Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6982 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6982 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME Luigi COGNOME nato a Novara il 19-09-1969, avverso la sentenza del 02-02-2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, che ha insistito , chiedendo in particolare l’annullamento con rinvio annullamento senza rinvio udito l ‘ nell’accoglimento del ricorso rispetto all ‘ ultimo motivo di ricorso e, in subordine , l’ della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 marzo 2023, il Tribunale di Milano, riconosciute le attenuanti generiche, condannava NOME COGNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 2 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capo A) e 2621 cod. civ. (capo B), reati ascritti all ‘imputato quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e commessi, rispettivamente, in Milano il 28 febbraio 2017 e il 30 dicembre 2018 (capo A) e in Cerano il 28 aprile 2017 (capo B). Con la medesima pronuncia, venivano altresì disposte la confisca diretta di quanto in sequestro nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e, nei confronti di COGNOME, la confisca per equivalente, fino alla concorrenza della somma complessiva, pari a 229.673,75 euro, dedotto già l’importo di cui alla quietanza del 9 febbrai o 2023.
Con sentenza del 2 febbraio 2024, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concedeva all’imputato il beneficio della non menzione della condanna, confermando nel resto la decisione del Tribunale.
Avverso la sentenza della Corte di appello meneghina, COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi.
Con il primo, la difesa contesta , sotto il duplice profilo dell’inosservanza della legge penale e del vizio di motivazione, la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto a i reati a lui ascritti, osservando che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto raggiunta la prova circa l’inesistenza del progetto sotteso alle odierne imputazioni, senza tenere conto che, come emerso dalle prove acquisite, il progetto esisteva, essendo stato acquisito con regolare contratto dalla società RAGIONE_SOCIALE che ha investito nel progetto circa 800.000 euro comprensivi del prezzo di acquisto, a ciò aggiungendosi che la RAGIONE_SOCIALE, dopo aver acquistato il progetto, vi ha investito ingenti risorse, destinandovi almeno tre dipendenti in modo quasi esclusivo, emergendo dal contratto che il pagamento differito del prezzo era la conseguenza del fatto che la RAGIONE_SOCIALE già doveva investire su un progetto che presentava molti margini di rischio, per cui la possibilità di pagare Mose derivava esclusivamente dal futuro ed eventuale successo che l’operazione poteva avere, prospettiva questa rispetto alla quale Mose non aveva alternative. Quanto alla mancata registrazione della fattura da parte di Mose, si sottolinea che si tratta di una circostanza estranea alla sfera di influenza dell’imputato e che si spiega con il disordine di una società completamente in dis armo, mentre l’accollo di COGNOME verso la RAGIONE_SOCIALE si spiega con la volontà di assumersi in prima persona il rischio rispetto a un’operazione oggettivamente molto incerta.
Con il secondo motivo, si censura il giudizio sulla sussistenza dell’el emento soggettivo, evidenziandosi che i giudici di merito, nell’escludere la buona fede del
ricorrente, hanno omesso di considerare una serie di elementi a lui favorevoli, come la trasparenza dell’affare, la particolarità del progetto, le caratteristiche e la storia personale dei due imprenditori, che si sono sempre occupati di ricerca e sviluppo, e gli investimenti fatti dalla RAGIONE_SOCIALE per far decollare il progetto.
Con il terzo motivo, le critiche difensive investono la qualificazione giuridica del fatto per cui si procede, ribadendosi che l’esistenza del progetto doveva ritenersi acclarata, potendo esserne messo in discussione al più il valore, per cui la condotta in esame avrebbe dovuto essere inquadrata nella fattispecie meno grave di cui all’ art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000, rispetto alla quale sarebbe stato necessario valutare l’eventuale superamento della relativa soglia di punibilità .
Con il quarto motivo, è stata eccepita l’inosservanza degli art. 602 e 523 cod. proc. pen., evidenziandosi che la Corte di appello, nella sentenza impugnata, riporta che il Procuratore generale aveva chiesto, in sede di discussione orale, la conferma della decisione di primo grado, mentre in realtà la richiesta era stata quella di assolvere l’imputato perché il fatto non sussiste, ciò in accoglimento della prospettazione dell’appellante , avendo dunque i giudici di secondo grado omesso di confrontarsi con le argomentazioni sviluppate in aula dal Procuratore generale.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, di cui si censura l’inadeguatezza rispetto sia alla pena principale, sia alla sanzione accessoria dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, osservandosi che le modalità della condotta non possono essere ritenute ‘elaborate’ o ‘ingegnose’, essendosi svolto tutto alla luce del sole e assumendo carattere neutro il ruolo formale del l’imputato di amministratore della società , trattandosi del presupposto per l’attribuzione al medesimo delle condotte illecite .
