LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Dichiarazione di domicilio: appello penale inammissibile

La Corte di Cassazione conferma l’inammissibilità di un appello penale perché l’atto di impugnazione non conteneva la dichiarazione di domicilio dell’imputato, come richiesto dall’art. 581 cod. proc. pen. La Corte chiarisce che tale requisito è obbligatorio per tutti gli imputati, anche per quelli presenti durante il processo di primo grado, correggendo la motivazione della Corte d’appello ma confermandone la decisione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione di Domicilio: un Dettaglio Formale che può Costare l’Appello

Nel processo penale, la forma è sostanza. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale: l’omissione della dichiarazione di domicilio nell’atto di appello ne causa l’inammissibilità, anche se l’imputato ha partecipato attivamente al processo di primo grado. Questa decisione, pur correggendo la motivazione del giudice precedente, conferma la rigidità delle nuove norme procedurali introdotte per garantire la certezza delle notifiche.

I Fatti di Causa

Un imputato, condannato in primo grado dal Tribunale per appropriazione indebita aggravata, proponeva appello tramite il suo difensore. La Corte d’appello, tuttavia, dichiarava immediatamente l’impugnazione inammissibile. Il motivo? L’atto di appello era privo della necessaria elezione o dichiarazione di domicilio da parte dell’imputato, un requisito previsto dal Codice di procedura penale.

L’imputato, allora, ricorreva in Cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avesse errato. A suo avviso, il requisito non si sarebbe dovuto applicare, dato che egli era stato presente durante il giudizio di primo grado, arrivando persino a rendere dichiarazioni spontanee. La sua presenza, secondo la difesa, rendeva superflua tale formalità. Anche la Procura Generale, in un primo momento, sembrava concordare con la tesi difensiva, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza.

L’Errore della Corte d’Appello e la Correzione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, pur evidenziando un errore nella motivazione della Corte d’appello. I giudici di secondo grado avevano infatti basato la loro decisione sull’art. 581, comma 1-quater, del codice di procedura penale, una norma che si applica specificamente all’imputato giudicato in assenza.

Tuttavia, come correttamente sottolineato dalla difesa, l’imputato era stato presente. L’errore della Corte d’appello, però, non ha cambiato il risultato finale. La Cassazione ha chiarito che la norma corretta da applicare era un’altra: il comma 1-ter dello stesso articolo 581.

L’Obbligo della Dichiarazione di Domicilio per Tutti

La Corte Suprema ha spiegato che il comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p. impone un requisito generale e inderogabile: l’atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, deve contenere l’elezione o la dichiarazione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Questa regola si applica a tutti gli imputati che propongono appello, indipendentemente dal fatto che siano stati presenti o assenti nel giudizio precedente.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione risiede nella necessità di assicurare la certezza e la celerità delle notificazioni nella fase di appello. La legge richiede che, con l’atto di impugnazione, l’imputato fornisca un indirizzo certo e attuale per ricevere le comunicazioni, eliminando incertezze e ritardi. L’errore della Corte d’appello nel citare la norma sbagliata (quella per gli assenti) non inficia la validità della decisione finale (l’inammissibilità), poiché l’appello era comunque carente di un requisito fondamentale richiesto da un’altra disposizione normativa (quella valida per tutti).

Conclusioni

Questa sentenza è un monito importante per la difesa tecnica: la presentazione dell’atto di appello richiede un’attenzione scrupolosa ai requisiti formali. L’omissione della dichiarazione di domicilio non è una mera irregolarità, ma un vizio insanabile che comporta l’inammissibilità dell’impugnazione. La partecipazione al primo grado di giudizio non esonera l’imputato da questo onere, poiché la legge intende garantire l’efficienza del processo in ogni sua fase, a partire proprio dalla corretta instaurazione del giudizio di secondo grado.

Per presentare un appello penale è sempre obbligatoria la dichiarazione di domicilio?
Sì, la sentenza chiarisce che l’atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato ai fini della notificazione del decreto di citazione, come previsto dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.

Questo obbligo vale anche se l’imputato era presente al processo di primo grado?
Sì, la Corte di Cassazione ha specificato che il requisito della dichiarazione di domicilio si applica a tutti gli imputati che impugnano la sentenza, compresi quelli che non sono stati giudicati in assenza e che hanno partecipato al primo grado di giudizio.

Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile se la Corte d’Appello ha citato una norma errata?
L’appello è stato comunque dichiarato inammissibile perché, sebbene la Corte d’Appello avesse erroneamente richiamato la norma per gli imputati assenti (comma 1-quater), l’atto di impugnazione era comunque privo di un requisito (la dichiarazione di domicilio) richiesto da un’altra norma applicabile al caso (comma 1-ter), rendendo la decisione finale corretta nella sua sostanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati