Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14505 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14505 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 12/08/1984
avverso la sentenza del 30/09/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso dell’Avv. COGNOME e la memoria difensiva;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni di cui alla requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della sostituta P.G. NOME COGNOME
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 611 c.p.p. (non convertibile ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis c.p.p.)
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila del 30/09/2024, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Teramo che ha condannato il ricorrente alla pena di giustizia in ordine al reato di cui all’art. 635 cod. pen.
La difesa affida il ricorso ad un unico motivo, denunciando la violazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., degli artt. 179, 185, 420-bis e 420-ter cod. proc. pen. In particolare, si deduce la nullità di entrambe le sentenze di merito, poiché all’atto della deliberazione della sentenza di primo grado (all’udienza del 15 giugno 2023) l’imputato risultava detenuto, circostanza nota al Tribunale, tanto che nel frontespizio della decisione la sentenza lo indicava come “ristretto presso la Casa circondariale di Viterbo”. A conferma di ciò si precisa di avere allegato all’atto di appello certificato del DAP del 31 ottobre 2023 attestante la detenzione carceraria dell’imputato dal 25 giugno 2022 all’8 agosto 2023. A nulla valeva, quindi, il richiamo operato dalla sentenza impugnata al fatto che l’imputato aveva rinunziato a comparire all’udienza fissata il 14 luglio 2021, non potendo detta rinunzia estendere i suoi effetti anche a quella successiva del 15 giugno 2023 in cui è stata deliberata la sentenza.
Il Pubblico Ministero, in persona della sostituta P.G. NOME COGNOME con requisitoria del 18 febbraio 2025, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con memoria del 28 febbraio 2025, la difesa dell’imputato ha insistito per l’accoglimento del ricorso, chiedendo che, in subordine, la questione, potendo dare origine ad un contrasto giurisprudenziale, sia rimessa alle Sezioni unite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
Al fine di esaminare la questione posta dalla difesa è necessario ripercorrere lo svolgimento del processo di primo grado per come risulta dall’esame del fascicolo a cui il Collegio può accedere trattandosi di questione di carattere processuale.
L’imputato, con dichiarazione resa in stato di detenzione per altro reato presso la Casa Circondariale di Viterbo il 02/07/2021, rinunciava a presenziare all’udienza del 14/07/2021, nella quale veniva escusso il teste COGNOME COGNOME revocata l’ammissione degli altri testi, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale e rinviato il processo per la discussione al 17/01/2022.
Successivamente a tale ultima data, vengono celebrate altre quattro udienze (9/05/2022, 11/07/2022, 15/11/2022, 17/04/2023), tutte rinviate a seguito di legittimo impedimento del difensore, di un membro del collegio giudicante e per la discussione.
All’udienza del 15/06/2023 la vicenda processuale ha epilogo, venendo deliberata, dopo la discussione e le rispettive conclusioni rassegnate dalle parti, la sentenza di primo grado.
In ragione di ciò, la difesa lamenta la mancata vocatio in iudicium dell’imputato in quanto egli, nonostante fosse in stato di detenzione certificata, non è stato nuovamente tradotto in udienza, non potendo così partecipare ed eventualmente intervenire nel processo che lo vede coinvolto.
Ad avviso della Corte di merito, infatti, la dichiarazione dell’imputato di rinuncia a comparire resa in relazione alla precedente udienza del 14/07/2021 (ove venne escusso il teste di p.g.) non può essere intesa limitatamente a quella data, ma si estende, in assenza di una contraria manifestazione di volontà dell’imputato, anche a tutte le udienze successive.
Secondo il ricorrente invece, vista la chiarezza delle modalità di espressione della dichiarazione e la specificità della sua rinuncia, limitata ad una sola delle udienze fissate, non è possibile estendere l’atto all’intero dibattimento, pena la nullità di tutti gli atti conseguenti alla mancata traduzione dell’imputato, comprese dunque le sentenze di primo e secondo grado.
Tanto premesso, va anzitutto rilevato un dato che emerge dal fascicolo processuale che non risulta essere stato indicato nella ricostruzione della vicenda processuale contenuta nel ricorso.
Risulta, infatti, che l’imputato non venne tradotto per l’udienza del 9 maggio 2022 in quanto scarcerato 1’11 marzo 2022 come da comunicazione del DAP Matricola della C.C. di Frosinone allegata al verbale di udienza. Nell’occasione, si precisa che l’imputato elesse domicilio presso lo studio del difensore di fiducia che ha interposto il ricorso per cassazione.
