Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25194 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25194 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 13/12/1993
avverso la sentenza del 26/4/2024 della Corte di appello di Bari
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 aprile 2024 la Corte di appello di Bari ha confermato la pronuncia emessa il 27 gennaio 2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città, con cui NOME COGNOME è stato condannato alla
pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 391-ter, comma terzo, cod. pen.
Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto violazione di legge, per essere stata ritenuta integrata la fattispecie di cui all’art. 391-ter cod. pen. sulla base del mera detenzione di un telefono cellulare, mentre il fatto tipico incriminato riguarderebbe la ricezione o l’utilizzazione indebite di apparecchi telefonici o altri dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
Il reato di cui all’art. 391-ter cod. pen. è stato introdotto dall’art. 9 d.l. ottobre 2020, n. 130, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, nell’ambito dei delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie. La disposizio normativa prevede che, fuori dei casi disciplinati dall’art. 391-bis (agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti a regime detentivo differenziato ai sensi dell’art. 41-bis ord. pen. in elusione delle relative prescrizioni), chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o, comunque, consente a costui l’uso indebito dei suddetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno di tali beni, al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta, è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni (primo comma).
Viene sanzionata nella medesima misura anche la condotta del detenuto che riceve o utilizza tali dispositivi, salvo che il fatto non costituisca un più gra reato (terzo comma).
Il secondo comma contempla, infine, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, l’ipotesi in cui il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio o da un soggetto che esercita la professione forense.
Il bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice è l’effettività dell pena detentiva e della custodia cautelare in carcere, le cui finalità possono risultare frustrate dall’indebito accesso, da parte dei detenuti, a dispositivi idonei alla comunicazione, dei quali gli stessi detenuti si potrebbero servire non solo per coltivare il proprio diritto all’affettività, comunicando con i propri cari, ma anch per continuare a gestire i propri affari illeciti. Sulla base di quanto emerge dai lavori preparatori, l’introduzione della nuova fattispecie delittuosa risponde
all’esigenza di contrastare il fenomeno, che era divenuto ormai endemico, dell’introduzione in carcere di apparecchi cellulari, che l’Amministrazione penitenziaria non era in condizioni di contrastare efficacemente, essendo risultata non praticabile, dal punto di vista sia tecnico sia economico, la soluzione alternativa della cosiddetta “schermatura” degli istituti penitenziari.
Passando alla descrizione più in particolare della nuova fattispecie, si deve osservare che l’art. 391-ter cod. pen. enuclea due reati, uno previsto dal primo comma e l’altro previsto dal terzo comma, i quali sono puniti con la stessa pena della reclusione da uno a quattro anni. Quanto al primo comma, esso prevede un reato comune («chiunque») che presenta la tipica struttura della norma a più fattispecie, atteso che si contemplano tre condotte tra loro alternative, precisamente, quelle di chi: 1) procura indebitamente a un detenuto un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni; 2) consente a un detenuto l’uso indebito di tali strumenti; 3) introduce in un istituto penitenziario uno dei menzionati strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta. Mentre le prime due fattispecie sono a dolo generico, atteso che lo scopo dell’agente risulta indifferente ai fini dell’integrazione de reato, in quanto estraneo alla tipicità del fatto, la terza fattispecie esige il do specifico («al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta»). Requisito, questo, che, secondo la dottrina, bilancia l’anticipazione dell’offesa che discende dal fatto che la fattispecie non richiede l’effettiva disponibilità del dispositivo parte del detenuto, essendo sufficiente che l’autore del reato lo introduca nell’istituto penitenziario.
Il terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. prevede un reato proprio, il cui soggetto attivo qualificato è il «detenuto», e presenta anch’esso la struttura della norma a più fattispecie, atteso che si delineano due condotte tra loro alternative, precisamente, quelle del detenuto che indebitamente «riceve» o «utilizza» un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni. L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva «o» implica che, affinché il reato sia integrato, non è necessario che il detenuto utilizzi il dispositivo ma è sufficiente che ne sia in possesso per averlo ricevuto.
Il presupposto di entrambi i reati di cui al primo e al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. è che l’accesso a dispositivi idonei alla comunicazione sia indebito. Clausola, questa, di antigiuridicità espressa speciale con la quale il legislatore fa riferimento a un accesso a dispositivi di comunicazione non autorizzato dall’Amministrazione penitenziaria sulla base delle leggi e dei regolamenti.
Nel caso in esame si è verificata l’ipotesi della indebita ricezione di un telefono cellulare.
La Corte territoriale ha affermato, infatti, che il rinvenimento del microtelefono cellulare nella cavità anale del ricorrente presupponeva la previa indebita ricezione dell’apparecchio.
Tale deduzione, consueta, ad es., in tema di prova della ricettazione, non è apodittica o congetturale, tanto più ove si consideri lo status di detenuto del soggetto agente, che, di norma, non può acquisire la disponibilità di un bene per via diversa dalla sua ricezione.
Ne discende che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la sua condotta ha integrato la fattispecie tipica del reato contestatogli.
Giova aggiungere, per completezza, per un verso, che il reato in disamina non è a concorso necessario, e, per altro verso, che il primo comma dell’art. 391-ter cod. pen. prevede la clausola di riserva «fuori dei casi previsti dall’art. 391 bis» cod. pen., il quale punisce l’«agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41 bis del a legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni». La clausola comporta la sussidiarietà del reato di cui al primo comma dell’art. 391-ter cod. pen. rispetto al reato di cui all’art. 391-bis cod. pen., al quale il legislatore assegnato, perciò, la prevalenza. Anche il terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. si apre con una clausola di riserva, che ne delimita il perimetro applicativo, cioè la clausola «salvo che il fatto costituisca più grave reato». Al riguardo si è affermato che tale clausola comporta la sussidiarietà del reato di cui al terzo comma dell’art. 391-ter cod. pen. rispetto all’intera categoria dei reati più gravi, tra cui, ad es., la ricettazione (Sez. 2, n. 4189 del 14/01/2025, Marchio, Rv. 287493 – 01).
Tale conclusione, tuttavia, non è pacifica, atteso che si è anche sottolineato che l’inciso “salvo che il fatto costituisca più grave reato” presuppone, perché operi in concreto il meccanismo dell’assorbimento, che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo bene-interesse (Sez. 3, n. 50561 dell’8/10/2015, G., Rv. 265647 – 01; Sez. 5, n. 6250 del 21/01/2004, COGNOME, Rv. 228087 01): ipotesi che, certamente, non ricorre nel caso di specie, perché l’art. 391-ter cod. pen. è posto a tutela dell’efficienza della pena, mentre la ricettazione tutela il diverso bene-patrimonio.
Nel caso in esame, in difetto di sollecitazioni delle parti in tal senso, ci s esime dall’affrontare questa controversa questione e si rileva che la qualificazione giuridica del fatto attribuito al. ricorrente ai sensi dell’art. 391 cod. pen. non può ritenersi eccentrica rispetto al contenuto del capo di
imputazione, nel quale si contesta all’imputato, per l’appunto, di avere ricevuto un apparecchio telefonico.
5. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 marzo 2025.