Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34477 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34477 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
1.COGNOME NOME n. a Sinagra il DATA_NASCITA
2.COGNOME NOME n. a Sinagra il DATA_NASCITA
3.COGNOME NOME n. a Patti il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia in data 21/2/2025
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del AVV_NOTAIO;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi i difensori, AVV_NOTAIO COGNOME per COGNOME NOME, NOME COGNOME per COGNOME NOME, NOME COGNOME per COGNOME NOME, che hanno illustrato i motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Venezia ha confermato la decisione del giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Padova che, in data 04/10/2019, in esito a giudizio abbreviato, ha dichiarato gli imputati colpevoli del delitto di estorsione aggravata, condannandoli alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa ciascuno.
Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, i quali hanno dedotto:
AVV_NOTAIO nell’interesse di COGNOME NOME ha dedotto:
2.1. Vizio di motivazione per illogicità e mera apparenza della stessa per avere la Corte di merito affermato la sussistenza di un danno economico per la RAGIONE_SOCIALE in assenza di prove.
Il difensore sostiene che la società non ricevette alcun pregiudizio economico dalla condotta degli imputati in quanto gli operai cessarono il rapporto lo stesso giorno dell’assunzione e l’accordo preliminare del 18/01/2016 aveva sottoposto l’assunzione dei lavoratori alla condizione che la RAGIONE_SOCIALE non creasse alcun problema al riguardo, sicché le dimissioni dalla RAGIONE_SOCIALE non furono l’effetto della violenta reazione del COGNOME ma della condizione già prevista dal nuovo datore di lavoro. Aggiunge che la sussistenza di un profitto ingiusto poggia su una ricostruzione presuntiva in assenza di una valutazione oggettiva del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito.
2.2. Erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen.
Il difensore censura la ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di estorsione. La condotta del ricorrente non mirava ad un arricchimento personale bensì a contrastare lo storno della forza lavoro specializzata, qualificabile come concorrenza sleale, e la sussistenza del nesso causale tra la condotta violenta e la cessazione del rapporto di lavoro presso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE risultava contraddetta dalle condizioni di assunzione, subordinate all’assenza di contestazioni da parte della RAGIONE_SOCIALE, in totale assenza di un concreto danno per la persona offesa.
2.3. Erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen.
Secondo il difensore, la Corte territoriale ha erroneamente escluso la configurabilità dell’art. 393 cod. pen. ritenendo che la pretesa dell’imputato non fosse giuridicamente tutelabile nonostante l’attività di concorrenza sleale posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE e consistita nella sottrazione di una pluralità dipendenti qualificati ad altra azienda di piccole dimensioni, con violazione dell’obbligo di fedeltà, consentisse di adire l’autorità giudiziaria mediante l’azione inibitoria ovvero domande intese all’accertamento dell’illecito e al
conseguente risarcimento del danno. Pertanto, avendo l’imputato agito nella convinzione di tutelare un proprio diritto, il fatto doveva essere diversamente qualificato come ragion fattasi.
AVV_NOTAIO nell’interesse di NOME NOME ha dedotto:
3.1. Violazione dell’art. 629 cod. pen. e correlato vizio di motivazione.
Il difensore assume che dalle prove dichiarative acquisite non consta, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, che i tre imputati abbiano formulato in termini imperativi la richiesta di ‘restituzione’ dei dipendenti, essendosi limitati a lamentare lo storno di manodopera attuato dalla società RAGIONE_SOCIALE. Aggiunge che, nella specie, non vi è alcun rapporto causale fra la violenza e minaccia e la pretesa costrizione giacché il recesso dal rapporto di lavoro dei dipendenti appena assunti è avvenuto in esecuzione dell’accordo intercorso tra gli operai e il Laverda, che aveva già considerato la possibilità di contestazioni alla loro assunzione da parte del precedente datore di lavoro.
3.2. Assenza di motivazione in ordine all’esistenza di un preventivo accordo avente ad oggetto l’impegno degli operai alle dimissioni ove fosse emersa la contrarietà della RAGIONE_SOCIALE.
Il difensore lamenta che la Corte di Appello non ha fornito risposta alle deduzioni difensive che, sulla base delle dichiarazioni del teste COGNOME, segnalavano che il recesso dai rapporti di lavoro non era causalmente conseguente alla condotta violenta degli imputati, ma frutto di una decisione presa dalla società fin dall’instaurazione degli stessi, nonostante la decisività dei rilievi.
