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Dichiarazione di domicilio: appello inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19500/2025, ha dichiarato inammissibile un ricorso contro un’ordinanza di inammissibilità di un appello. Il motivo risiede nella mancanza, nell’atto di impugnazione, di un riferimento esplicito alla dichiarazione di domicilio dell’imputato, come richiesto dall’art. 581, comma 1-ter c.p.p. (norma applicabile ai fatti di causa). La Corte ha specificato che né la presenza dell’imputato al processo di primo grado né la mera indicazione della residenza in altri atti possono sopperire a tale requisito formale.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione di domicilio: la Cassazione conferma l’inammissibilità dell’appello

Nel processo penale, il rispetto dei requisiti formali non è un mero cavillo burocratico, ma una garanzia fondamentale per il corretto svolgimento del giudizio. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 19500 del 2025, ribadisce questo principio in relazione a un tema cruciale: la dichiarazione di domicilio nell’atto di appello. La Corte ha confermato che la sua omissione, o la mancanza di un riferimento esplicito ad essa, rende l’impugnazione inammissibile, senza possibilità di sanatoria.

I Fatti del Caso: un Appello Fermato per un Vizio Formale

Il caso trae origine da una sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Padova. La difesa dell’imputato proponeva appello, ma la Corte d’Appello di Venezia lo dichiarava inammissibile. Il motivo? L’atto di impugnazione era privo della dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, un requisito allora previsto a pena di inammissibilità dall’articolo 581, comma 1-ter, del codice di procedura penale.

Contro questa decisione, il difensore presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che l’imputato era sempre stato presente durante il processo di primo grado e che, pertanto, il requisito formale non fosse così rilevante. Veniva inoltre sollevata una questione sulla legittimità costituzionale della norma stessa.

La Decisione della Cassazione sulla dichiarazione di domicilio

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo a sua volta inammissibile. Il fulcro della decisione si basa su un recente e autorevole intervento delle Sezioni Unite della stessa Corte. Queste ultime hanno chiarito che la disciplina dell’art. 581, comma 1-ter c.p.p., sebbene successivamente abrogata, continua ad applicarsi a tutte le impugnazioni proposte prima della sua abolizione (avvenuta il 25 agosto 2024).

Le Sezioni Unite hanno inoltre fornito un’interpretazione precisa della norma: per soddisfare il requisito, non è sufficiente che una dichiarazione di domicilio esista da qualche parte nel fascicolo processuale. È necessario che l’atto di impugnazione contenga un “richiamo espresso e specifico” a quella precedente dichiarazione, in modo da consentire “l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione”.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la ratio della norma è quella di garantire la certezza e la celerità delle notificazioni nella fase dell’impugnazione. La semplice indicazione dell’indirizzo di residenza nell’atto di nomina del difensore, come avvenuto nel caso di specie, non è sufficiente. Allo stesso modo, la presenza fisica dell’imputato nel precedente grado di giudizio è del tutto irrilevante rispetto a questo specifico onere formale che grava sull’appellante.

La norma, quindi, non è un inutile formalismo, ma uno strumento volto a responsabilizzare la parte che impugna, obbligandola a indicare con chiarezza il luogo dove desidera ricevere le comunicazioni, evitando così possibili incertezze o ritardi procedurali. La mancata osservanza di questo onere specifico comporta la sanzione più grave, l’inammissibilità, che impedisce al giudice di entrare nel merito delle doglianze.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento rigoroso sull’importanza dei requisiti formali degli atti di impugnazione. Per gli avvocati, la lezione è chiara: per gli appelli proposti sotto la vigenza della vecchia norma, è fondamentale non solo che l’imputato abbia eletto domicilio, ma anche che l’atto di appello contenga un riferimento esplicito e puntuale a tale elezione. L’omissione di questo dettaglio, come dimostra il caso, può precludere definitivamente la possibilità di una revisione della sentenza di primo grado, con conseguenze gravissime per l’assistito.

Un appello penale può essere dichiarato inammissibile se manca la dichiarazione di domicilio?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che, per gli appelli proposti prima del 25 agosto 2024, l’assenza di un richiamo esplicito e specifico a una precedente dichiarazione o elezione di domicilio nell’atto di impugnazione ne causa l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, c.p.p.

La presenza dell’imputato al processo di primo grado sana la mancanza della dichiarazione di domicilio nell’atto d’appello?
No, la presenza dell’imputato nel giudizio di primo grado è irrilevante. La norma richiede un requisito formale specifico nell’atto di impugnazione, che non può essere sostituito dalla precedente presenza fisica dell’imputato.

Indicare l’indirizzo di residenza nell’atto di nomina del difensore è sufficiente come dichiarazione di domicilio?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che l’impugnazione deve contenere un richiamo espresso e specifico a una precedente dichiarazione o elezione di domicilio, indicandone la collocazione nel fascicolo processuale. La mera indicazione dell’indirizzo di residenza in un altro atto non soddisfa questo requisito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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