (Sez. U, n. 27 del 25/10/2000, COGNOME, Rv. 217031), in quanto il legislatore mira a reprimere penalmente le sole condotte direttamente correlate alla lesione degli interessi fiscali, rinunciando invece a perseguire quelle di carattere meramente preparatorio o formale (fatti prodromici alla effettiva lesione del bene giuridico protetto), ritenute irrilevanti, in esse comprese le condotte di acquisizione e
registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi (Sez. 3, n. 37848 del 29/03/2017, COGNOME, Rv. 271044; Sez. 3, n. 52752 del 20/5/2014, Vidi, Rv. 262358; Sez. 2, n. 42111 del 17/09/2010, COGNOME, Rv. 248499; Sez. 1, n. 25483 del 05/03/2009, COGNOME, Rv. 244155).
1.2 Tanto premesso, la Corte territoriale non si è posta in sintonia con gli orientamenti richiamati, facendo riferimenti a principi di legittimità non affermati o a sentenze di questa Corte inesatte nel numero riportato: è, infatti, errato sostenere che il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti si perfezioni al momento dell’inserimento della fattura nella contabilità aziendale ed è invece ambiguo ed incoerente affermare che il momento consumativo del reato coincida con l’annotazione in contabilità e la dichiarazione fiscale, trattandosi di due momenti cronologicamente distinti, rappresentando il primo (annotazione in contabilità) un fatto prodronnico ed il secondo (presentazione della dichiarazione fiscale) il momento consumativo del reato, momento quest’ultimo nel quale deve peraltro sussistere l’elemento soggettivo del reato (Sez. 3, n. 37848 del 29/03/2017, COGNOME, Rv. 271044).
Né risulta in linea con i principi affermati da questa Corte l’affermazione secondo cui l’annotazione tardiva o differita in esercizi successivi non esclude l’utilizzo fraudolento del documento, in quanto l’infrazione fiscale si protrae fino al completamento della frode, dovendo essere ribadito che, solo con la condotta di presentazione della dichiarazione, il reato può considerarsi perfezionato e che, a differenza di quanto, in precedenza, stabiliva l’art. 4 della I. n. 516 del 1982, le condotte pregresse ad essa restano, sul piano penale, irrilevanti e non possono nemmeno dare luogo ad una forma di tentativo punibile, mentre dovranno tenersi distinti i casi in cui vi è progressione nello stesso periodo d’imposta dall’utilizzazione alla dichiarazione, da qualificare ai sensi degli artt. 2 e 3 d.lgs. n. 74 del 2000, dai casi in cui si ha una dichiarazione di elementi passivi fittizi senza contemporaneo utilizzo della falsa rappresentazione nelle scritture contabili e dei mezzi fraudolenti, avvenuto in anni precedenti, da qualificare ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 (Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vidi, Rv. 262358).
In tale contesto, la motivazione della Corte di appello è, dunque, erronea e, comunque, carente perché, a fronte della specifica eccezione difensiva secondo cui la fattura n. 1 del 18/12/2014 non era stata annotata nell’anno di emissione, ma nell’anno successivo, non ha adeguatamente chiarito in quali dichiarazioni fiscali fosse poi confluito l’utilizzo di tale fattura e la coerenza della condotta accertata con la contestazione elevata nel capo di imputazione, dove la data di commissione del reato è riferita alla data di presentazione delle dichiarazioni fiscali comprendente le dichiarazioni presentate nel 2015 (con riferimento
all’anno di imposta 2014), nel 2016 (con riferimento all’anno di imposta 2015) e nel 2017 (con riferimento all’anno di imposta 2016).
Del resto, la mancata precisa differenziazione dei periodi di imposta, con riferimento al raccordo tra fatture utilizzate e dichiarazioni fiscali presentate, impedisce di percepire una chiara comprensione dello sviluppo argomentativo della sentenza impugnata distintamente in relazione ai periodi di imposta contestati.
Il secondo motivo di ricorso è fondato nella parte in cui contesta la qualifica di amministratrice di fatto nella ricorrente per la dichiarazione IVA relativa all’anno di imposta 2016, presentata il 22/02/2017.
Come sopra ricordato, la condotta del reato dichiarativo di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 si dice essere “bifasica”: l’autore, infatti, raccoglie o riceve la documentazione inveritiera e se ne avvale registrandola nelle scritture contabili obbligatorie. Successivamente, presenta la dichiarazione dei redditi o ai fini IVA nella quale è recepita la falsa rappresentazione di cui la documentazione fittizia rappresenta il supporto. Soggetto responsabile è colui che sottoscrive la dichiarazione anche se lo stesso non ha partecipato alla fase antecedente di acquisizione e registrazione delle fatture relative ad operazioni inesistenti; si tratta infatti di reato “proprio”: perché possa dirsi configurato è richiesto che il suo autore si trovi in una particolare posizione soggettiva, giuridica o di fatto, sia titolare cioè dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi o ai fini IVA (Sez. 3, n. 38488 del 14/06/2024, Scintu). E’ quindi da escludersi che la ricorrente possa essere chiamata a rispondere per aver ricoperto la carica formale di legale rappresentante, avendo ricoperto tale funzione sino al 18/10/2016 e non più all’epoca della presentazione della dichiarazione IVA: il 22/02/2017.
Quanto al ruolo di amministratrice di fatto che i giudici di merito ritengono svolto dalla ricorrente, questa Corte ha affermato il principio secondo il quale, in tema di reati tributari, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto” non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipi dell’organo di gestione, ma è necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 264009 – 01); ciò sul rilievo che la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ. postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, “significatività” e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non
episodico od occasionale (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283850; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, COGNOME, Rv. 232456; Sez. 5, n. 22413 del 14/04/2003, COGNOME, Rv. 224948). E stato al riguardo precisato che, ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto”, è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101; Sez. 5, n. 35346 del 2013, cit.).
Ebbene, nel caso di specie, gli elementi in forza dei quali è stata attribuita la qualifica di amministratrice di fatto in capo alla ricorrente non danno contezza della persistenza dell’inserimento organico di costei nella gestione ed organizzazione della società, dal momento che, in disparte le dichiarazioni con le quali il coimputato, che rivestiva la qualifica di legale rappresentante nel momento della presentazione della dichiarazione IVA, si è dichiarato estraneo ai fatti contestati e, più in generale, alla gestione della società, l’elemento ritenuto fondante – la compilazione a nome della ricorrente e la sottoscrizione della dichiarazione IVA – non dimostra in realtà la persistenza dell’attività gestoria in capo alla ricorrente. Non è stato accertato che la dichiarazione riportasse la firma della ricorrente, né che fosse stata quest’ultima a presentare la dichiarazione: diversamente, infatti, la dichiarazione era stata inviata telematicamente dal consulente fiscale e l’inserimento dei dati del precedente amministratore, quale firmatario della dichiarazione – oltre ad essere difforme rispetto alle cariche rivestite all’interno della compagine societaria al momento dell’inoltro della dichiarazione ed a rappresentare quindi una irregolarità formale -, non è, di per sé, indicativo della protrazione dell’attività gestoria non essendo confortato da ulteriori elementi che confermino tale protrazione.
Il terzo motivo di ricorso è assorbito, in conseguenza della natura pregiudiziale dei primi due motivi di cui è stata ritenuta la fondatezza.
In conclusione, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino, che provvederà a riesaminare la
vicenda, colmando le lacune motivazionali ed attenendosi a quanto deciso da questa Corte.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra
Sezione della Corte di appello di Torino.
Così deciso il 21/05/2025