Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29957 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29957 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ATRI il 11/01/1972
avverso la sentenza del 28/10/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha c GLYPH uso chiedendo
udito il PubbliJrrTtero, in persona dei.Sostituto Procuratore NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 28/10/2024 la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara con cui NOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, così riqualificata l’originaria imputazione, e condannato alla pena di mesi sei di ‘reclusione ed euro mille di multa.
All’imputato era contestato di avere detenuto – al fine di vendita e cessione a terzi – due piantine di cannabis, grammi 139 di sostanza stupefacente del tipo marijuana, 2 grammi di sostanza stupefacente del tipo hashish.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi di doglianza.
Erronea applicazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90 e manifesta illogicità della motivazione.
La difesa, dopo avere richiamato la vicenda di causa, ha osservato come nel primo giudizio e innanzi alla Corte d’appello avesse invocato l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto, sulla scorta dei principi di diritto stabi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno sancito l’irrilevanza penale delle attività di coltivazione di sostanza stupefacente di minime dimensioni, svolte in forma domestica, destinate a produrre quantitativi modestissimi che soddisfano il consumo strettamente personale del coltivatore.
Plurime sarebbero le circostanze che depongono in tal senso nel caso in esame.
La coltivazione era costituita da due uniche piante in vaso e nessuna strumentazione professionale idonea alla produzione, raccolta e conservazione dei prodotti è stata rinvenuta in loco.
E’ stata altresì posta in rilievo l’assenza di elementi idonei a rivelare la destinazione allo “spaccio” delle sostanze rinvenute nella disponibilità del ricorrente. Invero, lo stupefacente non risultava suddiviso in dosi; non è stato rinvenuto materiale idoneo al confezionamento della sostanza; non è stato rinvenuto danaro contante riconducibile all’attività di cessione; mancano elementi suscettibili di rivelare che COGNOME NOME intrattenesse rapporti commerciali illeciti con altri soggetti coinvolti; non sono stati documentati movimenti sospetti in prossimità dell’abitazione del ricorrente.
Con riferimento alla sostanza ormai essiccata, ove l’imputato fosse stato veramente dedito all’attività di spaccio, non avrebbe certamente fatto in modo che la sostanza si deteriorasse.
Le determinazioni assunte dalla Corte di appello con riferimento alla denegata assoluzione dell’imputato sarebbero affette dai vizi della violazione di legge e della illogicità della motivazione. Con riguardo al dato ponderale, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini della ricorrenza del reato di cui all’art. d.P.R. 309/90, il superamento dei limiti tabellari indicati dall’articolo 73-bi comma 1, lettera c), d.P.R. 309/1990, non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, unitamente al dato quantitativo, le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere la fìnalit (. dell’uso esclusivamente personale della detenzione.
Sulla scorta di quanto sopra, in assenza di ulteriori elementi idonei a suffragare la destinazione delle sostare rinvenute alla cessione, il mero dato ponderale non è affatto idoneo a sostenere l’affermazione di penale · responsabilità a carico dell’imputato.
Nel caso in esame non può ritenersi che la pronuncia gravata si sia attenuta a tali parametri, difettando i requisiti della univocità e precisione dei da indiziari.
La Corte territoriale, come già il Giudice di prime cure, ha ritenuto di poter valorizzare il dato rappresentato dal rinvenimento di un coltello intriso di sostanza stupefacente e di un bilancino di precisione. Tali elementi, tuttavia, non possono ritenersi univocamente idonei a dimostrare la sicura destinazione della sostanza alla vendita.
Da ultimo, la Corte d’appello sarebbe incorsa nel travisamento della prova nella parte della sentenza in cui afferma che non risulta in alcun modo dalle emergenze processuali che i 139 grammi di marijuana essiccata fossero deperiti e “non fumabili”.
L’assunto è smentito dall’esito del verbale di perquisizione del 13/7/2021 (dove è espressamente indicato, con riguardo al reperto in questione, che si trattava di “139 grammi di sostanza vegetale verdastra essiccata, verosimilmente Marijuana”) e dalle dichiarazioni dell’imputato nel corso dell’esame reso all’udienza del 23/6/2022, allorquando ha specificato che la sostanza contenuta nel barattolo, era vecchia di due anni, non fumabile perchè andata a male”.
