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Detenzione domiciliare e lavoro: si può uscire?

La Corte di Cassazione ha stabilito che una persona in detenzione domiciliare provvisoria ha diritto a chiedere un permesso per lavorare. La richiesta non può essere respinta solo perché la misura è ‘provvisoria’. Il giudice deve sempre valutare le reali esigenze economiche del detenuto. Il caso riguardava un uomo a cui era stato negato il permesso di lavorare come aiuto cuoco. La Cassazione ha annullato la decisione, ordinando al Magistrato di sorveglianza di riesaminare il caso nel merito.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione domiciliare e lavoro: la Cassazione apre alla possibilità di uscire

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha chiarito un punto fondamentale riguardo alla detenzione domiciliare e lavoro: la natura provvisoria della misura non può essere un ostacolo automatico alla concessione di un’autorizzazione per svolgere un’attività lavorativa. Questa decisione sottolinea come il diritto al sostentamento economico debba essere attentamente valutato dal giudice, anche quando la persona si trova agli arresti domiciliari in attesa di un giudizio definitivo.

I Fatti del Caso

Un uomo, sottoposto alla misura della detenzione domiciliare provvisoria, presentava un’istanza al Magistrato di sorveglianza per essere autorizzato ad allontanarsi dalla propria abitazione. Lo scopo era quello di recarsi a lavorare come addetto alla cucina presso un ristorante durante le ore diurne, dal lunedì al venerdì. Il Magistrato, tuttavia, rigettava la richiesta sulla base di un unico presupposto: lo stato di detenzione domiciliare era ‘provvisorio’ e, pertanto, non consentiva la concessione di tale autorizzazione, richiamando anche un suo precedente provvedimento negativo.
Contro questa decisione, l’uomo proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un difetto di motivazione. Sosteneva che il giudice non avesse considerato adeguatamente le norme che regolano la materia, le quali permettono di concedere autorizzazioni al lavoro in presenza di indispensabili esigenze di sostentamento economico.

La distinzione tra detenzione domiciliare provvisoria e definitiva

La questione giuridica al centro del dibattito era se la possibilità di ottenere un permesso lavorativo fosse preclusa ai soggetti in detenzione domiciliare a titolo di misura cautelare (provvisoria), a differenza di coloro che scontano una pena definitiva. Il Magistrato di sorveglianza aveva operato una netta distinzione, creando di fatto una preclusione procedurale basata unicamente sulla natura non definitiva della misura. La difesa del ricorrente, invece, ha sostenuto che la legge non opera tale distinzione, focalizzandosi piuttosto sulla necessità economica della persona.

Le Motivazioni della Cassazione sul tema detenzione domiciliare e lavoro

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno stabilito che il Magistrato di sorveglianza ha errato nel respingere l’istanza senza entrare nel merito della stessa. La decisione della Cassazione si basa su un’interpretazione combinata degli articoli 47 dell’Ordinamento Penitenziario e 284, comma 3, del codice di procedura penale.
Questa lettura congiunta non permette di distinguere, ai fini dell’autorizzazione al lavoro, tra il regime detentivo domiciliare provvisorio e quello definitivo. La concessione del beneficio, in entrambi i casi, è subordinata a un’unica condizione fondamentale: la sussistenza di esigenze di sostentamento economico del condannato o dei suoi familiari che non possono essere soddisfatte in altro modo.
L’articolo 284, comma 3, c.p.p. è esplicito: «Se l’imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa».
La Corte ha inoltre precisato che il precedente diniego, menzionato dal Magistrato, era irrilevante in quanto riguardava una diversa attività lavorativa, da svolgersi in orari notturni. Il giudice, quindi, non poteva esimersi dal considerare le specifiche ragioni della nuova richiesta, che riguardava un lavoro diurno.

Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto cruciale: il Magistrato di sorveglianza, di fronte a una richiesta di autorizzazione al lavoro da parte di un soggetto in detenzione domiciliare, non può limitarsi a un diniego formale basato sulla natura provvisoria della misura. Ha invece il dovere di effettuare una valutazione concreta e approfondita delle condizioni economiche del richiedente, verificando se l’attività lavorativa sia effettivamente indispensabile per il suo sostentamento o quello della sua famiglia. La decisione viene quindi annullata con rinvio, obbligando il Magistrato a un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

È possibile ottenere un permesso per lavorare se si è in detenzione domiciliare provvisoria?
Sì, la Corte di Cassazione ha chiarito che è possibile. La natura provvisoria della detenzione domiciliare non impedisce di per sé la concessione di un’autorizzazione a svolgere un’attività lavorativa.

Quali condizioni devono essere soddisfatte per ottenere l’autorizzazione a lavorare durante la detenzione domiciliare?
La condizione principale è la sussistenza di ‘indispensabili esigenze di vita’ o una ‘situazione di assoluta indigenza’. Il richiedente deve dimostrare che il lavoro è necessario per il sostentamento economico proprio o dei propri familiari e che tali esigenze non possono essere soddisfatte in altro modo.

Il giudice può negare il permesso di lavoro basandosi solo sulla natura ‘provvisoria’ della detenzione domiciliare?
No, non può. Secondo la sentenza, un diniego basato unicamente su questo presupposto è illegittimo. Il giudice è obbligato a esaminare nel merito la richiesta, valutando le specifiche condizioni economiche e le esigenze del detenuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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