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Dichiarazione di domicilio: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso perché l’atto di appello non conteneva un riferimento espresso e specifico alla dichiarazione di domicilio, sebbene questa fosse presente in un altro atto del fascicolo (istanza di gratuito patrocinio). La Suprema Corte, richiamando un recente intervento delle Sezioni Unite, ha ribadito che, per evitare l’inammissibilità, l’atto di impugnazione deve indicare con precisione dove si trova la precedente dichiarazione o elezione di domicilio, per consentirne l’immediata e inequivoca individuazione.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione di domicilio: un dettaglio formale che può costare l’appello

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di procedura penale: la corretta indicazione della dichiarazione di domicilio nell’atto di appello è un requisito di ammissibilità non derogabile. Anche se la dichiarazione esiste ed è presente in altri atti del fascicolo, la sua mancata menzione specifica nell’impugnazione ne determina l’inammissibilità. Questo caso evidenzia come la precisione formale sia fondamentale per garantire l’accesso alla giustizia e come una svista possa precludere il diritto a un secondo grado di giudizio.

I Fatti del Caso

Un imputato, condannato in primo grado dal Tribunale per furto aggravato, proponeva appello tramite il suo difensore. La Corte d’Appello, tuttavia, dichiarava l’impugnazione inammissibile, rilevando la mancanza dei requisiti previsti dall’articolo 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, in particolare per quanto riguarda l’elezione o la dichiarazione di domicilio. L’imputato, allora, ricorreva in Cassazione, sostenendo che la dichiarazione di domicilio era in realtà presente agli atti. Precisamente, essa era contenuta nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio, con la quale era stato nominato un nuovo difensore ed era stato eletto domicilio presso lo studio di quest’ultimo.

La Decisione della Corte sulla dichiarazione di domicilio

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, definendolo ‘manifestamente infondato’. La decisione si allinea a un recente e fondamentale intervento delle Sezioni Unite, che ha risolto un contrasto giurisprudenziale sul tema. Sebbene la dichiarazione di domicilio non debba essere fisicamente contenuta nel corpo dell’atto di appello, l’atto stesso deve però includere un ‘richiamo espresso e specifico’ a una precedente dichiarazione o elezione. Questo richiamo deve indicare con precisione la collocazione della dichiarazione nel fascicolo processuale, così da permettere una sua ‘immediata e inequivoca individuazione’.

Le Motivazioni della Corte

Nel caso specifico, i Giudici hanno osservato che l’atto di appello non conteneva alcun riferimento alla nomina del difensore o all’elezione di domicilio effettuata nell’istanza di gratuito patrocinio. Inoltre, la relativa dichiarazione non era stata nemmeno allegata all’atto di impugnazione. La semplice presenza della dichiarazione in un altro documento all’interno del fascicolo non è sufficiente a soddisfare il requisito di legge. La norma, infatti, mira a garantire la certezza e la rapida reperibilità del luogo dove notificare gli atti all’imputato, e questa certezza può essere data solo da un’indicazione esplicita nell’atto con cui si esercita il diritto di impugnazione. L’omissione di tale riferimento specifico integra una violazione insanabile che conduce direttamente all’inammissibilità del gravame.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La pronuncia conferma un orientamento rigoroso e formalista, ma necessario per la funzionalità del processo penale. Per gli avvocati, la lezione è chiara: al momento della redazione di un atto di appello, è imperativo verificare non solo l’esistenza di una valida dichiarazione di domicilio, ma anche di inserire un riferimento esplicito e puntuale a tale dichiarazione all’interno dell’atto stesso. Non basta confidare sulla sua presenza ‘aliunde’ (altrove) nel fascicolo. Questa prassi, se non seguita scrupolosamente, comporta la gravissima conseguenza di vedere l’appello dichiarato inammissibile, con la condanna del proprio assistito al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, precludendogli di fatto la possibilità di un riesame della sentenza di condanna.

È sufficiente che la dichiarazione di domicilio esista in un altro atto del fascicolo processuale per rendere valido l’appello?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente. L’atto di impugnazione deve contenere un richiamo espresso e specifico alla precedente dichiarazione di domicilio e alla sua esatta collocazione nel fascicolo, per consentirne un’immediata e inequivoca individuazione.

La dichiarazione di domicilio deve essere obbligatoriamente inserita all’interno del testo dell’atto di appello?
No, non deve essere necessariamente contenuta all’interno dell’atto di appello. Può trovarsi in un altro documento, ma l’atto di appello deve fare un riferimento esplicito e preciso a tale documento e alla sua posizione nel fascicolo.

Quali sono le conseguenze se l’atto di appello non contiene il riferimento specifico alla dichiarazione di domicilio?
La conseguenza è la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, come stabilito dall’art. 581, comma 1 ter, del codice di procedura penale. Ciò comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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