Deposito Telematico: L’Errore sull’Indirizzo PEC che Costa Caro
L’avvento del processo telematico ha introdotto nuove regole e formalità che, se non rispettate, possono avere conseguenze definitive sull’esito di una causa. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione, l’ordinanza n. 8719/2024, offre un chiaro esempio di come la precisione nel deposito telematico sia un requisito non negoziabile. Un semplice errore nell’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) può determinare l’inammissibilità di un’impugnazione, precludendo ogni discussione sul merito della questione.
I Fatti del Caso
La vicenda ha origine da un’opposizione presentata da un cittadino avverso un’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Bari. L’opposizione, tuttavia, viene dichiarata inammissibile dal Magistrato di Sorveglianza competente. Il motivo? Un vizio di forma nel deposito dell’atto: era stato inviato telematicamente a un indirizzo PEC non corretto.
Non rassegnandosi alla decisione, il cittadino proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo le proprie ragioni e cercando di superare quello che poteva apparire come un mero formalismo. Il caso è quindi approdato dinanzi alla Suprema Corte per la valutazione definitiva sulla legittimità della dichiarazione di inammissibilità.
La Decisione della Corte di Cassazione e il Deposito Telematico
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando in toto la decisione del giudice precedente. L’impugnazione è stata giudicata “manifestamente infondata” e, di conseguenza, inammissibile. La Corte ha stabilito che le regole procedurali, specialmente quelle relative al deposito telematico degli atti giudiziari, devono essere applicate con rigore, senza margini per interpretazioni estensive o sanatorie in caso di errore.
Le Motivazioni
Il cuore della decisione risiede in un principio consolidato, ribadito con forza dalla Corte. Le norme che disciplinano il processo penale telematico, in particolare l’art. 87-bis del d.lgs. n. 150/2022, stabiliscono che il deposito degli atti debba avvenire esclusivamente presso gli indirizzi di posta elettronica certificata indicati nei provvedimenti del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia.
Secondo i giudici, inviare un atto a un indirizzo PEC diverso, anche se appartenente allo stesso ufficio giudiziario, costituisce un errore insanabile che vizia il deposito e ne determina l’inammissibilità. Non si tratta di un mero formalismo, ma di una regola posta a garanzia della certezza, della tracciabilità e del corretto funzionamento del sistema giudiziario digitale.
La Corte ha inoltre precisato che l’opposizione in questione (prevista dall’art. 16 del d.lgs. n. 286/1998) è soggetta, per espressa previsione normativa, alle regole generali in materia di impugnazioni. Ciò significa che deve rispettare tutti i requisiti di forma e di sostanza previsti dal codice di procedura penale, inclusi quelli, sempre più centrali, relativi alle modalità telematiche.
Conclusioni
L’ordinanza in esame è un monito fondamentale per tutti gli operatori del diritto e per i cittadini. Nell’era della digitalizzazione della giustizia, la precisione e la diligenza negli adempimenti procedurali sono diventate, se possibile, ancora più cruciali. Un errore apparentemente minore, come la selezione di un indirizzo PEC sbagliato, non è una svista perdonabile, ma un vizio procedurale che può compromettere irrimediabilmente la tutela di un diritto. La conseguenza, come in questo caso, non è solo la sconfitta processuale, ma anche la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, che nel caso di specie è stata di tremila euro. La lezione è chiara: nel processo telematico, la forma è sostanza.
È valido un deposito telematico inviato a un indirizzo PEC dell’ufficio giudiziario corretto, ma diverso da quello specificamente indicato dalla normativa?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il deposito telematico è inammissibile se effettuato presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello specificamente indicato nei decreti del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati.
Quali sono le conseguenze di un deposito telematico errato?
La conseguenza è l’inammissibilità del ricorso o dell’atto depositato. Ciò significa che il giudice non esaminerà il merito della questione, ma si limiterà a dichiarare l’atto irricevibile per un vizio di forma, condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
A quali regole procedurali è soggetta l’opposizione prevista dall’art. 16 del d.lgs. 286/1998?
L’ordinanza chiarisce che tale opposizione è assoggettata alle regole generali vigenti in materia di impugnazioni, il che ne rafforza i requisiti formali, inclusi quelli relativi alle corrette modalità del deposito telematico.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8719 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8719 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/09/2023 del GIP TRIBUNALE di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che l’unico motivo posto da NOME COGNOME NOME a sostengo dell’impugnazione non supera il vaglio preliminare di ammissibilità perché manifestamente infondato.
Il Magistrato di sorveglianza, nel dichiarare inammissibile l’opposizione proposta dal ricorrente, ha fatto corretta applicazione del consolidato principio giurisprudenziale in forza del quale è inammissibile il gravame depositato telematicamente presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all’art. 87-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Sez. 4, n. 48804 del 14/11/2023 COGNOME Rv. 285399 – 01)
Peraltro, non vi è dubbio che l’opposizione prevista dall’art. 16 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, azionata nel caso in esame, è assoggettata, secondo quanto previsto dal comma 5 dello stesso articolo, alle regole generali vigenti in materia di impugnazioni (Sez. 1, n. 15115 del 26/02/2021 Hajassine Bilel Rv. 280987 – 01
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 25 gennaio 2024.