Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15731 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15731 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 29/09/1950 Avverso la sentenza emessa in data 19/01/2024 dalla Corte di Appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 09/01/2024, la Corte d’Appello di Bari – per quanto rileva in questa sede – ha parzialmente riformato (dichiarando estinto per prescrizione il reato continuato di cui all’art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000, contestato al capo b i relazione agli anni di imposta 2010 e 2011, rideterminando conseguentemente il trattamento sanzionatorio per l’ulteriore residua imputazione per lo stesso titolo di reato, formulata al capo C con riferimento all’anno di imposta 2012, e
confermando nel resto) la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa dal Tribunale di Bari, in data 31/03/2022, nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME in relazione alle richiamate imputazioni (il Tribunale aveva inoltre assolto il COGNOME dal reato di dichiarazione infedele di cui al capo a della rubrica, e aveva dichiarato estinti, per intervenuta prescrizione, anche gli ulteriori reati di dichiarazione fraudolenta contestati al capo b con riferimento agli anni di imposta 2009 e 2010, e di intestazione fittizia continuata di cui al capo g).
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo dei propri difensori, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento all’erronea qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art. 3 d.lgs. n. 74, anziché dell’art. 4 (per il quale peraltro risultava superata la soglia di punibilità).
Si censura il carattere apodittico della motivazione, imperniato su un unico precedente giurisprudenziale in realtà insufficiente ad affermare la penale responsabilità per la diversa ipotesi (qui ricorrente) di deposito di somme su conti correnti dei familiari del COGNOME. Al riguardo, si sottolinea l’intrinseca inidoneità di tale condotta ad ostacolare la scoperta dell’evasione, alla luce dei poteri spettanti in quella direzione all’Agenzia delle Entrate e dell’ovvio rilievo per cui, s il COGNOME avesse continuato a custodire personalmente il danaro liquido – unica condotta suscettibile, nell’ottica avversata, di non ricadere nell’alveo dell’art. 3 la scoperta dell’evasione sarebbe risultata ben più difficile. Si richiamano inoltre le ingenti somme versate a titolo di imposta negli anni in contestazione, e si deduce l’assenza di prova della provenienza da evasione delle somme fornite dal ricorrente al proprio padre COGNOME NOME: in ogni caso, si sottolinea la differenza del caso di specie dalla diversa ipotesi di somme versate su conti esteri in Paesi a fiscalità privilegiata, in cui certamente si realizza un ostacolo all’accertamento dell’evasione.
La difesa osserva altresì che, perseguendo il comprensibile intento di neutralizzare condotte oggi suscettibili di configurare il reato di autoriciclaggio non poteva comunque giungersi al punto di attrarre nell’alveo della “vera e propria frode”, necessaria per ritenere integrato il reato di cui all’art. 3, condotte che, concreto, andavano nella direzione contraria come quelle contestate al COGNOME, e che comunque non potevano ritenersi “strumentali” alla falsa dichiarazione, come del resto ritenuto da dottrina e giurisprudenza. Si deduce, conclusivamente, che tali considerazioni avrebbero dovuto condurre ad un proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. anche quanto alle analoghe condotte relative agli anni precedenti, già dichiarate prescritte.
2.2. Omessa motivazione con riferimento alla ritenuta idoneità ingannatoria della condotta del COGNOME. Si censura la sentenza per essersi limitata a richiamare, sul punto, la sentenza n. 13098 del 2009 della Suprema Corte, senza
confrontarsi con il tema della concreta idoneità di quella condotta ad ostacolare l’attività dell’Agenzia delle Entrate, e cadendo in un travisamento dell’elemento psicologico del reato, dato che “si versa sul conto corrente per utilizzare comodamente la provvista formulata non dichiarando parte dell’imponibile, non per evadere ed ostacolare la scoperta dell’evasione”.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Si censura la sentenza per essersi limitata a richiamare la gravità della condotta, senza considerare gli elementi favorevoli segnalati al riguardo (accertamento con adesione e conseguente ingente somma versata all’Erario, carattere risalente dei fatti, incensuratezza e assenza di altre pendenze, eccezionale curriculum professionale). Si osserva che, soprattutto con riguardo al versamento dell’80% di quanto concordato, sarebbe stato necessario un esplicito passaggio motivazionale, anche alla luce della giurisprudenza che pure consente di non prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla misura della pena applicata. Si evidenzia, da un lato, l’erroneità del discostamento “di soli sei mesi dal minimo edittale”, affermato dalla Corte d’Appello, essendo all’epoca quest’ultimo pari ad un anno e sei mesi; dall’altro, si sottolinea che era stata applicata la stessa pena irrogata per il capo b), oggi prescritto, e che comunque gli elementi segnalati a proposito delle attenuanti generiche ben potevano fondare una determinazione della pena nei minimi.
