Delitto Paesaggistico: La Cassazione Chiarisce i Limiti Volumetrici
La distinzione tra un semplice abuso edilizio e un grave delitto paesaggistico è una questione di fondamentale importanza nel diritto penale dell’urbanistica. Non tutte le costruzioni abusive in aree protette costituiscono un reato di grave entità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 21286/2025, torna a fare luce sui criteri quantitativi che separano una contravvenzione da un delitto, annullando una decisione della Corte di Appello e riaffermando i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale.
Il Caso: Da una Piccola Costruzione a un Principio di Diritto
Il caso esaminato riguardava una richiesta di revoca di una sentenza di condanna per un manufatto abusivo di circa 41 metri quadrati. La persona condannata, tramite il suo difensore, aveva chiesto al giudice dell’esecuzione di riqualificare il reato da delitto a contravvenzione, con conseguente estinzione dello stesso. La Corte di Appello di Napoli aveva però rigettato la richiesta, sostenendo che si trattasse di una “nuova opera” e che, pertanto, la condanna per delitto fosse corretta.
Contro questa decisione è stato proposto ricorso in Cassazione, lamentando una motivazione illogica e contraddittoria. Come può un manufatto di soli 41 mq essere considerato un grave delitto paesaggistico, alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali?
Il Delitto Paesaggistico e i Criteri della Corte Costituzionale
Il punto centrale della questione risiede nell’interpretazione dell’articolo 181, comma 1-bis, del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). La norma punisce con pene severe gli abusi edilizi in aree soggette a vincolo paesaggistico. Tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale n. 56 del 2016 ha ridisegnato i confini di questa fattispecie, trasformandola in una norma “residuale”.
I Limiti Volumetrici Decisivi
Oggi, per integrare il delitto paesaggistico, i lavori devono aver comportato:
1. Un aumento dei manufatti superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria;
2. In alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi;
3. Ovvero, una nuova costruzione con una volumetria superiore a 1000 metri cubi.
Al di sotto di queste soglie, l’abuso edilizio in area vincolata non è più un delitto, ma una semplice (e meno grave) contravvenzione, soggetta a prescrizione più breve e a sanzioni differenti.
La Decisione della Cassazione: Annullamento con Rinvio
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Ha sottolineato che la Corte di Appello si è limitata a definire l’opera come “nuova” senza fornire alcuna specificazione sulla sua effettiva consistenza volumetrica o sul contesto in cui è stata realizzata.
Le Motivazioni
La motivazione della Cassazione è chiara: la semplice etichetta di “opera nuova” non è sufficiente per giustificare una condanna per delitto paesaggistico. Il giudice ha il dovere di accertare in concreto se l’abuso superi le soglie quantitative fissate dalla Corte Costituzionale. Nel caso di specie, un manufatto di 41 mq difficilmente potrebbe raggiungere i 1000 metri cubi richiesti per una “nuova costruzione”. La Corte ha inoltre precisato che, anche nel caso di costruzione realizzata previa demolizione di un edificio preesistente, il delitto si configura solo se il volume del nuovo manufatto supera del 30% quello originario, un accertamento che nel caso specifico non era stato compiuto. La mancanza di questi dettagli essenziali nella decisione impugnata ha reso la motivazione carente e illogica, imponendone l’annullamento.
Le Conclusioni
La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito. La qualificazione di un abuso edilizio come delitto o contravvenzione non può basarsi su definizioni generiche, ma richiede un’analisi fattuale rigorosa e ancorata ai precisi limiti volumetrici indicati dalla normativa e dalla giurisprudenza costituzionale. Questa decisione rafforza le garanzie per i cittadini, assicurando che le sanzioni penali più severe siano riservate solo agli interventi di maggiore impatto sul paesaggio, in linea con un principio di proporzionalità. Il caso torna ora alla Corte di Appello di Napoli, che dovrà riesaminare la questione attenendosi a questi principi.
Quando un abuso edilizio in area vincolata è considerato un delitto paesaggistico?
Secondo la sentenza, un abuso edilizio integra un “delitto paesaggistico” solo quando i lavori comportano un aumento di volume del manufatto superiore al 30% dell’esistente, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, oppure una nuova costruzione con una volumetria superiore a 1000 metri cubi.
Un piccolo manufatto abusivo di 41 mq è sempre un reato meno grave (contravvenzione)?
Generalmente sì, ma non automaticamente. La sua qualificazione dipende dal contesto. Ad esempio, se è stato costruito dopo la demolizione di un edificio preesistente, potrebbe integrare il delitto se il suo volume supera del 30% quello originario, anche se il volume totale resta inferiore a 1000 metri cubi. L’accertamento va fatto caso per caso.
Cosa succede se la sentenza di condanna non chiarisce i dettagli dimensionali dell’abuso edilizio?
Come stabilito in questo caso dalla Cassazione, se una decisione giudiziaria non fornisce dettagli sufficienti per verificare il superamento delle soglie volumetriche che definiscono il “delitto paesaggistico”, la sua motivazione è carente. Di conseguenza, la decisione può essere annullata con rinvio a un altro giudice, che dovrà effettuare un’indagine più approfondita per applicare correttamente la legge.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21286 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21286 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Scafati il 21/03/2025; nel procedimento a carico della medesima: avverso la ordinanza del 10/12/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, adita quale giudice dell’esecuzione nell’interesse di COGNOME Rosa per la revoca, previa riqualificazione da delitto in contravvenzione, per intervenuta estinzione del reato ex art. 181 comma 1 bis del Dlgs. 42/04, della relativa sentenza di condanna, rigettava la domanda.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME mediante il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un solo motivo di impugnazione.
Si rappresenta il vizio di motivazione contraddittoria ed illogica per avere la Corte di appello rigettato la domanda sul rilievo per cui la condanna sarebbe intervenuta per un manufatto abusivo di circa 41 mq. da qualificarsi quale nuova
costruzione, sebbene tale manufatto, per queste sue stesse caratteristiche non rientri nella fattispecie ormai residuale di cui all’art. 181 comma 1 bis del Dlgs. 42/04 delineante un delitto paesaggistico e integrando piuttosto, alla luce della sentenza della corte Costituzionale n. 56/2016, una contravvenzione come tale idonea a giustificare la accoglimento della istanza presentata.
Consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli che si atterrà ai principi sopra riportati. L’eventuale decisione di revoca della sentenza di condanna sopra citata appare in linea con il principio secondo il quale il giudice dell’esecuzione, adito con istanza di revoca
t
della sentenza definitiva di condanna, ha il potere-dovere di dichiarare l’estinzione per prescrizione del reato previsto dall’art. 181, comma 1-bis, d.lgs.
n. 42 del 2004, riqualificato come contravvenzione a seguito della dichiarazione di parziale incostituzionalità di tale disposizione, da cui deriva l’illegalità della
pena inflitta e la maturata prescrizione, non ravvisata e valutata dal giudice della cognizione, non essendo precluso detto intervento in executivis dal giudicato,
neppure se formatosi sulla base di una decisione assunta successivamente alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice. (Sez. 3, n.
12916 del 27/02/2019, COGNOME, Rv. 275899 – 01).
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2025.