Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 39227 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 39227 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME, nato a Cutro il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 06/03/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il 15 gennaio 2016, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro emetteva sentenza di non luogo a procedere nei confronti di NOME COGNOME, in relazione al delitto di partecipazione alla cosca di “ndrangheta” riferibile a suo fratello NOME.
Con ordinanza dell’il. novembre 2021, lo stesso ufficio dichiarava inammissibile la richiesta di revoca di tale sentenza, avanzata dal Pubblico
ministero, non ravvisando il necessario requisito della casualità delle nuove risultanze probatorie addotte dall’autorità inquirente a sostegno della propria domanda.
Il Pubblico ministero impugnava per cassazione tale decisione, che la Corte annullava con rinvio (Seconda sezione penale, sentenza n. 17057 del 31 marzo 2022,), rilevando che, a fronte delle contrastanti e documentate allegazioni provenienti sia dall’autorità ricorrente che dalla difesa, il giudice non aveva spiegato le ragioni per le quali dovesse ritenersi inesistente il requisito della casualità delle nuove fonti di prova, e perciò chiedendo al giudice di colmare tale vuoto di motivazione.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, decidendo in sede di rinvio, il 14 aprile 2023 emetteva ordinanza di revoca della sentenza di non luogo a procedere, contestualmente disponendo la fissazione dell’udienza preliminare.
La difesa di NOME proponeva ricorso per Cassazione avverso tale ordinanza, che la Corte dichiarava inammissibile, trattandosi di provvedimento per il quale la legge processuale non prevede l’impugnazione (Sesta sezione, sentenza n. 44590 del 19 settembre 2023).
Con decreto del 6 marzo 2024, all’esito dell’udienza preliminare, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro ha quindi disposto il rinvio a giudizio di NOME NOME.
Con il ricorso in rassegna, la difesa dell’interessato impugna tale decreto, deducendone la abnormità, per avere anch’esso, al pari dell’ordinanza di revoca della sentenza di non luogo a procedere, omesso di affrontare la questione della mancanza di casualità delle nuove acquisizioni probatorie alla luce delle allegazioni difensive, come invece specificamente richiesto dalla sentenza della Corte di cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio del marzo 2022.
Ritenuto, dunque, che l’ordinanza di revoca della sentenza di non luogo a procedere, emessa all’esito del giudizio di rinvio, abbia disatteso la statuizione della sentenza rescindente, rileva la difesa:
che, nella sentenza con la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’ordinanza di revoca della sentenza di non luogo a procedere, la Corte di cassazione ha affermato che detta ordinanza «determina l’avvio del nuovo procedimento e la possibilità di esperire tutti i rimedi, anche concernenti incidentalmente il provvedimento che ha disposto la riapertura , nel successivo corso del procedimento»;
che, pertanto, la relativa questione può essere valutata soltanto in sede di udienza preliminare, non potendo il giudice del dibattimento disporre del fascicolo delle indagini, necessario per la relativa verifica;
che, quindi, il vulnus patito dall’imputato non potrebbe trovare altrimenti rimedio;
che tale pregiudizio è significativo ed indiscutibile, determinando uno squilibrio tra le parti processuali, semmai ammissibile a favore dell’imputato ma non certo a discapito di esso;
che il decreto impugnato si rivela abnorme, in quanto eccentrico rispetto al sistema processuale, sia perché pone in pericolo l’equilibrio funzionale del processo come serie ordinata di atti tendenti alla stabilità della sua conclusione, sia perché si pone in contrasto con il principio di efficienza del processo, di cui è espressione quello della ragionevole durata, con il corollario della necessità di evitare il rischio della celebrazione di processi inutili.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
L’impugnazione è inammissibile, per la manifesta infondatezza del motivo.
Le doglianze difensive, benché formalmente rivolte verso il decreto che ha disposto il giudizio, attingono essenzialmente l’ordinanza di revoca della precedente sentenza di non luogo a procedere, sulla quale ordinanza, tuttavia, questa Corte si è già espressa.
In questa sede, allora, non resta che ribadire come il decreto che dispone il giudizio, quand’anche sia frutto di valutazioni erronee, non è impugnabile, trattandosi di un atto di semplice impulso processuale, privo di qualsiasi rilevanza sul merito dell’accusa, tanto da non richiedere neppure una motivazione. Avverso di esso può proporsi esclusivamente ricorso per Cassazione, se e nei limiti in cui si presenti abnorme (tra innumerevoli altre, già Sei. 1, n. 5388 del 18/10/1996, COGNOME, Rv. 206083, e, in tempi più vicini, Sez. 5, n. 29492 del 07/05/2018, Manganaro, Rv. 273329).
Ovviamente, GLYPH però, GLYPH l’abnormità GLYPH non GLYPH può GLYPH ridursi GLYPH all’erroneità GLYPH del provvedimento.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è ormai stabile da tempo, avendo precisato che l’abnormità dell’atto può essere “strutturale”, allorché il giudice eserciti un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), oppure un potere previsto dall’ordinamento, che tuttavia venga esercitato in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di
ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto); oppure l’abnormità può essere “funzionale”, qualora l’atto, pur non risultando estraneo al sistema normativo, determini una stasi del procedimento, ossia l’impossibilità di proseguirlo se non compiendo un atto invalido od un’attività non consentita dalla disciplina di rito.
Restano, dunque, al di fuori di tale perimetro di patologia assoluta dell’atto, tutte le ipotesi in cui il procedimento giunga ad uno dei suoi possibili epiloghi per effetto del legittimo esercizio, da parte del giudice, dei poteri conferitigli dalla legg processuale, ancorché, in ipotesi, con un provvedimento erroneo nel merito e non impugnabile sotto tale profilo (vds., tra le più recenti, Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, Scarlini, Rv. 283552, con richiami ai vari precedenti conformi delle stesse Sezioni unite).
Risulta di solare evidenza, quindi, che, nel caso sottoposto allo scrutinio del Collegio, non possano ravvisarsi gli estremi dell’abnormità del decreto impugnato, trattandosi di atto emesso dall’organo giudiziario cui è conferito dalla legge processuale il relativo potere, adottato all’esito del procedimento specificamente previsto da tale disciplina e che non ha comportato alcuna stasi del processo.
5. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen., la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 settembre 2024.