Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25943 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25943 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/07/2023 del TRIBUNALE di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
4 GLYPH
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18 luglio 2023 il Tribunale di Venezia ha dichiarato inammissibile l’istanza, avanzata da NOME, di declaratoria, ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., di non esecutività della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 17 giugno 2010, divenuta irrevocabile il 26 giugno 2020, ed ha, al contempo, restituito l’imputato nel termine per impugnare il medesimo provvedimento.
Ha, a tal fine, rilevato, tra l’altro:
che è «inammissibile l’istanza ex art. 670 cod. proc. pen., formulata sul presupposto dell’asserita nullità della dichiarazione di latitanza dell’imputato, dichiarazione risalente al 13 novembre 2007, e del conseguente mancato perfezionamento della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di condanna, fatta al difensore d’ufficio ex art. 165 cod. proc. pen.», atteso che «è inammissibile l’incidente di esecuzione preordinato ad ottenere l’invalidità del decreto di latitanza emesso dal Giudice per le indagini preliminari, come nel caso di specie mai eccepita nella fase di cognizione»;
che, infatti, «in sede di incidente di esecuzione l’indagine affidata al giudice è limitata al controllo dell’esistenza del titolo esecutivo e della legittimi della sua emissione e, a tal fine, non può attribuire rilievo alle nullit eventualmente verificatesi nel corso del processo di esecuzione in epoca precedente a quella del passaggio in giudicato della decisione», in tal senso essendosi espressa la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 5880 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258765 – 01);
che, per contro, mancando la prova che NOME abbia avuto effettiva conoscenza della sentenza emessa in sua contumacia, egli ha titolo alla restituzione nel termine per impugnarla.
NOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge e carenza di motivazione.
Premesso di mantenere – a dispetto della disposta restituzione nel termine per impugnarla e della conseguente, sua sopravvenuta scarcerazione interesse all’accoglimento dell’istanza intesa alla declaratoria di non esecutività della sentenza, che produrrebbe più favorevoli effetti, precipuamente in tema di prescrizione del reato, segnala che il decreto di latitanza emesso, nei suoi confronti, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia i113 novembre 2007 è affetto da nullità, perché non preceduto da idonee ricerche in Bulgaria, paese del quale egli è originario, in cui risiede e nel quale egli aveva
fatto rientro, come rappresentato dalla RAGIONE_SOCIALE della Questura di Venezia con nota del 31 ottobre 2007, già al tempo dell’emissione del titolo cautelare rimasto ineseguito.
Rileva che l’indirizzo ermeneutico seguito dal giudice dell’esecuzione è contraddetto da altro, espresso, tra le altre, da Sez. 1, n. 30384 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 276606 – 01, che ammette la deducibilità, in sede di incidente di esecuzione, della questione della validità del decreto di latitanza all’esclusivo fine di contestare la validità della notifica dell’estratto contumaciale e, conseguentemente, l’avvenuta formazione del titolo esecutivo.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso con requisitoria scritta, cui il ricorrente ha replicato con memoria del 29 febbraio 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Il tema della possibilità di far valere, con lo strumento dell’incidente di esecuzione, l’invalidità del decreto di latitanza, mai eccepita nel giudizio di cognizione, al precipuo fine di contestare la validità della notifica dell’estratto contumaciale e, conseguentemente, l’avvenuta formazione del titolo esecutivo è stato declinato, dalla giurisprudenza di legittimità, in termini non sempre univoci.
In passato, il quesito ha, talora, ricevuto risposta negativa (cfr., tra le altre Sez. 1, n. 37329 del 08/07/2015, Maloku, Rv. 265017 – 01) in applicazione del generale principio secondo cui «In materia di incidente di esecuzione, il giudice deve limitare il proprio accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l’esecuzione, non potendo attribuire rilievo alle nullità eventualmente verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio in giudicato della sentenza, che devono essere fatti valere con i mezzi di impugnazione» (Sez. 1, n. 16958 del 23/02/2018, COGNOME, Rv. 272604 – 01; Sez. 1, n. 5880 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258765; Sez. 1, n. 8776 del 28/01/2008, COGNOME, Rv. 239509).
