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Dichiarazione di domicilio: appello inammissibile

La Corte di Cassazione conferma la decisione di inammissibilità di un appello per la mancata allegazione della dichiarazione di domicilio, come richiesto dall’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. (norma poi abrogata). La Corte chiarisce che, sebbene fosse sufficiente un richiamo a una precedente dichiarazione, la sua totale assenza nell’atto di impugnazione ne determina l’invalidità, respingendo il ricorso dell’imputato.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione di Domicilio: L’Importanza di un Requisito Formale nell’Appello Penale

La presentazione di un atto di appello nel processo penale richiede un’attenzione meticolosa ai requisiti formali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, soffermandosi su un adempimento cruciale: la dichiarazione di domicilio. A seguito della Riforma Cartabia, l’articolo 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale aveva introdotto, a pena di inammissibilità, l’obbligo di allegare all’atto di impugnazione tale dichiarazione. Sebbene questa norma sia stata successivamente abrogata, la sua applicazione transitoria continua a produrre effetti significativi, come dimostra il caso in esame.

I Fatti del Caso

Un imputato, condannato in primo grado dal Tribunale di Trento per reati fiscali, proponeva appello avverso la sentenza. La Corte d’appello di Trento, tuttavia, non entrava nel merito della questione, dichiarando l’impugnazione inammissibile. La ragione? La mancata allegazione all’atto di appello della dichiarazione di domicilio, richiesta dalla legge vigente al momento della proposizione del gravame. L’imputato, ritenendo errata tale decisione, presentava ricorso per cassazione, sostenendo che la norma non dovesse applicarsi al suo caso e che, in ogni caso, l’interpretazione adottata fosse eccessivamente restrittiva e lesiva del diritto di difesa.

La Questione Giuridica sull’Applicabilità della Norma

Il fulcro del dibattito legale verteva sull’applicabilità dell’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale. L’imputato sosteneva che, essendo il suo procedimento iniziato prima dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia, non fosse soggetto a tale obbligo. Inoltre, con la successiva abrogazione della norma (avvenuta con la legge n. 114 del 2024), si poneva il problema di quale disciplina applicare.

La Corte di Cassazione, per dirimere la questione, ha fatto riferimento a un recentissimo intervento delle Sezioni Unite. Queste ultime hanno stabilito due principi fondamentali:
1. Applicazione Temporale: La norma, sebbene abrogata, continua ad applicarsi a tutte le impugnazioni proposte fino al 24 agosto 2024.
2. Interpretazione del Requisito: Non è necessaria una nuova e autonoma dichiarazione di domicilio allegata all’atto, ma è sufficiente che l’impugnazione contenga un richiamo espresso e specifico a una precedente dichiarazione o elezione di domicilio, indicandone la collocazione nel fascicolo processuale in modo da consentirne l’immediata individuazione.

Le Motivazioni della Cassazione

Applicando questi principi al caso concreto, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato. In primo luogo, ha confermato che la norma era pienamente applicabile, poiché l’appello era stato presentato in data anteriore al 25 agosto 2024. In secondo luogo, e questo è il punto decisivo, i giudici hanno verificato che l’atto di appello depositato dal difensore dell’imputato era totalmente privo di qualsiasi indicazione relativa al domicilio.

Non solo non era stata allegata una nuova dichiarazione, ma non vi era neppure il richiamo a una precedente elezione di domicilio presente agli atti. La semplice menzione della residenza dell’imputato nella sentenza di primo grado è stata ritenuta insufficiente a soddisfare il requisito di legge, anche secondo l’interpretazione più flessibile offerta dalle Sezioni Unite. L’atto di impugnazione era, quindi, manchevole di un elemento essenziale richiesto a pena di inammissibilità.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La sentenza sottolinea un’importante lezione per gli operatori del diritto: la diligenza nel rispetto dei requisiti formali è fondamentale. Anche di fronte a un’interpretazione giurisprudenziale che mira a salvaguardare la sostanza del diritto di difesa, l’omissione completa di un adempimento prescritto dalla legge non può essere sanata. Questo caso serve da monito sulla necessità di verificare scrupolosamente ogni dettaglio formale nella redazione degli atti di impugnazione, per evitare che un vizio procedurale precluda l’esame nel merito della vicenda processuale.

Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile in primo luogo?
L’appello è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello perché l’atto di impugnazione non conteneva la dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, un requisito formale richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale, applicabile al momento della presentazione dell’atto.

Sarebbe stato sufficiente fare riferimento a una precedente dichiarazione di domicilio?
Sì. Secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite della Cassazione, non era necessario allegare una nuova dichiarazione, ma sarebbe bastato inserire nell’atto di appello un richiamo espresso e specifico a una precedente dichiarazione o elezione di domicilio già presente nel fascicolo, in modo da renderla facilmente reperibile.

L’abrogazione della norma sulla dichiarazione di domicilio ha influito sulla decisione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che si applica la legge in vigore al momento della proposizione dell’impugnazione. Poiché l’appello è stato presentato prima del 25 agosto 2024 (data di entrata in vigore della legge abrogatrice), l’obbligo di indicare il domicilio era ancora pienamente valido e vincolante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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