Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37917 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37917 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato ad AGRIGENTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/11/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Palermo ha confermato la pronuncia del Tribunale di Agrigento del 20.02.2023, che aveva dichiarat NOME COGNOME colpevole dei reati di cui agli artt. 256, commi 1 e 2, d 152/2006 (capi d, e, f), unificati dal vincolo della continuazione, condannand alla pena di mesi dieci di arresto ed euro 3.700,00 di ammenda.
2.1 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, mezzo del difensore, deducendo due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta omessa motivazione in relazione al reat di cui al capo d) prospettante la “miscelazione vietata” e il “deposito incontro di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi. Si sostiene che la Corte ter avrebbe ignorato la doglianza difensiva circa la qualifica dell’imputato q custode giudiziario dei veicoli sequestrati, con conseguente obbligo di non alter Si contesta, inoltre, la mancata esplicitazione delle ragioni per cui i ma
rinvenuti (“sfabbricidi, materiale ferroso e plastico”) costituirebbero un pericolo per l’ambiente, elemento necessario per la configurazione del reato ritenuto.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce omessa motivazione e illogicità manifesta in relazione ai reati di cui ai capi e) ed f), relativi ai reflui provenie dalle vasche di accumulo delle acque piovane e dagli scarichi della vasca IMHOFF. Il ricorrente assume che la Corte d’appello non aveva considerato la decisiva circostanza dell’esistenza di un sistema di “scarico di troppo pieno” della vasca IMHOFF e del disoleatore, idoneo a escludere il pericolo di inquinamento. Si censura, altresì, l’errata interpretazione del criterio del giudizio “ex ante” propri dei reati di pericolo, che sarebbe stato applicato senza tenere conto degli elementi concreti che impedivano l’evento lesivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è articolato in motivi non consentii in sede di legittimità manifestamente infondati.
Occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., deve essere di tale evidenza da risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo specificamente indicati, e non può consistere in una diversa valutazione delle risultanze processuali o in una rilettura, seppur plausibile, del materiale probatorio. Il sindacato della Corte di cassazione è limitato alla verifica della coerenza, completezza e logicità della motivazione, senza poter invadere l’ambito della valutazione del merito, riservato in via esclusiva ai giudici dei gradi precedenti (cfr. ex plurimis, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01; Sez. 6 n. 5465 del 04/11/2020 (dep. 2021), F., Rv. 280601 – 01).
Inoltre, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01), ai fini del controllo di legittimità sul vizio d motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente obbligo per il ricorrente di confrontarsi in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze, circostanza, nel caso di specie, non sussistente (v. Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145).
Principio che si attaglia perfettamente al caso di specie, risultando le sentenze di primo e secondo grado fondate su medesima valutazione dell’identico materiale probatorio.
Alla luce di tali principi, il primo motivo di ricorso si rivela manifestamente infondato, risolvendosi in una mera reiterazione di doglianze di merito già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte territoriale con motivazione logica e priva di vizi.
Il ricorrente lamenta una “omessa motivazione” che, in realtà, non sussiste. La Corte d’appello, infatti, ha affrontato specificamente la questione della qualifica di custode giudiziario dell’imputato (cfr. pag. 4-5 della sentenza impugnata), evidenziando, con argomentazione immune da censure, come la responsabilità penale sussistesse anche prescindendo dai beni in sequestro.
Si legge nella sentenza impugnata:
“… anche a voler ritenere – per mera ipotesi – che tutti i veicoli rinvenuti all’interno dell’area, ivi comprese le carcasse prive di targa, fossero li custodite in sequestro, sussisterebbe cionondimeno la fattispecie di reato in contestazione, avendo effettuato il COGNOME, senza alcuna autorizzazione, una miscelazione vietata e un deposito incontrollato di rifiuti speciali, pericolosi e non: com ,.. v-vvveanzid etto, infatti, sono stati rinvenuti in loco anche rifiuti che nulla’ a che vedere con l’attività di autodemolizione e sequestro giudiziale posta in essere dall’odierno appellante, come – a titolo meramente esemplificativo – imballaggi di plastica, cemento, mattoni, mattonelle e cocci di ceramiche”.
La Corte territoriale ha dunque chiarito che la condotta penalmente rilevante non riguardava i soli veicoli che, in via del tutto teorica, potevano essere sottoposti a sequestro, ma anche la contestuale e non autorizzata attività di gestione di una congerie di altri rifiuti di natura eterogenea, depositati alla rinfusa e utiliz persino come “piano di calpestio” dell’area.
La motivazione sul punto non è né omessa né apparente, ma si fonda su una precisa ricostruzione fattuale basata sulle testimonianze e sui rilievi fotografici acquisiti al dibattimento, la cui valutazione è preclusa in questa sede.
Anche la censura relativa alla mancata dimostrazione del “pericolo” è infondata. La Corte d’appello ha correttamente qualificato il reato di cui all’art. 256 d.lgs. 152/2006 come reato di pericolo, richiamando pertinente giurisprudenza di questa Corte (“Cass. Pen., Sez. III, n. 4974/2018”, citata a pag. 7 della sentenza, anche se in realtà la massima riportata è relativa alla sentenza Sez. 3, n. 4973 del 18/10/2018, dep. 2019, Mastroianni, Rv. 275740 – 01, nello stesso senso, più di recente, Sez. 3, ord. n. 9554 del 13/2/2025; Sez. 3, n. 29828 del 16/3/2024, Vuocolo). In tale prospettiva, la pericolosità della condotta di deposito incontrollato e miscelazione di rifiuti speciali, pericolosi e non, è(in re ipsa e non richiede l prova di un danno ambientale effettivo.
Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto generico e manifestamente infondato.
Il ricorrente lamenta l’omessa valutazione delle misure adottate per scongiurare il rischio di inquinamento ( installazione di una vasca Imhoff e di un disoleatore, l’esistenza di rapporto contrattuale con un ditta di smaltimento delle acque intrise di oli) e la circostanza, asseritarmente decisiva, dell’esistenza di un sistema di “scarico di troppo pieno”. Tale doglianza, tuttavia, non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte territoriale, infatti, ha fondato il proprio giudizio di colpevolezza su un complesso di elementi probatori che attestavano l’esistenza di uno smaltimento illecito dei reflui, a prescindere dal funzionamento di un eventuale sistema di “troppo pieno”.
I giudici di merito hanno valorizzato:
l’individuazione, tramite l’uso di fluoresceina, di “uno scarico diretto e abusivo sul vallone San Biagio” nel quale defluivano le acque piovane, gli oli e i liquidi dell’attività imprenditoriale raccolti dalla griglie di scolo presenti nell’are
le dichiarazioni testimoniali e il “ragionamento logico-deduttivo” basato sulla morfologia dei luoghi, secondo cui gli scarichi della vasca Imhoff e del disoleatore “non potevano che essere illecitamente convogliati direttamente sul vallone San Biagio”;
l’atteggiamento “tutt’altro che collaborativo” dell’imputato, che ha impedito l’accesso ad alcuni locali per le verifiche;
la totale assenza di documentazione attestante il corretto smaltimento dei rifiuti liquidi, a fronte della stipula di un contratto definito come meramente finalizzato a garantire una “parvenza di legalità”.
3.1 A fronte di tale articolato percorso motivazionale, la censura del ricorrente si palesa del tutto generica, in quanto si limita a contrapporre singoli elementi fattuali all’organica e complessiva valutazione operata dai giudici di merito, senza dimostrare la decisività del dato considerato né l’illogicità manifesta del ragionamento che ha condotto alla sua soccombenza. La critica all’interpretazione del giudizio “ex ante”, inoltre, è pretestuosa: la Corte territoriale ha correttamente applicato il principio, valutando la probabilità dell’evento lesivo al momento della condotta, sulla base di tutte le circostanze accertate, tra cui l’esistenza di scarichi abusivi e la gestione complessivamente illecita dei reflui. Il ricorso, anche su questo punto, si limita a proporre una lettura alternativa e più favorevole delle risultanze processuali, operazione non consentita in sede di legittimità. Va, infatti, ribadito che le possibili diverse ipotesi in ordine al concatenarsi logico posto a fondamento della decisione impugnata assumono rilevanza in materia di ricorso per tassazione, permettendo di ravvisare un vizio di motivazione, solo quando la ricostruzione difensiva sia inconfutabile, ovvia e nonftappresent solamente un’alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 1, n. 22240 del 17/4/2024,
Panalia; Sez. 2, n. 37876 del 12/9/2023, Gagliardi; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/20 Lupo, Rv 252178; Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, Maniscalco, Rv. 212054).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. A declaratoria di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condan ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nell determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa dell íkrnmende
Così deciso il 19/9/2025