Più di recente, si è formato un indirizzo parzialmente diverso – del quale sono espressione Sez. 1, n. 30384 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 276606 – 01, e Sez. 1, n. 44988 del 10/06/2014, COGNOME, Rv. 261129 – 01 – che, pur muovendo da analoga premessa a livello concettuale e sistematico, è pervenuto ad opposta conclusione, con specifico riferimento alla questione che viene qui in rilievo, sul presupposto che, nel sistema precedente all’introduzione del sistema dell’assenza (che ha comportato, tra l’altro, l’abrogazione dell’art. 548, comma
3, cod. proc. pen., nella parte in cui prevedeva la notifica all’imputato contumace dell’estratto della sentenza di condanna) la verifica del passaggio in giudicato della sentenza di condanna presupponeva la ritualità di detta notifica e, quindi, l’inutile decorso dei termini per l’impugnazione, ciò che rendeva senz’altro rilevante la verifica della validità del decreto di latitanza.
Tale ultimo orientamento ha, peraltro, ricevuto l’avallo del massimo consesso nomofilattico (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, in motivazione, alle pagg. 13-14) che ne ha espressamente attestato la correttezza e la coerenza con il canone di generale applicazione.
Coglie, quindi, nel segno il ricorrente nel lamentare che il giudice dell’esecuzione ha ancorato la declaratoria di inammissibilità ad un canone ermeneutico ormai superato dalla più recente, e condivisa, produzione giurisprudenziale.
L’istanza presentata da NOME, che si è detto essere ammissibile, si palesa, nondimeno, priva di pregio perché tendente a fara valere, nella dichiarazione di latitanza, un vizio che, a ben vedere, si rivela insussistente.
Evidenzia, al riguardo, il ricorrente che la dichiarazione della sua latitanza, seguita all’emissione, il 23 ottobre 2007, di ordinanza di custodia cautelare a suo carico, non è stata preceduta da ricerche in Bulgaria, ove egli risultava essere, al tempo, rientrato.
L’obiezione non convince, perché imperniata su un’indicazione di tangibile genericità – in quanto riferita, indistintamente, all’intero territorio dello Stato e non idonea a consentire l’effettuazione, eventualmente con l’ausilio del paese di origine dell’odierno ricorrente, di utili ricerche dell'(allora) indagato in luo indicati con sufficiente determinatezza.
Né, va opportunamente aggiunto, la legittimità della dichiarazione di latitanza risente dell’omessa effettuazione degli adempimenti previsti, per il caso di notificazione all’imputato che si trovi all’estero, dall’art. 169, comma 4, cod. proc. pen. che prevede, qualora non risulti dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all’estero della persona nei cui confronti si deve procedere ovvero del luogo in cui all’estero la stessa esercita abitualmente l’attività lavorativa, che le ricerche siano svolte anche fuori del territorio italiano, nei limi consentiti dalle convenzioni internazionali.
Ed invero, pertinente si palesa, al riguardo, il richiamo al principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel suo consesso più rappresentativo (Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258592 – 01), e, poscia, costantemente ribadito (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 31285 del 23/03/2017, Lleshaj, Rv. 270569 – 01; Sez. 5, n. 5583 del 28/10/2014, dep.
2015, T., Rv. 262227 – 01), secondo cui «Ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai se dell’art. 295 cod. proc. pen. – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma quarto, dello stesso codice».
Ne discende, con riferimento alla fattispecie in esame, che la ritualità della dichiarazione di latitanza illo tempore emessa dal Giudice per le indagini preliminari non può essere messa in dubbio per il solo fatto che quell’autorità giudiziaria, informata del presumibile rientro in patria di NOME, non abbia promosso l’esecuzione di ricerche sul territorio bulgaro.
Le precedenti considerazioni impongono, in conclusione, il rigetto del ricorso, da cui discende la condanna di NOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/03/2024.