Con requisitoria tempestivamente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, osservando che la condotta del COGNOME presentava le connotazioni decettive richieste dalla norma incriminatrice, avendo egli utilizzato i conti correnti dei familiari per depositar somme provenienti dall’evasione, all’evidente fine di ostacolarne l’accertamento ed indurre in errore l’Amministrazione finanziaria. Si evidenzia quindi la logicità del percorso argornentativo tracciato in sentenza, e l’inammissibilità di una diversa valutazione degli elementi acquisiti, che le censure difensive finivano per sollecitare.
Con memoria tempestivamente trasmessa, la difesa segnala l’intervenuta estinzione anche del residuo reato ascritto al COGNOME per l’avvenuto decorso anche tenendo conto dei periodi di sospensione – del termine massimo prescrizionale.
Con altra successiva memoria, il difensore replica alle argomentazioni del Procuratore Generale, insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
La non manifesta infondatezza del ricorso, con particolare riferimento ai motivi concernenti la mancata concessione delle attenuanti generiche e la misura del trattamento sanzionatorio, impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il delitto di dichiarazione fraudolenta, contestato al capo c) con riferimento all’anno di imposta 2012, ormai estinto per prescrizione alla data del 12/09/2024, anche tenendo conto dei complessivi 342 giorni di sospensione (si condivide, sul punto, il computo riportato nella memoria difensiva del 14/01/2024).
Deve invero escludersi, per le ragioni indicate nel paragrafo che segue, la sussistenza delle condizioni per un immediato proscioglimento nel merito, ai sensi del secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen.
Nel sollecitare in questa sede l’annullamento della sentenza impugnata, la difesa del COGNOME reitera la propria prospettazione, già esaminata e disattesa dai giudici di merito, in ordine all’impossibilità di ricondurre, già in astratto, la condo del ricorrente nell’alveo degli “altri artifici” di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2
Si sostiene, in particolare, che la scelta di far confluire, in conti corren intestati a stretti familiari, i compensi per l’attività professionale svolta ma n fatturata, sarebbe priva di connotazioni decettive idonee a farla ritenere un “mezzo fraudolento”, ai sensi e per gli effetti di cui alla richiamata norma incriminatrice: ciò in quanto tale fittizia intestazione sarebbe agevolmente superabile dall’Agenzia delle Entrate, attraverso le ordinarie attività di verifica fiscale.
2.1. L’assunto difensivo – di cui è necessario occuparsi per verificare la possibilità, su tali basi, di un proscioglimento ai sensi del comma 2 dell’art. 129 cod. proc. pen. – è infondato.
Questa Suprema Corte ha di recente chiarito che «in tema di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, l’idoneità del mezzo fraudolento a ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria in ordine alle componenti che concorrono alla determinazione dell’imposta o dell’imponibile dev’essere apprezzata ex ante ed è esclusa nel solo caso in cui la fraudolenza risulti íctu ()culi evidente, non richiedendo alcun tipo di accertamento» (Sez. 3, n. 37642 del 06/06/2024, COGNOME, Rv. 286978 – 03).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, deve escludersi la possibilità di un immediato proscioglimento nel merito, avuto riguardo al percorso argomentativo svolto dalla Corte territoriale che, richiamando un precedente arresto di questa Suprema Corte (Sez. n. 13098 del 18/02/2009, Molon), ha osservato che la falsa rappresentazione nelle scritture contabili risultava “già integrata dalla semplice omessa indicazione degli elementi attivi,
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laddove l’utilizzo di conti correnti occulti per l’accredito di detti elementi costituis una modalità ulteriore di realizzo dell’evasione non necessitata dalla falsa rappresentazione ma evidentemente funzionale ad ostacolarne la scoperta” (cfr. pag. 28 della sentenza impugnata).
2.2. La fondatezza della tesi accolta dalla Corte territoriale appare indirettamente confermata da quanto osservato dalla stessa difesa, secondo la quale “altro e diverso sarebbe stato il caso – qui non ricorrente – dell’utilizzo d conti correnti esteri, a maggior ragione se localizzati in paesi a fiscalità privilegiata”, in quanto “in tal caso certamente si realizza un ostacolo all’accertamento dell’evasione” (cfr. pag. 7 del ricorso).
Le considerazioni fin qui svolte consentono di ritenere che la prospettazione difensiva, pur non condivisibile, non sia connotata da manifesta infondatezza, imponendo quindi la rilevazione della causa estintiva del residuo reato ascritto al COGNOME.
È agevole replicare, a tale prospettazione, che, se è vero che l’utilizzo di conti esteri costituirebbe condotta connotata da potenzialità decettive particolarmente marcate, come tali certamente valutabili ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 13 primo comma, cod. pen., è anche vero che l’aver dirottato ingenti somme, per le medesime finalità di evasione, su conti correnti intestati a soggetti comunque diversi dal percettore dei redditi, pur se familiari di quest’ultimo, costituisce u comportamento senz’altro idoneo – nella valutazione ex ante inizialmente richiamata (cfr. supra, § 2) – a trarre in inganno l’Amministrazione finanziaria in ordine al volume reddituale conseguito dal soggetto. D’altra parte, emerge dalla sentenza di primo grado che la scoperta dell’evasione posta in essere dal COGNOME attraverso le condotte decettive in contestazione – poste in essere anche per le annualità precedenti, già definite con sentenza dichiarativa della prescrizione non è stata certo conseguenza di ordinarie attività di accertamento determinate dalla eclatante differenza tra le entrate pensionistiche dei titolari dei conti e ingenti somme depositate, bensì degli esiti delle intercettazioni disposte in altro procedimento, dalle quali era emersa una anomala disponibilità di danaro contante in capo all’odierno ricorrente (cfr. pag. 3 seg. della sentenza di primo grado). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
È opportuno peraltro evidenziare, per completezza, che le censure proposte in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, e al trattamento sanzionatorio, avrebbero comunque precluso una declaratoria di inammissibilità del ricorso.
3.1. Quanto al primo ordine di rilievi, deve invero richiamarsi il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti
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dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ri decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto,
a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato» (Sez. 3 n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv.
282693 – 01).
In tale ottica interpretativa, il riferimento alla sola “gravità del f complessivamente considerata”, con cui la Corte d’Appello ha disatteso il motivo
concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche, non consente di ritenere adeguatamente motivata tale decisione, avuto riguardo ai plurimi
elementi astrattamente suscettibili di un positivo apprezzamento (cfr. pag. 17 del ricorso: accertamento con adesione per tutte le annualità, conseguente
pagamento della quasi totalità della somma da esso derivante, assenza di ulteriori pendenze, incensuratezza ed età avanzata, curriculum professionale).
3.2. Quanto poi alle censure sul trattamento sanzionatorio, deve osservarsi che il riferimento contenuto in sentenza – secondo cui la pena di anni due, mesi
sei di reclusione, irrogata per il residuo capo C, si sarebbe discostata “di soli sei mesi” dal minimo edittale previsto all’epoca dall’art. 3 (pag. 28 della sentenza) –
è certamente erroneo, essendo quel minimo pari ad un anno e sei mesi di reclusione. Né tale riferimento appare derubricabile a mera svista priva di rilevanza, avuto riguardo al ben maggiore discostamento della pena applicata rispetto al minimo edittale correttamente individuato, e alla almeno astratta possibilità di tenere in considerazione gli elementi che la difesa aveva dedotto anche per la concessione delle attenuanti generiche.
Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il residuo reato ascritto al COGNOME estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il residuo reato di cui al capo c) è estinto per prescrizione.
Così deciso irvkoma, il 31 gennaio 2025 Il Consigl GLYPH stensore
Il Presidente