Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27993 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27993 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 14/2/1999
avverso la sentenza del 7/1/2025 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 gennaio 2025 la Corte d’appello di Milano, provvedendo sulla impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della sentenza del 15 febbraio 2024 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pavia, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni di reclusione in relazione a quattro contestazioni del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, ha riconosciuto all’imputato beneficio della non menzione della condanna, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione, tale da determinare un travisamento delle prove, con riferimento alla affermazione della sussistenza del dolo di evasione, che era stata desunta dai giudici di merito unicamente dall’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, senza accertare la consapevolezza in capo al ricorrente del mancato versamento dell’iva da parte delle società che avevano emesso le fatture, ma solamente sulla base della circostanza che la relativa iva era stata portata in compensazione dalla società amministrata dal ricorrente medesimo. Tale circostanza, però, in mancanza della prova dell’omesso versamento dell’iva da parte delle società che avevano emesso le fatture, omissione che non era stata accertata, non consentiva di ritenere dimostrato il proposito di evasione, in quanto se la compensazione dell’iva fosse avvenuta a seguito del regolare versamento dell’imposta da parte delle società emittenti non avrebbe potuto ritenersi integrata la finalità evasiva, avendo l’Erario incassato detta imposta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Procuratore Generale ha concluso nelle sue richieste scritte, non essendo stata avanzata richiesta di discussione orale, sollecitando il rigetto del ricorso, richiamando l’orientamento interpretativo secondo cui integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini iva l’utilizzo di elementi passivi fittizi costi da fatture emesse da una società che, attraverso contratti simulati di appalto di servizi, abbia, in realtà, come nel caso in esame, effettuato attività di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione, ovvero i singoli lavoratori, e quello indicato in fattura ( richiama, in particolare, la sentenza n. 11633 del 2022). L 2
Con memoria del 2 luglio 2025 il ricorrente, nel replicare a tali richieste del Procuratore Generale, ha ribadito la fondatezza del proprio ricorso, sottolineando nuovamente la rilevanza, ai fini della prova del dolo di evasione, del mancato accertamento dell’omesso versamento dell’iva da parte delle società emittenti le fatture giudicate relative a operazioni soggettivamente inesistenti, da cui era stata tratta, in modo illogico e travisando le risultanze istruttorie, la prova della suddetta finalità evasiva sottostante la condotta contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In particolare, con riferimento al caso della intermediazione illegale di manodopera, la giurisprudenza di legittimità ha già affermato (v. Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282985 – 01, richiamata anche dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni), che “integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini iva l’utilizzo di elementi passivi fittizi costituiti da fatture e da una società che, attraverso contratti simulati di appalto di servizi, abbia in realtà effettuato attività di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione, ovvero i singoli lavoratori, e quello indicato in fattura”.
3. Nel caso in esame la Corte d’appello, nel descrivere il sistema, sostanzialmente fraudolento, adottato dalla società amministrata dal ricorrente (RAGIONE_SOCIALE, consistito nell’avvalersi per la propria attività d’impesa di lavoratori formalmente assunti da altre società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, corrispondendo i relativi compensi a queste ultime che emettevano le relative fatture pur non avendo esse eseguito le prestazioni, trattandosi di società non operative, ha sottolineato che tale sistema aveva consentito alla società amministrata dal ricorrente di conseguire un indebito risparmio dell’iva, pari alla somma complessiva di 575.352,80 euro, corrispondente all’imposta sul valore aggiunto che avrebbe dovuto essere versata dalla RAGIONE_SOCIALE negli anni nei quali vennero indicati nelle dichiarazioni fiscali di tale società i costi derivanti dalle fatture relative a suddette operazioni, soggettivamente inesistenti, in quanto rese da soggetti diversi dalle emittenti (in particolare dai lavoratori che svolgevano le prestazioni direttamente alle dipendente della TLSP amministrata dal ricorrente).
Il dolo di evasione in capo al ricorrente è stato, poi, ravvisato nella consapevolezza da parte del ricorrente medesimo della discrepanza soggettiva tra esecutori delle prestazioni ed emittenti delle fatture, nella utilizzazione nelle dichiarazioni fiscali di tali fatture e nel risparmio d’imposta che ne è derivato, sottolineando che Viva addebitata nelle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE è stata interamente detratta con le pertinenti liquidazioni periodiche ed è stata quindi portata in compensazione dalla RAGIONE_SOCIALE amministrata dal ricorrente, con il conseguente indebito vantaggio fiscale corrispondente.
Si tratta di motivazione certamente idonea a giustificare l’affermazione della sussistenza del dolo di evasione, essendo state sottolineate in modo logico la consapevolezza da parte del ricorrente della inesistenza soggettiva delle fatture, la loro utilizzazione nelle dichiarazioni fiscali, il risparmio fiscale che ne è derivat per la RAGIONE_SOCIALE, traendone, in modo conseguenziale e coerente, la finalità evasiva della complessiva operazione (di cui, peraltro, non sono neppure state indicate finalità o scopi alternativi).
Quanto esposto nel ricorso e nella memoria di replica, a proposito del mancato accertamento dell’omesso versamento dell’iva da parte delle società emittenti le fatture, benché non esecutrici delle corrispondenti prestazioni, non era, secondo quanto risulta dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello si vedano, ex multis, Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, non massimata; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014
C-1-;
del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066), stato oggetto di gravame, cosicché è ora preclusa la denuncia di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del
consolidato principio secondo cui non può essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado
se il punto non gli era stata sottoposto e l’eventuale travisamento della prova non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, COGNOME, Rv.
261438 – 01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 – 01).
Tale rilievo, in ogni caso, non incide certamente sulla sussistenza del dolo di evasione, posto che, come ricordato in premessa, l’esposizione nella dichiarazione
di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto; inoltre l’indicazione di un soggetto diverso
da quello che ha effettuato la prestazione non è circostanza indifferente ai fini dell’Iva, dal momento che la qualità dell’esecutore della prestazione può incidere
sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che il beneficiario della prestazione può legittimamente detrarre.
4. Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, a cagione dell’infondatezza dell’unico motivo al quale è stato affidato.
Consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 11/7/2025