Il sesto motivo è dedicato alla statuizione della confisca, che non sarebbe corretta né in relazione all’ an , stante l’impe gno assunto dal contribuente attraverso il piano di rateizzazione innestato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, con conseguente applicazione dell’art. 12 bis , comma 2, del d. lgs. n. 74 del 2000, né rispetto al quantum , nel senso che l’importo avrebb e dovuto essere calcolato sulla differenza tra il valore dichiarato del progetto e quello ricostruito come effettivo, non potendosi calcolare l’importo come se il progetto non ci fosse, fermo restando che è comunque in corso di pagamento un piano di rateizzazione.
2.1. Con memoria del 26 settembre 2024, l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia di COGNOME, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, con particolare riferimento al quarto motivo e al sesto motivo; rispetto a qu est’ultimo risultano inoltre depositati il piano di ammortamento e le quietanze delle rate sin qui pagate, documenti questi da cui si evince che risultano corrisposte ad oggi sette rate, per cui dall’importo di 229.673,75 euro oggetto di confisca andrebbero sottratti 92.918,91 euro, corrispondenti all’importo ad oggi pagato dal contribuente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Iniziando dai primi tre motivi, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine a i due reati a lui ascritti ai capi A e B non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
E invero le due conformi sentenze di merito, destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata disamina delle risultanze probatorie acquisite, valorizzando gli esiti della verifica fiscale avviata nel 2018 dagli operanti della Guardia di Finanza di Novara nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Milano e luogo di esercizio a Cerano, in Provincia di Novara, società costituita l’11 giugno 2010 per la fabbricazione di macchine utensili per la formatura di metalli, di cui sin dalla costituzione è stato legale rappresentante NOME COGNOME.
Dai controlli dei finanzieri emergeva in particolare l’annotazione nelle scritture contabili della fattura n. 1/2016, emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE il 30 novembre 2016 e avente ad oggetto la ‘cessione di titoli e diritti su progetto indus triale denominato RAGIONE_SOCIALE‘, fattura sulla scorta del quale la RAGIONE_SOCIALE portava in detrazione, già per l’anno di im posta 2016, il credito Iva di 220.000 euro e ammortizzava il relativo costo di acquisto, pari a 1.000.000 euro a far tempo dall’esercizio 2017 , pur in assenza di elementi volti a determinare il valore economico del progetto. La società emittente la fattura, peraltro, non risulta aver mai contabilizzato tale fattura, seppur di rilevante valore, essendo invero emerso che la RAGIONE_SOCIALE veniva posta in liquidazione il 4 aprile 2017 per essere poi cancellata dal registro delle imprese il successivo 12 ottobre 2017. È stato inoltre acquisito il contratto di accollo stipulato il 5 dicembre 2016 tra la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, in forza del quale quest’ultimo si impegnava a pagare il prezzo pattuito entro il 2025 . Per il relativo pagamento del prezzo, tuttavia, non veniva prevista alcuna garanzia in favore della Mose; inoltre il 27 dicembre 2016 COGNOME rinunciava a una quota del proprio credito così maturato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per l’importo di 899.242,15 euro, non essendo stato tuttavia chiarito il motivo per cui l’imputato abbia deciso di dirott are su di sé l’ingente costo dell’operazione, pur differito di nove anni, per tenere indenne la RAGIONE_SOCIALE che però, oltre ad amministrare, egli deteneva all’80% . È emerso dalle acquisizioni documentali che il debito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE veniva stornato con l’annotazione di un giroconto di 1.220.000 euro sul conto ‘soci conto finanziamento infruttiferi’ e, contestualmente, sul medesimo conto veniva annotata la rinuncia del credito da parte di COGNOME.
Inoltre (e il dato rileva quanto al reato di cui al capo B), in sede di approvazione del bilancio relativo al 2016, la RAGIONE_SOCIALE procedeva all’annotazione del predetto credito quale aumento di capitale sociale, specificando la natura del conferimento, iscritto, rispettivamente, per 550.000 euro nel conto ‘riserva per futuro aumento del capitale sociale’, per 199.242,15 euro nel conto ‘riserva da sopraprez. Az/quote’, e per i restanti 150.000 euro nel conto ‘riserva straordinaria’ .
