Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30333 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30333 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CAMPOBASSO nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a BORGOMANERO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 06/04/2023 del TRIBUNALE di LARINO udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Corte di appello di Campobasso.
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RILEVATO IN FATTO
Il Tribunale di Larino, con sentenza del 6 aprile 2023, nel procedimento svoltosi nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato previsto dall’ art. 81 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, perché commetteva, con più azioni ed omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, più violazioni della stessa disposizione di legge, ovvero- senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 dello stesso decreto – cedeva in più occasioni quantità di sostanza stupefacente del tipo cocaina ai consumatori indicati nel capo d’imputazione, mediante ripetute cessioni avvenute in luoghi diversi nei Comuni di Termoli e Campomanno, tutte in epoca anteriore e prossima al mese di giugno 2018, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in quanto il fatto contestato era stato oggetto di archiviazione con decreto del GIP del 29 aprile 2019.
Il Tribunale ha rilevato che, all’udienza del 23 marzo 2023, il Pubblico Ministero aveva formulato istanza di pronuncia di non luogo a procedere, ai sensi degli artt. 129 e 649 cod.proc.pen., in quanto il fatto era già stato archiviato e, al fine di dare prova di ciò, aveva prodotto il relativo decreto del GIP del 29 aprile 2019. In ragione della richiesta, confermata la circostanza che il procedimento relativo al decreto di archiviazione portava lo stesso numero di Registro generale notizie di reato (R.G.N.R. n. 1710 del 2018) e che il Direttore della cancelleria penale aveva confermato che si trattava della iscrizione del medesimo fatto di reato, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per ne bis in idem.
Avverso tale sentenza, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Campobasso ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo con il quale deduce la violazione dell’art. 649 cod.proc.pen, relativo al divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto, in quanto la disposizione non troverebbe applicazione nell’ipotesi di decreto di archiviazione emesso dal GIP, ma soltanto in ipotesi di sentenze dotate del requisito della irrevocabilità.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte c:on le quali ha chiesto annullarsi la sentenza con rinvio alla Corte di appello di Campobasso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Pacifica la circostanza che il decreto di archiviazione in oggetto era relativo al medesimo reato contestato nel presente procedimento, la questione proposta assume rilievo di puro diritto.
Ciò premesso, la questione da affrontare è quella relativa al rapporto tra esercizio dell’azione penale, in ipotesi di reato oggetto di procedimento definito con decreto di archiviazione, e principio del ne bis in idem, inteso come diritto dell’imputato a non subire più processi per l’accertamento del medesimo fatto, di cui è espressione l’art. 649 cod.proc.pen.
La questione va risolta ricordando che l’art. 649 cod.proc:.pen. prevede che l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze.
In sostanza, il disposto normativo richiama, tipizzandole, le decisioni del giudice penale (sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili) a seguito delle quali sorge la preclusione ad un ulteriore esercizio dell’azione penale.
La situazione processuale che si realizza nella diversa ipotesi in cui il procedimento per il medesimo fatto risulti definito con decretò di archiviazione trova la propria disciplina all’interno del sistema delle improcedibilità dell’azione penale. Dalla giurisprudenza costituzionale, in particolare, si è tratta la regola di sistema secondo.) nell’area delle ragioni che determinano l’improcedibilità dell’azione penale, cui il codice di rito dedica il Titolo III del Libro V, esistono caus cd. “atipiche” di improcedibilità, e cioè non comprese nel catalogo degli artt. 336344. Una di queste ragioni di improcedibilità, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale (C. Cost. 19.1.1995, n. 27), è quella determinata dal decreto di archiviazione, la cui presenza richiede l’autorizzazione alla riapertura delle indagini preliminari a norma dell’art. 414 cod.proc.F:ien. La Corte Costituzionale, in
particolare, ha chiarito che il provvedimento di archiviazione determina una preclusione processuale e che l’autorizzazione a riaprire le indagini ex art. 414 costituisce condizione di procedibilità, in assenza della quale il giudice deve dichiarare che “l’azione penale non doveva essere iniziata” (C. Cost. 19.1.1995, n. 27).
La giurisprudenza di legittimità, (SU. 22 marzo 2000, COGNOME, confermando il prevalente orientamento), ha quindi ribadito che la mancanza del provvedimento di riapertura delle indagini ex art. 414 determina la preclusione all’esercizio dell’azione penale per quello stesso fatto-reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero (conformi, S.U., 24.6.2010, COGNOME, RV. 247834; Sez. 2, n. 26762 del 17/03/2015, Rv. 264222 – 01).
In definitiva, nel caso di specie, l’azione penale non poteva essere esercitata in assenza dell’autorizzazione alla riapertura delle indagini e ciò ha determinato una preclusione, idonea a definire il processo con l’adozione della formula del non doversi procedere.
7.1. Il Tribunale, pur cogliendo la situazione processuale verificatasi, ha utilizzato la formula del non doversi procedere per ne bis in idem, non corretta riguardo alla concreta fattispecie per quanto si è detto. Ciò, non essendo la sentenza viziata da errore nell’applicazione delle norme processuali, non determina l’annullamento della sentenza, che va corretta ai sensi dell’art. 619 cod.proc.pen., in punto di esatto inquadramento della situazione processuale che ha determinato la mancanza di una condizione di procedibilità.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 aprile 2024.