Non risulta, poi, che la circostanza del nuovo arresto dell’imputato – avvenuto in esecuzione di un titolo definitivo il 25 giugno 2022 – che lo pone in stato di detenzione per altra causa rispetto all’udienza del 17 aprile 2023 di discussione e deliberazione della sentenza, fosse noto a quel momento al Tribunale. Invero, la certificazione del DAP che ne attesta lo stato di sopravvenuta detenzione è, per come anche evidenziato dal difensore del 9 novembre 2023 e, dunque, successiva alla deliberazione (15/06/2023) e deposito della sentenza (5/10/2023). Né a corredo della conoscenza di tale sopravvenuto stato detentivo al momento dell’udienza può richiamarsi – come fa la difesa – il fatto che sull’intestazione della sentenza sia riportato che l’imputato è “in atto ristretto presso la Casa
circondariale di Viterbo”, in quanto sempre nell’intestazione si legge – in conformità a quanto risulta dal verbale dell’udienza del 17/04/2023 – che la posizione giuridica dell’imputato è “libero assente”.
In conclusione, la difesa non ha specificamente allegato che il Tribunale al momento della deliberazione della decisione fosse venuto a conoscenza del sopravvenuto stato detentivo dell’imputato. Né tale condizione risulta essere stata resa nota in udienza dal difensore di fiducia, sostituito per delega orale da altro avvocato che nulla ha dedotto o eccepito sul punto (il riscontro del DAP alla richiesta del difensore, allegata all’atto di appello, di avere notizie sulla posizione giuridica dell’imputato è del 31/10/2023).
Pertanto, sebbene la restrizione dell’imputato per altra causa, integri un impedimento legittimo a comparire che impone il rinvio del procedimento ad una nuova udienza e la traduzione dell’imputato stesso, al quale non può farsi carico di un onere di tempestiva comunicazione, è pur sempre necessario che tale sopravvenuto stato di detenzione sia documentato o, comunque, comunicato al giudice procedente, in qualunque tempo (Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806 – 01).
Del resto, è lo stesso passaggio della motivazione della sentenza delle Sezioni unite citata dal difensore nell’atto di appello che dà contezza dell’infondatezza del rilievo difensivo, in quanto «il giudice, in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche senza una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato». Il chiaro riferimento agli adempimenti di carattere garantito a cui il giudice è chiamato – e dalla cui omissione origina la nullità – in tanto sono doverosi in quanto sia possibile esitarli nel corso del giudizio, ma non allorché il processo si sia concluso nell’assenza della conoscenza di tale sopravvenuta condizione.
Né, per come dedotto nell’atto di appello, incombeva al Tribunale, stante l’avvenuta scarcerazione dell’imputato, accertare d’ufficio l’eventuale sopravvenienza di un nuovo stato detentivo, adempimento che, invece, pertiene alla notifica della decisione e che per tabulas risulta essere stato personalmente effettuato nei confronti dell’imputato, ai fini dell’esercizio del suo diritto di appell
Alla luce delle considerazioni sopra svolte perde dunque di decisività la questione sollevata coi motivi di ricorso (e la richiesta di rimessione alle Sezioni unite) – in quanto indotta dagli argomenti utilizzati dalla Corte di merito – se la rinuncia a comparire comunque effettuata dall’imputato per la prima udienza conservi la sua efficacia per quelle successive, risultando comunque corretto l’esito finale a cui è pervenuta la sentenza impugnata nel rigettare l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado.
E tanto a prescindere, pertanto, dal richiamo all’orientamento prevalente della
Corte di legittimità secondo cui:
– «la rinuncia a comparire all’udienza da parte del detenuto – a seguito della quale l’imputato è legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato
dal difensore – ha effetto non solo per l’udienza in relazione alla quale essa è
specificamente formulata ma anche per quelle successive, tanto in caso di costante restrizione in esecuzione del medesimo titolo quanto nel caso in cui tra le due
udienze intervenga una nuova forma di restrizione per altra causa»
(cfr. ex mu/tis,
Sez. 4, n. 50444 del 10/12/2019, Stafa, Rv. 277950 – 01; Sez. 6, n. 36708 del
22/07/2015, COGNOME Rv. 264670 – 01; Sez. 4, n. 27974 del 26/03/2014, COGNOME
Rv. 261567 – 01; da ultimo Sez. 4, n. 2992 dell’11/12/2024, dep. 2025, COGNOME;
Sez. 2, n. 12622 del 19/12/2023, dep. 2024, COGNOME);
– «gli effetti della rinuncia a comparire in udienza, da parte dell’imputato detenuto, permangano «fino al momento della revoca espressa di tale rinuncia,
cioè fino a quando l’interessato non manifesti, nelle forme e nei termini di legge, la volontà di essere nuovamente presente e di mettere nel nulla il suo precedente
consenso alla celebrazione dell’udienza in sua assenza» (ex multis Sez. 1, n. 744 del 31/01/2000, Pianese, Rv. 215500 – 01; recentemente, Sez. 4, n. 50444 del 10/12/2019, Stafa, Rv. 277950 – 01).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 18 marzo 2025.