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Dichiarazione di domicilio appello: la Cassazione

L’appello di un imputato è stato dichiarato inammissibile per non aver allegato l’elezione di domicilio, come richiesto dalla Riforma Cartabia (art. 581 c.1-ter c.p.p.). La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la costituzionalità della norma. La Corte ha stabilito che la dichiarazione di domicilio per l’appello serve a garantire la volontà effettiva dell’imputato di procedere, evitando così impugnazioni automatiche e assicurando la sua consapevolezza del processo.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione di domicilio appello: la Cassazione conferma l’inammissibilità

Con la recente sentenza n. 13409/2024, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una delle novità più discusse della Riforma Cartabia: l’obbligo di allegare la dichiarazione di domicilio all’atto di appello penale. La Corte ha stabilito che la mancanza di tale adempimento rende l’impugnazione inammissibile, respingendo i dubbi di incostituzionalità sollevati dalla difesa. Questa decisione chiarisce che la norma non è un mero formalismo, ma uno strumento volto a garantire la consapevolezza e la volontà dell’imputato nel proseguire il percorso giudiziario.

Il Caso: L’Appello Bloccato in Partenza

La vicenda trae origine dalla condanna di un imputato da parte del Tribunale di Belluno per una violazione del Codice della Strada. Il suo difensore d’ufficio, non essendo riuscito a stabilire un contatto con l’assistito, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado. Tuttavia, la Corte d’Appello di Venezia dichiarava immediatamente l’inammissibilità dell’impugnazione. Il motivo? La mancata presentazione, unitamente all’atto di appello, della dichiarazione o elezione di domicilio richiesta dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Cartabia.

La Questione di Costituzionalità sulla dichiarazione di domicilio appello

Di fronte a questa decisione, il difensore presentava ricorso per cassazione, sollevando una questione di legittimità costituzionale della norma. La tesi difensiva sosteneva che tale obbligo violasse il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione) e il diritto di difesa. In particolare, la norma penalizzerebbe gli imputati non contattabili, per i quali il difensore d’ufficio si troverebbe nell’impossibilità oggettiva di ottenere la necessaria dichiarazione di domicilio, vedendo così preclusa la possibilità di impugnare la sentenza.

Le motivazioni della Cassazione: La Scelta Consapevole dell’Imputato

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo la questione di costituzionalità ‘manifestamente infondata’. Gli Ermellini hanno chiarito la ratio della nuova disposizione, delineandone la piena coerenza con l’impianto costituzionale e con gli obiettivi della riforma.

Lo Scopo della Norma

Il fulcro del ragionamento della Corte risiede nello scopo della norma. L’obbligo di eleggere domicilio non è un ostacolo burocratico, ma uno strumento per ‘selezionare in entrata le impugnazioni’. L’obiettivo del legislatore è quello di assicurarsi che l’appello sia espressione di una ‘scelta ponderata e rinnovata’ da parte dell’imputato. Si vuole evitare il cosiddetto ‘automatismo difensivo’, ovvero che gli appelli vengano proposti di prassi dal difensore senza che l’assistito sia effettivamente a conoscenza della sentenza e intenzionato a contestarla.

Nessuna Violazione del Diritto di Difesa

Secondo la Corte, la norma non restringe la facoltà di impugnazione, ma la condiziona a un presupposto che garantisce l’effettiva volontà della parte. Perseguendo lo scopo legittimo di celebrare i processi d’appello solo quando vi è la certezza della conoscenza della sentenza da parte dell’imputato, il legislatore ha operato una scelta discrezionale del tutto ragionevole. La norma si inserisce in un quadro più ampio di garanzie, coordinandosi con le nuove disposizioni sulle notificazioni, che prevedono l’esclusivo invio degli atti al domicilio eletto per il grado di impugnazione.

Le conclusioni: Implicazioni Pratiche per Avvocati e Assistiti

La sentenza della Cassazione consolida un principio fondamentale introdotto dalla Riforma Cartabia: l’impugnazione non è un atto dovuto, ma un diritto che richiede una manifestazione di volontà attuale e concreta da parte dell’interessato. Per gli avvocati, ciò significa che il dialogo e il contatto con il proprio assistito, anche se nominati d’ufficio, diventano cruciali non solo per la strategia difensiva, ma per la stessa ammissibilità dell’appello. Per gli imputati, emerge la necessità di una partecipazione più attiva al processo, a partire dalla comunicazione di un domicilio valido per le notifiche del grado di giudizio successivo. In definitiva, la dichiarazione di domicilio per l’appello è un adempimento imprescindibile che riflette la volontà del legislatore di responsabilizzare le parti e rendere il processo penale più efficiente e consapevole.

È obbligatorio depositare una dichiarazione o elezione di domicilio insieme all’atto di appello penale?
Sì, secondo l’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, è un requisito obbligatorio. La sua omissione comporta la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, impedendo al giudice di esaminarne il merito.

La norma che impone la dichiarazione di domicilio è costituzionale?
Sì. La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha stabilito che la questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata. La norma è considerata un esercizio ragionevole della discrezionalità del legislatore e non viola né il diritto di difesa né il principio di eguaglianza.

Qual è lo scopo di questo nuovo adempimento introdotto dalla Riforma Cartabia?
Lo scopo principale è garantire che l’impugnazione sia espressione della volontà effettiva e consapevole dell’imputato. La norma mira a evitare gli ‘automatismi difensivi’ e a celebrare i processi d’appello solo quando si ha la certezza che l’imputato sia a conoscenza della sentenza di primo grado e intenda personalmente contestarla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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