Tale rilievo appare non trascurabile nella vicenda in esame, in quanto, seguendo l’elaborazione giurisprudenziale, tra gli indici valutabili per la prova
della finalità di spaccio rientrano la qualità e quantità dello stupefacente detenuto in rapporto alle esigenze personali dell’imputato. Sul piano logico la Corte avrebbe dovuto considerare che, se effettivamente il ricorrente fosse stato dedito al commercio della droga, avrebbe evitato lo scadimento della sostanza.
II) Con il secondo motivo di ricorso, la difesa si duole del mancato riconoscimento della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., lamentando la carenza e l’illogicità della motivazione espressa dalla Corte territoriale sull’argomento e l’erronea applicazione della norma in parola.
L’applicazione dell’istituto richiede una valutazione congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’articolo 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibili e dell’entità del danno o del pericolo.
Nel caso di specie non è stata in alcun modo valutata l’obiettiva insussistenza di elementi idonei a comprovare un’attività di cessione a terzi delle sostanze stupefacenti rinvenute, nè l’insussistenza di significativi riscontri indiziari idonei a supportare la ritenuta destinazione a fini di cessione a terzi delle sostanze rinvenute (lo stupefacente non era suddiviso in dosi; non è stato rinvenuto materiale idoneo al confezionamento; non è rinvenuto denaro contante da ricondursi all’attività di cessione).
Non è stata in alcun modo valutata l’incensuratezza del ricorrente e la totale assenza di qualsivoglia elemento idoneo a configurare l’inserimento dello stesso nell’ambito di rapporti commerciali illeciti. Pertanto, la sentenza in esame ha totalmente omesso la necessaria valutazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, alla luce dell’articolo 133 cod. pen., con ciò incorrendo nel lamentato vizio motivazionale.
Il Procuratore Generale presso la corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso risultano manifestamente infondati; pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Prima di passare all’esame delle singole censure, è opportuno rammentare che, in caso di “doppia conforme” affermazione di responsabilità, la sentenza di primo grado e quella di appello, per giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed
inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità e della completezza della motivazione (ex multis Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Inoltre, sempre secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo ai fini delle soluzioni adottate. Pertanto, in tal caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e la ricostruzione fornita dal giudice nella sentenza impugnata (cfr. Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME ed altri, Rv. 254107).
Sempre in via preliminare, è d’uopo rammentare che in questa sede non possono essere prospettate questioni in fatto o differenti valutazioni di risultanze processuali, in quanto simili indagini esulano dai poteri attribuiti al giudice d legittimità.
In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (così Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, .COGNOME, Rv. 216260).
Ne consegue che, una volta che il giudice abbia offerto una logica motivazione, coordinando gli elementi sottoposti al suo esame in modo coerente e non contraddittorio, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601, così massinnata:”In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati da ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito”).
Pertanto, la corretta deduzione del vizio di motivazione deve palesare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e palesemente difettoso sul piano logico, senza alcuna possibilità di introduzione di diverse ricostruzioni altrettanto logiche.
Quanto al vizio del travisamento della prova, pure evocato nei motivi di ricorso, secondo giurisprudenza consolidata, il ricorso che, in applicazione della formulazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di «travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 – 01): a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo dei dibattimento; d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impiant argomentativo del provvedimento impugnato.
Va altresì aggiunto che, nell’ipotesi di doppia pronuncia conforme, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777: «Nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado»).
Ciò premesso, quanto al primo profilo di doglianza si osserva quanto segue.
La Corte territoriale ha ritenuto che la sostanza stupefacente rinvenuta non fosse destinata esclusivamente al consumo personale, ponendo in evidenza le seguenti circostanze: il possesso di sostanza stupefacente di diversa natura; il fatto che dalla marijuana fossero ricavabili 330 dosi singole; la presenza nell’abitazione dell’imputato dì un bilancino dì precisione e di un coltello intriso d sostanza stupefacente.
La Corte territoriale ha osservato che la valutazione della condotta serbata dal ricorrente non potesse essere limitata al solo possesso delle due piante, che, si legge in motivazione, potrebbe rappresentare una coltivazione domestica, ma deve essere estesa anche al possesso di 2 grammi di hashish e 139 grammi di marijuana.
