Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37749 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37749 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 635/2025
NOME COGNOME
UP – 17/10/2025
NOME COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (cui 01a2kng) nato a(BANGLADESH) il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 16/01/2025 della Corte d’appello di Genova visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo chiedendo l’inammissibilità del ricorso. sentito il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO del foro di Genova in che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Genova, previa concessione delle attenuanti generiche, ha confermato la sentenza di condanna nei confronti di NOME, in ordine al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., artt. 1 e 2 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), applicandogli la pena di otto mesi di reclusione ed euro 2000,00 di multa. Fatto Commesso in Genova il 10 dicembre 2018.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME, per il tramite del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il ricorrente ha dedotto la contraddittorietà della motivazione.
In particolare si è eccepito che la sentenza sarebbe incorsa nel vizio indicato in quanto, pur affermando che il ricorrente detenesse materiale pirotecnico, consistente in ordigni artigianali, nella quasi totalità di libera vendita per il cui commercio occorre il patentino da fuochista, con una torsione argomentativa al pari della sentenza di primo grado, avrebbe considerato il materiale pirotecnico quale materiale esplosivo, non soffermandosi sulla differenza intercorrente tra i petardi e l’altro materiale caduto in sequestro, come ad esempio le fontanelle.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale lì dove la sentenza ha equiparato il materiale pirotecnico agli esplosivi.
Nel ricorso si è dedotto che la sentenza di appello, pur rilevando che si tratta di prodotti di libera vendita, li qualifica esplosivi, e si è evidenziato altresì che i petardi Raptor e i petardi Cobra possono essere detenuti e usati con il patentino da fuochista, non potendosi qualificare come ordigni micidiali e quindi esplosivi; né può essere qualificato tale il materiale indicato nel verbale di sequestro, ovvero i prodotti del tipo cascate di stelle, candele magiche, mini razzetti ecc., per i quali la liceità è comprovata dalle fatture d’acquisto.
Si è anche evidenziato che la sentenza definisce il materiale pirotecnico del tipo TARGA_VEICOLO, sebbene, come indicato nel verbale di perquisizione, esso sia classificato F1 e F2 e in ogni caso si è eccepito che la sentenza non ha motivato sul perché tale materiale può divenire esplosivo.
Il ricorrente ha, poi, dedotto, la contraddittorietà della motivazione ancorata alle testimonianze dei testi e dei consulenti tecnici dell’accusa, in comparazione con le dichiarazioni del consulente della difesa, in relazione alla natura micidiale dei petardi Cobra e Raptor 6 super sui quali soltanto è stato espletato l’accertamento tecnico, rilevandosi al riguardo che per la detenzione dei 20 gr. di polvere è intervenuta la pronuncia assolutoria.
In particolare, la difesa ha evidenziato come la capacità micidiale sia stata ritenuta dal consulente del Pubblico ministero per effetto della spaccatura di un legno al quale erano stati ancorati i petardi per lo svolgimento della consulenza, pur evidenziandosi che alla domanda della difesa in ordine a cosa accadrebbe se un petardo fosse lanciato acceso a una distanza di 30 metri nel nulla, il consulente ha risposto che non sarebbe accaduto niente.
La sentenza, poi, non si sarebbe confrontata con quanto affermato dal Maresciallo dei Carabinieri Zini, che ha riferito che i petardi Raptor e Cobra 6 super
erano di libera vendita fino al 2014, e che successivamente, sono commercializzabili solo da personale specializzato.
La difesa ha altresì dedotto il vizio di contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la destinazione alla vendita dei petardi, non dando rilevanza all’uso domestico, in tal modo non soltanto invertendo l’onere probatorio, ma desumendo finalizzazione al commercio dall’essere stati i petardi rinvenuti nel negozio, nascosti sotto il registratore di cassa, parzialmente occultati rispetto ai fuochi in vetrina.
Secondo la difesa, dalla testimonianza del luogotenente dei carabinieri COGNOME emergerebbe, invece, che i fuochi proprio perché non erano in esposizione non sarebbero stati destinati alla vendita. Peraltro, in sede di spontanee dichiarazioni l’imputato ha riferito che i petardi erano destinati ad essere utilizzati con i propri figli in luogo aperto.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale per non avere derubricato il reato in quello di cui all’art. 678 cod. pen.
La difesa ha rilevato che la Corte di appello ha qualificato il materiale detenuto come esplosivo adducendo in maniera erronea e non conforme alle emergenze istruttorie il carattere della micidialità per l’ingente quantità, per il precario confezionamento e per la concentrazione in ambito angusto e in prossimità a luoghi frequentati.
La sentenza, inoltre, non si sarebbe confrontata con il motivo di appello secondo cui il giudice di primo grado avrebbe utilizzato il dato delle pessime modalità di acquisto e di conservazione e stoccaggio dei fuochi di artificio, pur non essendo emerso nell’istruttoria.
La difesa ha anche eccepito che la sentenza avrebbe svalutato la consulenza tecnica di parte, peraltro mai citata dalla sentenza di primo grado, ritenendola superata dai testi qualificati dell’accusa. A tal riguardo è stato dedotto che la consulenza di parte, a firma di un ingegnere chimico di elevato profilo professionale, avrebbe meritato una confutazione puntuale atteso che argomenta autorevolmente l’erronea assimilazione dei prodotti pirotecnici alle polveri se considerate sfuse, confutando la micidialità del materiale e affermando che esso non sarebbe mai potuto detonare con effetto micidiale.
Ancora la difesa ha evidenziato che il proprio consulente ha escluso che una eventuale ed accidentale esplosione potesse accelerare la reazione della catasta di fuochi, escludendo la sussistenza dei requisiti per acclarare che un prodotto pirotecnico abbia un generico potenziale lesivo mortale; non è stata, infatti,
riscontrata alcuna manomissione, né cattive modalità di conservazione, né sono state rinvenute polveri pirotecniche sfuse, ma prodotti finiti e integri nelle confezioni di fabbrica; né ancora l’ambiente, composto da due locali più un magazzino poteva essere definito angusto.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito evidenziate.
Va sin da ora rilevata l’assoluta aspecificità dei motivi di ricorso, i quali, in modo del tutto generico, hanno reiterato e riprodotto argomenti già prospettati nell’atto di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che, tuttavia, il ricorrente non ha tenuto in conto al fine di confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, limitandosi a lamentare una presunta, ma inesistente carenza o illogicità della motivazione nonché l’errata applicazione della legge penale per non avere qualificato i fatti ai sensi dell’art. 678 cod. pen. (Sez. 2 – , Sentenza n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME G. Rv. 276970 – 01; conf.: Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608 – 01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838 – 01).
Ciò premesso, va evidenziato che i primi due motivi, ponendo sostanzialmente i medesimi temi, possono essere trattati congiuntamente.
Premesso che i fatti oggetto dell’imputazione sono stati ricostruiti dalle due sentenze di merito con valutazione conforme delle complessive emergenze processuali, va rilevato che la natura micidiale del materiale rivenuto presso l’esercizio commerciale denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘ di NOME è stata puntualmente e diffusamente argomentata nella sentenza censurata, essendosi dato atto che il ricorrente, senza patentino da fuochista, deteneva 110 kg lordi di artifici pirotecnici, con complessivi 23,72 kg di principio attivo di polvere pirica, tra cui 16 confezioni di petardi del tipo Raptor f 22 e 12 confezioni di petardi del tipo Cobra 6 super , sprovvisti di marchiatura CE e tutti ordigni artigianali; specificandosi, altresì, che le confezioni dei petardi non erano esposte in vetrina, ma occultate sotto il banco vendita, custodite in confezioni non integre e che altra parte di tale materiale era collocato sotto un espositore di tessuti.
Dalle sentenze di merito risulta, poi, che i Carabinieri intervenuti per primi, hanno reputato necessario l’intervento di operatori specializzati ovvero degli artificieri i quali hanno, poi, qualificato tale materiale come composti esplosivi perché particolarmente sensibili alla fiamma al calore all’urto allo sfregamento e all’umidità, trattandosi, dunque, facilmente innescabile. Si è specificato che si trattava di involucri in plastica che, nel caso in cui si trovino esposti all’umidità, se poi si asciugano, sviluppano calore con possibile innescamento involontario, alla base di tutti gli incidenti che avvengono nelle fabbriche di fuochi di artificio.
Risulta anche che il materiale rinvenuto è stato oggetto di accertamento tecnico mediante innesco, che ha dato esito positivo confermandone la pericolosità, rilevandosi, nella sentenze di merito, che il materiale pirotecnico, seppure non micidiale se singolarmente considerato, lo diventa per quantitativo e concentrazione in un ambiente angusto; condizioni la cui sussistenza nella fattispecie è stata fornita dalle sentenze di merito con scrupolosa precisione e in modo coerente con le emergenze processuali, lì dove si è dato rilievo alla circostanza che detto materiale era detenuto all’interno del negozio in quantità massiccia, in ambiente angusto dotato di impianto elettrico privo di accorgimenti di sicurezza.
A fronte di tale solido impianto argomentativo, deve rilevarsi come il ricorrente abbia minimizzato la portata offensiva di tale materiale spostando l’attenzione sul fatto che i petardi fossero di libera vendita e sulla impossibilità di considerare la portata micidiale di fontanelle e candele magiche ecc., omettendo, però, di confrontarsi con l’affermata pericolosità del materiale complessivamente detenuto, confezionato in modo artigianale e detenuto in condizioni non adeguate al tipo di materiale.
Neppure si intende che efficacia scardinante di tali conclusioni abbia il rilievo che un petardo, lanciato acceso ‘nel nulla’, non produca effetti di pericolo per chicchessia.
Parimenti inammissibile, perché meramente reiterativo del motivo di appello, è la doglianza relativa alla contraddittorietà della sentenza circa la ritenuta destinazione alla vendita dei petardi Raptor e Cobra.
Anche in relazione a tale profilo, la sentenza ha puntualmente fornito le ragioni della detenzione di tale materiale ai fini della sua commercializzazione, avendo affermato che i petardi erano tenuti all’interno del negozio, insieme ad altri fuochi esposti in vetrina e non nella attigua abitazione del ricorrente, ciò che sotto un profilo strettamente logico, come rilevato dai giudici di merito, esclude l’uso meramente domestico.
In conclusione, sia il primo che il secondo motivo risultano manifestamente infondati non solo perché non si confrontano con la sentenza che ha ben spiegato le ragioni per le quali è stata affermata la capacità esplosiva del materiale detenuto dal ricorrente, ma risultano anche inconferenti perché muovono dall’errato presupposto che la qualificazione di materiale come pirotecnico escluda di per sè la natura esplosiva dello stesso.
Consegue da quanto finora osservato che la sentenza impugnata, con motivazione puntuale e d esaustiva, ha correttamente applicato il principio affermato da questa Corte, secondo cui integra il delitto di illegale detenzione di esplosivi, e non la contravvenzione di detenzione abusiva di materie esplodenti, la condotta avente ad oggetto materiali pirotecnici, non micidiali se singolarmente considerati, che in determinate condizioni – quali l’ingente quantitativo, il precario confezionamento, la concentrazione in ambiente angusto, la prossimità a luoghi frequentati – costituiscono pericolo per persone o cose, assumendo nell’insieme la caratteristica della micidialità (Sez. 1, n. 50925 del 19/07/2018, Rv. 27447: fattispecie relativa all’occultamento in un box, senza cautele da innesco occasionale, di venticinque manufatti del tipo bomba-carta, per un peso complessivo di kg. 2,7, di incerta provenienza; in senso conforme, Sez. 1, n. 13831 del 07/01/2025, Pg, Rv. 287957 – 01, ha altresì affermato, con riferimento alla bomba carta che se caratterizzata da limitata carica esplosiva è ricompresa tra le materie esplodenti, sicché la sua detenzione non preceduta dalla denuncia all’autorità integra la contravvenzione di cui all’art. 679 cod. pen., mentre quella che, per natura e quantità della carica e per le modalità di confezionamento, abbia capacità di provocare un rilevante effetto distruttivo va considerata un congegno esplosivo, la cui detenzione è punita a norma dell’art. 2 legge 2 ottobre 1967, n. 895).
Quanto al terzo motivo, con cui si è dedotto che la sentenza di appello non si sarebbe pronunciata sulla doglianza tesa a confutare l’utilizzo di un dato non emerso nell’istruttoria, ovvero quello concernente le pessime modalità di conservazione dei petardi, deve rilevarsi come si tratti di censura generica che non si misura con le sentenze di merito che, invece, hanno attribuito specifico rilievo alle modalità di detenzione dei petardi, evidenziando come gli stessi fossero custoditi in confezioni non integre esposte all’umidità e in assenza di adeguati sistemi elettrici all’interno del negozio.
Né, infine, risulta cogliere nel segno la doglianza concernente il mancato confronto con le conclusioni della consulenza di parte in quanto, anche in relazione
a tale specifico aspetto, la sentenza, nel fornire le ragioni della condivisione degli accertamenti dei consulenti del Pubblico Ministero, ha mostrato di non condividere le conclusioni della difesa sull’assenza di capacità esplosiva del materiale in questione.
Sul punto giova ricordare che in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente; conseguentemente, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen., solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice. (Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909 – 01).
Alla luce delle esposte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro tremila.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 17 ottobre 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME