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Decreto penale: il PM può riproporlo dopo il rigetto

La Corte di Cassazione ha stabilito che il rigetto di una richiesta di emissione di un decreto penale da parte del GIP non consuma il potere del Pubblico Ministero. Al contrario, il procedimento regredisce alla fase delle indagini preliminari, restituendo al PM la piena facoltà di agire, inclusa la possibilità di presentare una nuova richiesta di decreto penale. Un provvedimento del GIP che limiti tale facoltà è da considerarsi un atto abnorme e va annullato.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Decreto penale rigettato? Il PM ha ancora tutte le opzioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce un importante aspetto procedurale: cosa succede quando il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) rigetta una richiesta di decreto penale di condanna? La risposta della Suprema Corte è netta: il Pubblico Ministero (PM) non perde i suoi poteri, anzi, li riacquista pienamente e può anche ripresentare una nuova richiesta. Approfondiamo la vicenda e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: Un Doppio Rigetto da Parte del GIP

Il caso origina da un’indagine per reati previsti dal D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro). Il Pubblico Ministero, ritenendo sussistenti gli elementi, aveva richiesto l’emissione di un decreto penale di condanna nei confronti dell’indagato.

Una prima richiesta, avanzata il 14 agosto 2023, veniva rigettata dal GIP il 6 novembre 2023 a causa di un presunto errore nel calcolo della pena.

Non dandosi per vinto, il PM formulava una nuova richiesta di decreto penale il 12 febbraio 2024. Sorprendentemente, il GIP rigettava anche questa seconda istanza con un provvedimento del 6 giugno 2024. La motivazione del giudice era che, dopo il primo rigetto, al PM non rimaneva altro che esercitare l’azione penale “in via ordinaria” (cioè con un processo) oppure chiedere l’archiviazione. In pratica, secondo il GIP, il potere di chiedere il rito monitorio si era “consumato” con la prima richiesta.

Il Ricorso in Cassazione: L’Atto del GIP è “Abnorme”

Il Procuratore della Repubblica, ritenendo illegittimo il provvedimento del GIP, ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che l’atto fosse affetto da “abnormità funzionale”. Secondo il PM, il rigetto di una richiesta di decreto penale non limita le sue scelte future, ma, al contrario, fa regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari.

In questa fase, il PM riacquista la pienezza dei suoi poteri e può decidere liberamente come procedere, compresa la possibilità di formulare una nuova richiesta di condanna. Il provvedimento del GIP, imponendo un percorso obbligato non previsto dalla legge, ledeva l’autonomia della pubblica accusa e creava una stasi processuale ingiustificata.

La Piena “Riespansione dei Poteri” del PM

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente la tesi del Procuratore ricorrente, richiamando principi già consolidati sia dalla giurisprudenza di legittimità (Sezioni Unite, n. 20569/2018) sia dalla Corte Costituzionale (sent. n. 74/2024).

Il principio cardine è quello della “piena riespansione dei poteri del pubblico ministero”. L’art. 459, comma 3, del codice di procedura penale, stabilisce che in caso di rigetto della richiesta di decreto penale, il GIP restituisce gli atti al PM. Questo ritorno, spiega la Corte, non è un mero atto formale, ma ha l’effetto sostanziale di far regredire il procedimento. Di conseguenza, la richiesta rigettata perde ogni efficacia e il PM viene reintegrato nella totalità dei poteri che gli competono per l’esercizio dell’azione penale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha qualificato il provvedimento del GIP come un atto abnorme. L’abnormità non deriva da un semplice errore di diritto, ma dal fatto che il GIP si è arrogato un potere non previsto dall’ordinamento, interferendo con le attribuzioni istituzionali del Pubblico Ministero. Il GIP non può sostituire la propria valutazione di opportunità a quella del PM circa le modalità di esercizio dell’azione penale.

Impedire al PM di ripresentare la richiesta di decreto penale, obbligandolo a scegliere tra processo ordinario e archiviazione, rappresenta un’indebita ingerenza. Una tale decisione, sottolinea la Corte, stravolge la ripartizione delle funzioni nel sistema processuale. Il GIP ha il potere di controllare la fondatezza della richiesta, ma non di dettare l’agenda processuale del PM.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza un principio fondamentale del nostro sistema processuale: l’autonomia del Pubblico Ministero nell’esercizio dell’azione penale. Il rigetto di una richiesta di decreto penale non è un punto di non ritorno. Al contrario, è un evento che riporta il procedimento alla fase delle indagini, lasciando al PM la libertà di scegliere la strategia processuale più opportuna, inclusa la riproposizione di un rito speciale. Il provvedimento del GIP che limita questa autonomia è abnorme e, come tale, deve essere annullato per ripristinare il corretto corso della giustizia.

Dopo che il GIP ha rigettato una richiesta di decreto penale, il Pubblico Ministero può presentarne una nuova?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il rigetto fa regredire il procedimento alla fase delle indagini preliminari, restituendo al PM la piena titolarità dei suoi poteri, compresa la facoltà di formulare una nuova e corretta richiesta di decreto penale.

Cosa si intende per “atto abnorme” in questo contesto?
Si definisce “atto abnorme” un provvedimento del giudice che, come in questo caso, non è previsto dalla legge, invade le competenze di un’altra parte processuale (il PM) e provoca una paralisi o un’indebita regressione del procedimento, alterando la sequenza logica degli atti.

Il GIP può obbligare il Pubblico Ministero a scegliere tra l’azione penale ordinaria e l’archiviazione dopo il rigetto di un decreto penale?
No. La sentenza stabilisce che il GIP non ha il potere di limitare le opzioni del PM. Imporre una scelta tra rito ordinario e archiviazione costituisce un’illegittima interferenza nell’autonomia decisionale del Pubblico Ministero, che deve rimanere libero di valutare la via processuale più adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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