3.3. Violazione degli artt. 629 e 393 cod. pen. e correlato travisamento della prova.
Il difensore sostiene che, alla luce delle dichiarazioni testimoniali acquisite, risulta che il RAGIONE_SOCIALE NOME, per conto della RAGIONE_SOCIALE aveva avvicinato i lavoratori nel dicembre del 2015 proponendo loro l’assunzione diretta presso la società, che veniva formalizzata il 15 gennaio 2016, quando gli operai erano ancora formalmente alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, condotta che integra l’illecito di cui all’art. 2598, comma 1 n. 3, cod. civ., ricorrendo nella specie tutti i caratteri sintomatici della concorrenza sleale, e suscettibile di tutela dinanzi l’autorità giudiziaria. Dovendosi escludere che gli imputati abbiano perseguito un interesse ulteriore rispetto alla mera azione risarcitoria e alla cessazione della condotta illecita di storno dei dipendenti, il fatto doveva essere ricondotto nell’ambito del delitto ex art. 393 cod. pen.
3.4. Violazione degli artt. 629 e 582 cod. pen. e correlato travisamento della prova.
Il difensore lamenta che la Corte di merito ha escluso la possibilità di riqualificare il fatto alla stregua del delitto di lesioni personali sebbene i materiali processuali depongano per una spedizione punitiva in risposta alla sottrazione illecita dei dipendenti posta in essere da
RAGIONE_SOCIALE NOME, senza alcuna finalizzazione della condotta alla reintegrazione degli operai, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito.
3.5. Violazione degli artt. 110, 629 cod. pen. e correlato travisamento della prova.
Il difensore sostiene che dall’esame della conversazione intercorsa tra il ricorrente e il coimputato COGNOME, di poco precedente i fatti in contestazione, emerge che i due discorrevano dell’intenzione di introdurre una domanda risarcitoria a ristoro del danno patito dalla RAGIONE_SOCIALE per effetto dello storno di dipendenti attuato dalla RAGIONE_SOCIALE. Pertanto, la presenza di COGNOME NOME il 18/01/2016 presso lo stabilimento RAGIONE_SOCIALE aveva la sola finalità di affiancare il fratello nelle rimostranze per l’accaduto e nel prospettare una domanda risarcitoria, con la conseguenza che non può ritenersi integrato nei suoi confronti il dolo estorsivo.
3.6. Eccezione di prescrizione del reato previa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen. ovvero degli artt. 582 e 610 cod. pen.
AVV_NOTAIO nell’interesse di NOME ha dedotto:
4.1. Vizio cumulativo della motivazione per avere la Corte di merito errato nella ricostruzione di alcune circostanze fattuali, ritenendo in particolare:
-che il ricorrente abbia colpito con un pugno il Laverda, circostanza che alcun teste ha riferito;
-che i lavoratori assunti da NOME COGNOME lavorassero in nero presso la RAGIONE_SOCIALE nonostante gli stessi fossero stati regolarmente assunti e non avessero in alcun modo posto fine al rapporto di lavoro con la stessa.
Il difensore lamenta, inoltre, che l’esistenza di un profitto ingiusto e di un correlato danno economico non risultano adeguatamente provati al pari del nesso causale tra la condotta violenta e le dimissioni dei lavoratori.
4.2. Erronea applicazione dell’art. 629 cod. pen.
Secondo il difensore, la Corte di merito ha ritenuto la sussistenza del delitto di estorsione nonostante l’azione del ricorrente e dei coimputati non mirasse a conseguire un profitto ingiusto ma costituisse una reazione, seppur scomposta, all’aggressione concorrenziale subìta dalla cooperativa che si era vista sottrarre manodopera specializzata. Inoltre, i giudici territoriali non hanno adeguatamente considerato in punto di nesso causale che l’assunzione presso la società RAGIONE_SOCIALE era subordinata alla cessazione del precedente rapporto e all’assenza di contestazioni da parte della RAGIONE_SOCIALE e, nella specie, non ricorre un danno concreto correlato alla cessazione dei rapporti di lavoro appena instaurati.
