Detenzione Inumana: Non Ogni Disagio in Carcere Giustifica un Risarcimento
Il tema della detenzione inumana è centrale nel dibattito sui diritti fondamentali delle persone private della libertà personale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti sui presupposti necessari per ottenere il risarcimento previsto dall’ordinamento in questi casi, sottolineando che non ogni condizione di sofferenza è sufficiente a integrare una violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
I Fatti del Caso
Un detenuto presentava ricorso avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva respinto la sua richiesta di risarcimento per il trattamento detentivo asseritamente inumano subito presso un istituto penitenziario per un periodo di circa cinque anni (dal maggio 2017 al giugno 2022). Il ricorrente lamentava condizioni contrarie all’art. 3 della CEDU, chiedendo l’applicazione del rimedio compensativo previsto dall’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario.
Il Tribunale di Sorveglianza, già in sede di reclamo, aveva rigettato l’istanza, basandosi su una valutazione complessiva delle condizioni carcerarie. Questa valutazione teneva conto non solo dello spazio pro capite a disposizione del detenuto, che risultava essere quasi sempre superiore ai 4 mq e comunque costantemente al di sopra della soglia minima di 3 mq, ma anche delle condizioni strutturali, logistiche e del regime trattamentale effettivo, come documentato dalle informative della direzione dell’istituto.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla detenzione inumana
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che il ricorso non superava il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto non si confrontava adeguatamente con le motivazioni del provvedimento impugnato. In particolare, il ricorrente si era limitato a reiterare le medesime argomentazioni già presentate e respinte in sede di reclamo, senza attaccare specificamente il ragionamento logico-giuridico che aveva portato il Tribunale di Sorveglianza a negare la violazione.
I Criteri per il Riconoscimento del Danno da detenzione inumana
La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: non ogni lesione o disagio patito in carcere può automaticamente fondare una richiesta di risarcimento. Il rimedio compensativo è riservato a quelle situazioni in cui le condizioni detentive provocano “uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione”. In altre parole, deve trattarsi di una sofferenza qualificata, che va oltre il normale e prevedibile disagio connesso alla privazione della libertà.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. Il primo è di carattere sostanziale: la decisione del Tribunale di Sorveglianza era ben motivata e basata su un’analisi completa e non solo limitata al mero calcolo dello spazio disponibile. Aveva considerato le condizioni strutturali, logistiche e il trattamento praticato, concludendo che, nel complesso, non vi era stata una violazione dei diritti del detenuto. Il secondo pilastro è di carattere processuale: il ricorso per Cassazione è stato giudicato “aspecifico”. Il ricorrente, infatti, non ha mosso critiche puntuali alla motivazione della decisione impugnata, ma ha semplicemente riproposto le sue lamentele in modo generico. Questo comportamento processuale impedisce alla Corte di Cassazione di valutare nel merito la questione, poiché il suo compito non è riesaminare i fatti, ma controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione del giudice precedente.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un concetto fondamentale per chi agisce in giudizio per il risarcimento da detenzione inumana: è necessario dimostrare non solo un disagio, ma una sofferenza che superi la soglia della tollerabilità e che sia causata da condizioni oggettivamente gravi. Inoltre, a livello processuale, è cruciale che l’impugnazione non sia una mera ripetizione di lamentele, ma una critica strutturata e specifica delle ragioni della decisione che si contesta. La conseguenza dell’inammissibilità del ricorso è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Quando le condizioni carcerarie giustificano un risarcimento per detenzione inumana?
Non ogni disagio o sofferenza legata alla detenzione dà diritto a un risarcimento. È necessario che le condizioni provochino uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata allo stato detentivo, integrando una violazione dell’art. 3 CEDU.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto aspecifico. Il ricorrente si è limitato a ripetere le stesse argomentazioni già presentate in precedenza, senza contestare in modo puntuale e critico il ragionamento logico-giuridico su cui si basava la decisione del Tribunale di Sorveglianza.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente in caso di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, data l’assenza di elementi che potessero escludere la sua colpa nel promuovere un ricorso inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5330 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5330 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MARSALA il 17/06/1960
avverso l’ordinanza del 30/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha rigettato il suo reclamo avverso l’ordinanza del Magistrato Cosenza pronunciata il 20/06/2023, la quale rigettava l’istanza, dal medesimo presentata, volt al risarcimento da inumana detenzione ex art. 35-ter ord. pen. per il trattamento contrario all’art. 3 CEDU asseritamente subito presso l’Istituto di Trapani dal 15/05/2017 al 18/06/2022;
Ritenuto che il ricorso non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, non confrontando adeguatamente con il provvedimento impugnato, che risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “non ogni lesione astrattamente tutelabile con l’azione inibito cui all’art. 35-bis ord. pen., può costituire la base giuridica per il riconoscimento dello rimedio compensativo, ma solo quelle che sono idonee a provocare all’interessato uno sconforto e un’afflizione di intensità tale da eccedere l’inevitabile sofferenza legata alla detenzione” 1, n. 11602 del 27/01/2021, COGNOME, Rv. 280681;
Osservato in particolare che l’ordinanza impugnata ha ritenuto non ravvisabile alcuna violazione dell’art. 3 CEDU, non solo in considerazione dello spazio pro capite a disposizio del detenuto, nella maggior parte dei periodi al di sopra dei 4 mq, e comunque sempre al di sopra dei 3 mq pro capite, ma anche alla stregua di una valutazione complessiva , tenuto conto delle condizioni strutturali e logistiche , e del regime trattamentale effettivamente prat come risultante dalle dettagliate informative fornite dalla Direzione dell’istituto penitenz
Rilevato che, a fronte di tale esaustiva motivazione, il ricorso, peraltro consentito solt per violazione di legge, si limita a reiterare pedissequamente le medesime argomentazioni già dedotte in sede di reclamo, senza peraltro aggredire il ragionamento posto alla base dell decisione impugnata che alle relative doglianze ha comunque fornito risposta, donde la sostanziale aspecificità dell’odierna impugnazione;
Ritenuto, pertanto, che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento dell somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024