A questo proposito non è superfluo considerare che il primo giudice aveva evidenziato la capacità drogante di tutta la sostanza caduta in sequestro, riportando in motivazione gli esiti delle analisi di laboratorio, che avevano dato i seguenti risultati: gr. 2,0615 di hashish, con un principio attivo pari al 23,59%, capace di garantire n. 19,4 dosi singole; gr. 138,400 di marijuana, con un principio attivo pari allo 0,43%, capace di garantire n. 23,8 dosi singole; gr. 113,600 di hashish, con un principio attivo pari al 7,26%, capace di garantire n. 329,9 dosi singole.
Detti elementi, unitariamente considerati, hanno indotto i giudici di merito a ritenere che la sostanza caduta in sequestro fosse destinata anche alla cessione a terzi.
A tali elementi deve aggiungersi la circostanza che furono ritrovati nella stessa abitazione un bilancino di precisione funzionante ed un coltello intriso di sostanza stupefacente.
La valutazione circa l’impiego di detti strumenti al confezionamento in dosi, avversata dalla difesa, non è suscettibile di essere censurata.
Si tratta di valutazioni che attengono al merito, non connotate da manifesta illogicità ed eccentricità.
La motivazione, immune da vizi logici e coerente rispetto alle emergenze processuali richiamate nella sentenza, rispecchia i principi consolidati espressi sull’argomento in sede di legittimità, in base ai quali, ai fini della determinazione della destinazione alla vendita ed alla cessione della sostanza stupefacente devono essere presi in considerazione elementi oggettivi, univoci e significativi, in questo caso non limitati soltanto al quantitativo, ma anche alla presenza di strumenti atti al confezionamento in dosi.
Non si individua il lamentato vizio del travisamento della prova: in realtà, la difesa richiama l’attenzione su profili che riguardano l’interpretazione delle
emergenze probatorie, prospettando una diversa ricostruzione dei fatti, la cui considerazione non rientra nel perimetro del sindacato di questa Corte.
Per altro verso, le risultanze del certificato di analisi richiamate nell sentenza di primo grado, rivelano la capacità drogante di tutta la sostanza in sequestro, il che giustifica l’argomentazione addotta dalla Corte territoriale, in base alla quale non risulta che la marijuana fosse deperita e inservibile.
4. Del pari manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso. La Corte di merito ha offerto congrua motivazione in ordine alle ragioni che hanno imposto il rigetto della richiesta, escludendo la ricorrenza del parametro della particolare tenuità dell’offesa. E’ utile ricordare che l’art. 131-bis cod. pen prevede, quali condizioni per l’esclusione della punibilità (congiuntamente e non alternativamente), la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici requisiti» delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133, primo comma, cod pen., sussista l’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa e, con questo coesista anche quello della non abitualità del comportamento. (Sez. U, n.13682 del 25/02/2016, COGNOME, in motiv.; Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, COGNOME, Rv.26544901).
Riferendosi la norma invocata alla connotazione storica della condotta, il giudice deve valutare, sulla base di un giudizio versato nel merito, perciò insindacabile in sede di legittimità ove sostenuto da argomentazioni logiche e coerenti, se sussistano i presupposti per la concessione del beneficio, dopo aver considerato le forme di estrinsecazione del comportamento tenuto dall’imputato, la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il concreto bisogno della pena.
Nel caso di specie, il giudice di merito, facendo corretta applicazione dei principi sopra indicati, ha evidenziato come il quantitativo delle sostanze cadute in sequestro e la loro diversa qualità non consentano di qualificare il fatto in termini di minima e trascurabile offensività del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata.
Trattasi di circostanze apprezzate con argomentare immune da incongruenze logiche e coerente con le risultanze istruttorie, tale da portare la decisione adottata al riparo da censure prospettabili in sede di legittimità.
Al riguardo, le critiche difensive portate alle argomentazioni sostenute dalla Corte d’appello sono tendenti a sollecitare una diversa considerazione di aspetti valutativi di merito, non consentita in questa sede.
5. Consegue alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della
causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000).
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
In Roma, così deciso il 3 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il Prespnte