4.3. Violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen., avendo i giudici di merito disatteso la richiesta difensiva sull’assunto
dell’impossibilità di tutelare in sede giudiziaria il diritto alla reintegra dei dipendenti nell’originario posto di lavoro, trascurando la possibilità di ricorrere al giudice in relazione alla condotta di concorrenza sleale posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE
4.4. Violazione di legge con riguardo alla mancata riqualificazione del fatto alla stregua del delitto di violenza privata, nella forma aggravata o tentata. Il difensore lamenta la mancata considerazione da parte della Corte territoriale della possibilità di ricondurre i fatti nel paradigma dell’art. 610 cod. pen., dovendosi nella specie escludere i requisiti dell’ingiustizia del profitto e della finalizzazione alla risoluzione del rapporto di lavoro della minaccia costrittiva.
4.5. Violazione di legge con riguardo alla mancata riqualificazione della condotta alla stregua del delitto di tentata estorsione in considerazione della mancata realizzazione della pretesa estorsiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi propongono questioni comuni in punto di qualificazione giuridica dei fatti contestati che possono essere congiuntamente delibate con esiti di manifesta infondatezza.
1.1. I giudici di merito hanno concordemente escluso la possibilità di ricondurre l’addebito nell’alveo del delitto di ragion fattasi, evidenziando al riguardo (sentenza Giudice dell’udienza preliminare, pag 5) che la pretesa di ottenere le dimissioni dei lavoratori, già dipendenti della RAGIONE_SOCIALE e successivamente assunti dalla RAGIONE_SOCIALE, non poteva essere fatta valere in giudizio poiché gli operai al momento della nuova assunzione lavoravano in nero, in posizione irregolare, con arretrati stipendiali e omesso versamento di contributi, non avendo, pertanto, alcun obbligo di preavviso verso il datore di lavoro cui avevano, comunque, verbalmente comunicato l’interruzione del rapporto. Hanno, quindi, ritenuto che la condotta consistita nell’essersi gli imputati presentati presso lo stabilimento della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dove era in corso l’attività produttiva, minacciando e picchiando il responsabile e alcuni dipendenti, pretendendo le immediate dimissioni dei lavoratori neo-assunti, integri gli estremi costitutivi del delitto di estorsione.
1.2. Osserva al riguardo la Corte, che i giudici d’appello hanno fornito corretta ed esauriente risposta ai rilievi difensivi alla luce della motivazione rassegnata alle pagg. 9-10 della sentenza impugnata. Come autorevolmente affermato da Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 01 (in motivazione pag. 21), ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia,
atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (cfr., altresì, Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268362 – 01; Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263589 – 01; e, più recentemente, Sez. 6, n. 47672 del 04/10/2023, COGNOME, Rv. 285883 – 03).
Nella specie, la pretesa di vedersi ‘restituiti’ dei dipendenti che avevano dismesso il precedente posto di lavoro a ragione dell’irregolarità del rapporto per instaurarne uno nuovo con altro imprenditore non è istanza azionabile in giudizio né può ritenersi surrogabile ai fini che qui rilevano dalle azioni inibitoria e risarcitoria previste per le ipotesi di concorrenza sleale, avendo, peraltro, questa Corte chiarito che il cd. storno vietato di dipendenti non ricorre ove l’imprenditore avvii una collaborazione professionale con il prestatore d’opera, che abbia posto fine al precedente rapporto di lavoro, disattendendo l’obbligo di preavviso o il divieto di concorrenza contratti con il vecchio datore di lavoro, poiché l’imprenditore che recluti il lavoratore dimissionario non è vincolato al rispetto degli accordi che inerivano al precedente rapporto e l’assunzione in tali circostanze non implica necessariamente una condotta disgregatrice dell’altrui impresa (Cass. civ. Sez. 1, 28/05/2024, n. 14944, Rv. 671467 – 01; Cass. civ. Sez. 1, 08/06/2012, n. 9386, Rv. 622843 – 01).
Quanto al tenore delle minacce formulate nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, alla loro efficacia costrittiva e al rapporto di causalità con le dimissioni subito rassegnate dagli ex lavoratori, contrariamente a quanto assumono i difensori, la Corte di merito (pag. 8) ha adeguatamente chiarito, alla luce delle dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, che gli imputati con fare prepotente avevano accusato il RAGIONE_SOCIALE di aver ‘rubato’ i dipendenti alla cooperativa e che ‘glieli doveva ridare’ e, allorché gli operai interessati si erano presentati al cospetto degli aggressori dichiarando, rivolti al COGNOME NOME, di non lavorare più per la RAGIONE_SOCIALE ‘perché non ci paghi’, gli stessi avevano cercato più volte di afferrare gli operai per i vestiti trascinandoli fuori del capannone, colpendo uno di essi al volto con un pugno.