Orbene, nel disattendere la ricostruzione dell’imputato, secondo cui, sulla base di un suo pregresso rapporto personale e commerciale con NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, egli si era determinato a concludere l’affare al fine di implementare con il progetto RAGIONE_SOCIALE l’utilizzo dei macchinari industriali prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE riducendone il consumo energetici, i giudici di merito (cfr. pag. 5-7 della sentenza di primo grado e pag. 7-11 della decisione impugnata) hanno rim arcato la natura fittizia dell’operazione, valorizzando in tal senso la totale carenza di documentazione idonea a comprovare il valore del progetto RAGIONE_SOCIALE e a giustificare l’assunzione del relativo costo da parte di COGNOME, essendo del tutto inverosimile che tale costo sia stato determinato in base a un accordo verbale tra le parti e in assenza di una preventiva valutazione peritale ex art. 2343 cod. civ.; prive di riscontro documentale sono rimaste inoltre le spese asseritamente affrontate dalla S.I .L.L.E.M. per l’ulteriore potenziamento del progetto industriale , non essendo state incluse le stesse né tra i costi di impiego di personale qualificato, né tra i costi delle materie prime e delle attrezzature necessarie all’attività svolta, mentre del tutto generica e dunque non riferibile al progetto in esame è risultata la voce di bilancio relativa ai ‘costi di ricerca e di sviluppo’ . Del resto, hanno aggiunto i giudici di merito, ad escludere l’effettività economica dell’operazione in esame deponeva anche la mancanza di prove circa le difficoltà economiche che avrebbero impedito lo sviluppo del prototipo, essendo rimaste indimostrate le generiche deduzioni relative sia alla crisi finanziaria ricollegabile alla pandemia da Covid-19, esplosa circa tre anni e mezzo dopo la conclusione della cessione, sia al mancato pagamento di una grossa commessa da parte di un cliente vietnamita, vicenda questa non adeguatamente circostanziata anche dal punto di vista temporale, il che ne ha impedito la correlazione con la paralisi del progetto de quo . Parimenti significativa è poi la circostanza della mancata contabilizzazione della fattura da parte della RAGIONE_SOCIALE, essendo inverosimile la giustificazione del suo amministratore COGNOME di un errore del proprio commercialista, tanto più ove si consideri che si trattava dell’unica fattura emessa nel 2016, peraltro rispetto a un progetto asseritamente fondamentale per l’attività della società , essendo singolare in ogni caso che la Mose abbia accettato di dismettere il suo più importante ed esclusivo asset senza monetizzare nulla per almeno nove anni. Parimenti anomala è peraltro la circostanza che la garanzia del pagamento del prezzo sia stata offerta
da una persona fisica, senza alcuna verifica circa la capienza del suo patrimonio personale, fermo restando che non si spiega la ragione per cui la COGNOME si sia privata di un progetto asseritamente così ricco di prospettive, accettando di non riscuotere alcunché, pur essendo ormai prossima alla liquidazione e alla cancellazione.
Ora, all’esito di un’attenta e razionale rassegna del materiale probatorio, i giudici di merito non hanno negato che il progetto Defkalion finalizzato alla produzione di energia a basso costo sia stato effettivamente concepito e avviato, sia pure sulla base di studi controversi; tuttavia, è stato altresì rimarcato (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) che , quando fu conclusa nell’autunno 2016 la sua cessione alla RAGIONE_SOCIALE, il progetto si era ormai arenato, perché non erano stati raggiunti i risultati sp erati e nel frattempo era calato l’interesse degli investitori, tanto è vero che, anche dopo l’operazione, il progetto non è stato più ripreso , senza che siano state comprovate specifiche ragioni economiche a ciò realmente ostative.
1.1. Alla luce di tali considerazioni, è stata dunque coerentemente affermata la penale responsabilità dell’imputato innanzitutto in ordine al reato ex art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capo A), sottolineandosi al riguardo la volontà fraudolenta sottesa alla registrazione della fattura n. 1/2016, in quanto la stessa è stata sia annotata nel registro iva acquisti per l’anno di imposta 2016, con conseguente detrazione del credito maturato, sia riportata nel libro giornale e iscritta nel bilancio sotto la voce ‘immobilizzazioni materiali’ come ‘acquisto know how’, con ammortamento del relativo importo, dall’esercizio 2017, per un valore pari a 100.000 euro annui. In tal senso, è stata richiamata l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. Feriale, n. 35729 del 01/08/2013, Rv. 256578 e Sez. 3, n. 39176 del 24/09/2008, Rv. 241266), secondo cui, in tema di reati tributari e finanziari, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile (anche) nel caso di un frazionamento in successive dichiarazioni annuali delle quote di ammortamento dell ‘ importo di fatture per l ‘ acquisto (inesistente) di beni strumentali ed è integrato da ogni dichiarazione nella quale vengono indicati i corrispondenti elementi passivi fittizi in detrazione dei redditi. Del resto, nel non condividere la proposta difensiva di inquadramento del fatto nella previsione di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000, la Corte territoriale, in modo pertinente, ha ribadito che , all’epoca dell’operazione, il progetto RAGIONE_SOCIALE, privo di un sicuro fondamento scientifico, non era coperto da brevetti e non era suscettibile di essere concretamente applicato ad alcun processo industriale, non essendo secondario il dato che il prezzo del progetto è stato concordato in modo del tutto arbitrario e con le già illustrate e irrisolte anomalie circa le forme e i tempi della corresponsione dell’importo pattuito . Dunque, di dichiarazione fraudolenta e non solo infedele deve parlarsi, rilevando in tal senso l’inesistenza dell’operazione sottesa alla fattura di cui la S.I.L.L.E.M. si è avvalsa.
1.2. Quanto all’elemento soggettivo della fattispecie ex art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000, i giudici di merito, dopo aver ricordato che il dolo specifico richiesto, rappresentato dal perseguito della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico, è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della di chiarazione possa comportare l’evasione delle imposte dirette dell’iva (cfr. Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, Rv. 274104), hanno osservato che nel caso di specie non vi erano dubbi circa l’integrazione del reato anche dal punto di vista psicologico, posto che COGNOME è risultato essere l’artefice di un’operazione ingegnosa e fiscalmente vantaggiosa, per la quale egli non versò alcuna somma, impegnandosi solo a lunghissimo termine e nei confronti di una società in liquidazione e poi cancellata, in difetto di alcuna obbligazione accessoria di garanzia, né reale né personale. L’asserita buona fede del ricorrente è stata dunque ragionevolmente esclusa in ragione sia dell’ indebito utilizzo della fattura contestata, sia del contenuto del tutto vago del contratto di accollo del 5 dicembre 2016 e delle correlate e surrettizie garanzie fornite, sia del tenore delle appostazioni operate nella contabilità della RAGIONE_SOCIALE con le esposte conseguenze fiscali favorevoli alla società.
1.3. Sotto tale profilo, è stato altresì ritenuto sussistente il reato ex art. 2621 cod. civ. di cui al capo B, avendo l’imputato, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, esposto, nel bilancio relativo all’esercizio 2016 , fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore, indicando a tal fine un fittizio aumento del capitale sociale per 899.242,15 euro, asseritamente riconducibile alla rinuncia al credito vantato da COGNOME nei confronti della società: tale aumento di capitale è risultato invece del tutto evanescente, non potendosi determinare l’ammontare della posta debitoria in assenza di concreti elementi idonei a definire il valore del progetto Defkalion.
1.4. In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti sia con le acquisizioni probatorie che con le coordinate interpretative di riferimento, il giudizio sulla sussistenza e sull’ascrivibilità all’imputato de i reati a lui contestati resiste alle censure difensive, con le quali, oltre a riproporsi temi già adeguatamente affrontati nelle sentenze di merito, si sollecita sostanzialmente una differente lettura delle acquisizioni probatorie, operazione questa che esula dal perimetro del giudiziio di legittimità, dovendosi richiamare in tema la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei
fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui l’infondatezza delle doglianze in punto di responsabilità.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al quarto motivo. Se è vero, infatti, che la sentenza impugnata, a pagina 7, riporta erroneamente che il Procuratore generale aveva chiesto la conferma della pronuncia di primo grado, mentre in realtà la richiesta del rappresentante della Procura generale era stata quella di assolvere l’imputato perché il fatto non sussiste, come si evince dal verbale di udienza (verbale peraltro richiamato nell’intestazione della sentenza), è tuttavia altrettanto innegabile che l’erroneo richiamo nella parte motiva delle conclusioni del Procuratore generale non integra alcun profilo di nullità, tanto più ove si consideri che, nel corpo della restante motivazione, la decisione impugnata, come si è visto, ha diffusamente spiegato , all’esito di un puntuale confronto con tutte le obiezioni di segno contrario, le ragioni per cui doveva essere invece confermato il giudizio di colpevolezza dell’imputato operato dal Tribunale, per cui l’errore in questione è destinato a essere relegato al rango di una mera svista. Devono pertanto escludersi i vizi motivazionali e i profili di violazione di legge dedotti dal ricorrente, dovendosi richiamare in tal senso la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Rv. 257835), secondo cui non è affetta da nullità la sentenza di appello che contenga, all ‘ interno della motivazione, refusi, ove gli stessi, come nel caso di specie, non abbiano influito sulla coerenza logica ed adeguatezza della motivazione né siano tali da creare equivoci, in particolare rispetto al tema dell ‘ affermazione di responsabilità.
Anche rispetto al trattamento sanzionatorio, censurato con il quinto motivo, la sentenza impugnata resiste alle doglianze difensive.
I giudici di secondo grado hanno invero ritenuto congrua la pena complessiva di due anni di reclusione irrogata dal Tribunale, in quanto proporzionata alla gravità del reato e alla capacità a delinquere dell’imputato, essendosi in tal senso tenuto conto dell’importante danno cagionato e delle modalità decettive della c ondotta, posta in essere dal ricorrente in violazione dei doveri connessi alla posizione di garanzia ricoperta quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE oltre che di detentore dell’80% delle quote del capitale ; tali profili sono stati ritenuti ragionevolmente idonei a giustificare il discostamento, peraltro non eccessivo, della pena base (fissata in anni 2 e mesi 6 di reclusione) del più grave reato fiscale di cui al capo A rispetto al minimo edittale all’epoca vigente (ann i 1 e mesi 6, a fronte di un massimo edittale di 6 anni), mentre l’aumento per la continuazione con il reato di cui al capo B è stato contenuto in 4 mesi di reclusione; quanto alle pene accessorie, solo una esse, ossia quella dell’interdizione dagli uffici direttivi
delle persone giuridiche e delle imprese, è stata fissata in misura (1 anno) superiore al minino di 6 mesi (a fronte tuttavia di un massimo di 3 anni).
Deve quindi escludersi che le considerazioni poste a fondamento della determinazione della pena principale e di quelle accessorie siano connotate da profili di manifesta illogicità, non potendosi peraltro sottacere che all’imputato, tra primo e secondo grado, sono state riconosciute le attenuanti generiche, la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ciò a riprova del fatto che il complessivo trattamento sanzionatorio non risulta ispirato da criteri di eccessivo rigore.
Parimenti non meritevole di accoglimento è anche il sesto motivo di ricorso. Nel confermare la statuizione della confisca operata dal primo giudice ai sensi dell’art. 12 bis del d. lgs. n. 74 del 2000, la Corte territoriale, alla luce dell’infondatezza delle censure in punto di responsabilità, ha correttamente rilevato (pag. 12 della sentenza impugnata) che la confisca ha avuto ad oggetto l ‘intero profitto derivante dal reato ex art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000, ossia l’imposta evasa, pari alla somma di 244.000 euro, costituita dagli importi di 220.000 euro per l’indebita detrazione Iva del 2016 e di 24.000 euro per l’ires relativa al 2017, avuto riguardo alla quota del prezzo oggetto di ammortamento. Peraltro, il Tribunale ha ridotto l’importo dovuto nella misura di 229.673,75 euro, dando atto che, prima della decisione di primo grado, l’imputato aveva versato la prima rata del piano di adesione all’avviso di accertamento nelle more concordato con l’amministrazione finanziaria . Tale impostazione deve essere ritenuta corretta, occorrendo in tal senso ribadire l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 28488 del 10/09/2020, Rv. 280014), in forza della quale, in tema di reati tributari, la disposizione ex art. 12 bis , comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nella formulazione introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015 vigente all’epoca della decisione impugnata, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prezzo del reato «non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all ‘ erario anche in presenza di sequestro», deve essere intesa nel senso che la confisca, così come il sequestro preventivo ad essa preordinato, può essere adottata anche a fronte dell ‘ impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l ‘ evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito, per cui il sequestro e la conseguente confisca devono essere conservati fino all ‘ integrale effettivo pagamento della somma evasa, potendo le rate già versate essere considerate solo ai fini della riquantificazione della misura.
4.1. Da ciò discende che dei successivi pagamenti operati dall’imputato nell’ambito del piano di rateizzazione del debito fiscale in corso dovrà tenersi conto in sede esecutiva, ai fini della corrispondente riduzione del quantum dell ‘iniziale confisca.
Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deve essere pertanto disatteso, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen., di sostenere il pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15.10.2024