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Detenzione inumana: i limiti del risarcimento

Un detenuto ha fatto ricorso per ottenere un risarcimento per presunta detenzione inumana, lamentando le condizioni subite in un istituto penitenziario per un periodo di circa cinque anni. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo la Corte, per ottenere un risarcimento per detenzione inumana, non basta qualsiasi disagio, ma è necessaria una sofferenza che ecceda quella inevitabilmente legata allo stato detentivo. Nel caso specifico, la valutazione complessiva delle condizioni, incluso lo spazio pro capite (sempre superiore a 3mq), non ha rivelato una violazione dell’art. 3 CEDU. Il ricorso è stato ritenuto generico perché si limitava a ripetere le stesse lamentele senza contestare specificamente le motivazioni della decisione precedente.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Inumana: Non Ogni Disagio in Carcere Giustifica un Risarcimento

Il tema della detenzione inumana è centrale nel dibattito sui diritti fondamentali delle persone private della libertà personale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sui presupposti necessari per ottenere il risarcimento previsto dall’ordinamento in questi casi, sottolineando che non ogni condizione di sofferenza è sufficiente a integrare una violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava ricorso avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva respinto la sua richiesta di risarcimento per il trattamento detentivo asseritamente inumano subito presso un istituto penitenziario per un periodo di circa cinque anni (dal maggio 2017 al giugno 2022). Il ricorrente lamentava condizioni contrarie all’art. 3 della CEDU, chiedendo l’applicazione del rimedio compensativo previsto dall’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario.

Il Tribunale di Sorveglianza, già in sede di reclamo, aveva rigettato l’istanza, basandosi su una valutazione complessiva delle condizioni carcerarie. Questa valutazione teneva conto non solo dello spazio pro capite a disposizione del detenuto, che risultava essere quasi sempre superiore ai 4 mq e comunque costantemente al di sopra della soglia minima di 3 mq, ma anche delle condizioni strutturali, logistiche e del regime trattamentale effettivo, come documentato dalle informative della direzione dell’istituto.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla detenzione inumana

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che il ricorso non superava il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto non si confrontava adeguatamente con le motivazioni del provvedimento impugnato. In particolare, il ricorrente si era limitato a reiterare le medesime argomentazioni già presentate e respinte in sede di reclamo, senza attaccare specificamente il ragionamento logico-giuridico che aveva portato il Tribunale di Sorveglianza a negare la violazione.

I Criteri per il Riconoscimento del Danno da detenzione inumana

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: non ogni lesione o disagio patito in carcere può automaticamente fondare una richiesta di risarcimento. Il rimedio compensativo è riservato a quelle situazioni in cui le condizioni detentive provocano “uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione”. In altre parole, deve trattarsi di una sofferenza qualificata, che va oltre il normale e prevedibile disagio connesso alla privazione della libertà.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. Il primo è di carattere sostanziale: la decisione del Tribunale di Sorveglianza era ben motivata e basata su un’analisi completa e non solo limitata al mero calcolo dello spazio disponibile. Aveva considerato le condizioni strutturali, logistiche e il trattamento praticato, concludendo che, nel complesso, non vi era stata una violazione dei diritti del detenuto. Il secondo pilastro è di carattere processuale: il ricorso per Cassazione è stato giudicato “aspecifico”. Il ricorrente, infatti, non ha mosso critiche puntuali alla motivazione della decisione impugnata, ma ha semplicemente riproposto le sue lamentele in modo generico. Questo comportamento processuale impedisce alla Corte di Cassazione di valutare nel merito la questione, poiché il suo compito non è riesaminare i fatti, ma controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione del giudice precedente.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un concetto fondamentale per chi agisce in giudizio per il risarcimento da detenzione inumana: è necessario dimostrare non solo un disagio, ma una sofferenza che superi la soglia della tollerabilità e che sia causata da condizioni oggettivamente gravi. Inoltre, a livello processuale, è cruciale che l’impugnazione non sia una mera ripetizione di lamentele, ma una critica strutturata e specifica delle ragioni della decisione che si contesta. La conseguenza dell’inammissibilità del ricorso è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Quando le condizioni carcerarie giustificano un risarcimento per detenzione inumana?
Non ogni disagio o sofferenza legata alla detenzione dà diritto a un risarcimento. È necessario che le condizioni provochino uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata allo stato detentivo, integrando una violazione dell’art. 3 CEDU.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto aspecifico. Il ricorrente si è limitato a ripetere le stesse argomentazioni già presentate in precedenza, senza contestare in modo puntuale e critico il ragionamento logico-giuridico su cui si basava la decisione del Tribunale di Sorveglianza.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente in caso di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, data l’assenza di elementi che potessero escludere la sua colpa nel promuovere un ricorso inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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