Pertanto, le doglianze svolte dai ricorrenti sul punto devono ritenersi aspecifiche in quanto reiterano rilievi adeguatamente scrutinati e disattesi con il supporto di una motivazione priva di criticità giustificative senza un puntuale confronto con gli argomenti spesi dai giudici territoriali.
Né può riconoscersi pregio alle generiche doglianze dei difensori dei ricorrenti COGNOME e COGNOME NOME che revocano in dubbio il dolo di concorso nel delitto estorsivo sulla base della captazione telefonica richiamata nei ricorsi in quanto le modalità dell’aggressione ricostruite dai giudici di merito danno conto della piena partecipazione di tutti gli imputati alla condotta
violenta e minatoria, finalizzata al ‘recupero’ coattivo del personale che aveva lasciato la RAGIONE_SOCIALE, smentendo la funzione di ‘pacieri’ accreditata in sede di gravame e la dedotta insussistenza del richiesto elemento psicologico.
Inammissibili per manifesta infondatezza s’appalesano i motivi che contestano la sussistenza nella specie dei requisiti dell’ingiusto profitto e dell’altrui danno. Deve al riguardo osservarsi che le difese errano nell’individuare la RAGIONE_SOCIALE quale unica parte offesa del delitto ascritto in quanto il chiaro tenore dell’incolpazione evidenzia che vittime della condotta perpetrata dagli imputati sono stati i cinque operai già dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, destinatari insieme al responsabile dello stabilimento, NOME COGNOME, delle condotte violente e minacciose intese a costringere i lavoratori alle dimissioni e il datore di lavoro ad accettarle. Che costoro abbiano subito un danno per effetto della violenza costrittiva esercitata nei loro confronti non può essere ragionevolmente revocato in dubbio, avendo i lavoratori per l’effetto rinunciato ad un rapporto di lavoro a condizioni di maggior favore rispetto al precedente mentre la NOME COGNOME è rimasta priva di manodopera indispensabile alla funzionalità dell’impresa.
Quanto all’ingiusto profitto perseguito dal COGNOME NOME quale Presidente della RAGIONE_SOCIALE i difensori trascurano che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, se con riguardo al delitto di estorsione il “danno altrui” deve concretizzarsi in un effettivo pregiudizio patrimoniale, che comprende qualsiasi situazione suscettibile di incidere negativamente sul patrimonio, in relazione alla sua capacità di soddisfare bisogni materiali e spirituali del titolare (Sez. 2, n. 51074 del 12/09/2023, COGNOME, Rv. 285692 01), l’ingiusto profitto prescinde dal requisito della patrimonialità, rilevando qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l’autore intenda conseguire, e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico, o ancora con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso (Sez. 2, n. 29563 del 17/11/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 234963 – 01; Sez. 2, n. 16658 del 31/03/2008, COGNOME, Rv. 239780 – 01; in tema di furto, Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145 – 01).
Nella specie, i giudici di merito hanno ravvisato il profitto per gli agenti nell’ottenimento delle dimissioni dei lavoratori dalla società RAGIONE_SOCIALE, circostanza che rileva a prescindere dal fatto che gli stessi non siano stati in seguito riassunti dalla RAGIONE_SOCIALE.
I motivi proposti dalle difese di COGNOME NOME e COGNOME NOME che censurano la mancata riqualificazione dei fatti alla stregua delle diverse fattispecie ex artt. 610, 582, 56629 cod. pen. sono preclusi dalla mancata devoluzione in appello e, comunque, risultano manifestamente infondati, risultando logicamente incompatibili con la valutazione dei giudici
di merito che hanno, con corretti argomenti giuridici, ritenuto la sussistenza degli estremi costitutivi del contestato delitto di estorsione.
Alla luce delle considerazioni che precedono i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili con conseguenti statuizioni ex art. 616 cod. proc. pen., come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende. Così deciso in Roma il 7 Ottobre 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME