Dichiarazione di Domicilio: Perché la Semplice Indicazione della Residenza non Basta
Nel processo penale, la forma è sostanza. Un dettaglio apparentemente minore, come la dichiarazione di domicilio, può avere conseguenze decisive sull’esito di un’impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 27920/2024) ci offre l’occasione per approfondire questo tema, chiarendo una volta per tutte i requisiti necessari affinché tale dichiarazione sia considerata valida ed efficace.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da una condanna per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.). L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado. Tuttavia, la Corte d’Appello di Bologna dichiarava l’impugnazione inammissibile. La ragione? La ritenuta insussistenza di una valida dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell’imputato, un requisito fondamentale per la corretta instaurazione del rapporto processuale nella fase di gravame. L’imputato, non rassegnandosi a questa decisione, decideva di ricorrere per Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge processuale.
La Decisione della Corte sulla dichiarazione di domicilio
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo “manifestamente infondato”. I giudici di legittimità hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, solidificando un principio giurisprudenziale di notevole importanza pratica. La Suprema Corte ha stabilito che l’appello era stato correttamente dichiarato inammissibile, poiché la dichiarazione di domicilio effettuata dall’imputato non rispettava i requisiti previsti dalla legge.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione dell’articolo 157 del codice di procedura penale. La Corte ha ribadito che, ai fini di una valida dichiarazione o elezione di domicilio, non è sufficiente la “semplice indicazione, in un atto processuale, della residenza o del domicilio dell’indagato o dell’imputato”.
Cosa serve, allora? È necessaria una “manifestazione di volontà” chiara e inequivocabile. L’imputato deve esprimere la sua intenzione di scegliere uno specifico luogo per ricevere le notificazioni, dimostrando di essere pienamente consapevole degli effetti legali che derivano da tale scelta. Nel caso di specie, mancava questa esplicita volontà. L’atto conteneva probabilmente solo un’indicazione anagrafica, senza quella formalità che la legge richiede per attribuirle valore di elezione di domicilio ai fini processuali. La Corte, richiamando un suo precedente (Sez. 2, n. 18469 del 01/03/2022), ha sottolineato come la ratio della norma sia quella di garantire la certezza delle notificazioni, un pilastro del giusto processo.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza è un monito importante per tutti gli operatori del diritto, in particolare per gli imputati e i loro difensori. La dichiarazione di domicilio non è una mera formalità burocratica, ma un atto processuale cruciale. Per evitare di incorrere in declaratorie di inammissibilità che possono precludere la possibilità di far valere le proprie ragioni in appello, è fondamentale che la volontà di eleggere domicilio in un determinato luogo sia espressa in modo chiaro, specifico e consapevole. Non basta scrivere un indirizzo su un foglio; occorre dichiarare esplicitamente che “quello” è il luogo scelto per ricevere le comunicazioni della giustizia, con tutto ciò che ne consegue. Una negligenza su questo punto può costare cara, trasformando un errore di forma in un ostacolo insormontabile per la difesa.
È sufficiente indicare la propria residenza in un atto processuale per effettuare una valida dichiarazione di domicilio?
No, secondo la Corte di Cassazione, la semplice indicazione della residenza o del domicilio in un atto non è sufficiente. È necessaria una specifica e consapevole manifestazione di volontà di scegliere quel luogo per le notificazioni.
Quali sono le conseguenze di una dichiarazione di domicilio non valida?
Una dichiarazione di domicilio non valida può portare a gravi conseguenze processuali, come la declaratoria di inammissibilità dell’appello, che impedisce al giudice di esaminare nel merito i motivi dell’impugnazione.
Cosa richiede la legge per una corretta dichiarazione di domicilio?
La legge richiede una chiara manifestazione di volontà dell’imputato di scegliere un determinato luogo, tra quelli indicati dall’art. 157 c.p.p., per ricevere le notifiche, dimostrando la consapevolezza degli effetti legali di tale scelta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27920 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27920 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/01/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
n. 6121/24 COGNOME
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen.
Esaminati i motivi di ricorso
Ritenuto che la doglianza relativa alla violazione di legge e al vizio di motivazione in ord alla ritenuta insussistenza della dichiarazione di domicilio dell’imputato e consegue declaratoria di inammissibilità dell’appello è manifestamente infondata dal momento che, secondo consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ai fini di una dichiarazione o elezione di domicilio non è sufficiente la semplice indicazione, in un processuale, della residenza o del domicilio dell’indagato o dell’imputato, essendo necessari una sua manifestazione di volontà in ordine alla scelta tra i luoghi indicati dall’art. 15 proc. pen., con la consapevolezza degli effetti di tale scelta (Sez. 2, n. 18469 del 01/03/20 Luongo, Rv. 283180);
Rilevato, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 14/06/2024