Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13199 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13199 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/02/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’attenuante di cui all’art. 219 comma 3 legge fall. e per l’inammissibilità nel resto del ricorso; udito per l’imputato l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Palermo ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ad oggetto la distrazione di alcuni beni strumentali della RAGIONE_SOCIALE del valore di 1.700 eu complessivi circa, commesso nella sua qualità di amministratore della summenzionata società, fallita nel settembre del 2015.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando due motivi.
2.1 Con il primo deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito all’affermazione della responsabilità dell’imputato, rilevando in tal sens l’omessa considerazione da parte dei giudici di merito di alcune risultanze processuali in grado di dimostrare come, al momento dell’instaurazione della procedura concorsuale, quelli che si assumono oggetto della distrazione non fossero gli unici beni che concorrevano a costituire la massa attiva della fallita, rappresentando anzi una minima quota di tale massa. Conseguentemente in maniera erronea la Corte territoriale ha affermato la sussistenza del dolo del reato, atteso che l’infimo valore dei beni non rinvenuti – ovvero poco più di 1.700 euro – escluderebbe logicamente che l’imputato si sia rappresentato e abbia voluto mettere concretamente in pericolo la garanzia patrimoniale dei creditori della RAGIONE_SOCIALE. Non di meno, per le stesse ragioni, sarebbe evidente la carenza di offensività del fatto, proprio perché la condotta contestata deve ritenersi inidonea a porre concretamente in pericolo l’interesse tutelato dalla fattispec incriminatrice.
2.2 In subordine il ricorrente solleva eccezione di legittimità costituzionale dell’art. comma 1 legge fall. nella parte in cui individua in tre anni di reclusione il mini edittale di pena per il reato di bancarotta fraudolenta, assumendo in tal senso la violazione degli artt. 3, 13, 27 comma 3 Cost. e dell’art. 6 Cedu tramite il parametro interposto dell’art. 117 comma 1 Cost. In proposito rileva il ricorrente come l particolare severità del suddetto minimo edittale impedirebbe irragionevolmente di modulare la risposta punitiva in relazione all’eterogenea offensività dei fatti in grado integrare la fattispecie tipica, in contrasto con i principi di proporzional individualizzazione della pena e con la finalità rieducativa della stessa, nonché con principi convenzionali del giusto processo, tanto più che nemmeno a seguito delle modifiche apportate all’art. 131-bis c.p. dal d.lgs. n. 150 del 2022 per il reato questione è applicabile la causa di non punibilità prevista dal citato articolo e che f di gravità superiore sono puniti meno severamente ai sensi dell’art. 217 legge fall.
2.3 Con il terzo motivo vengono dedotti gli stessi vizi denunziati con il primo motivo con riguardo al denegato riconoscimento della attenuante speciale di cui all’art. 219 comma 3 legge fall., richiamando in tal senso le medesime argomentazioni relative all’erronea qualificazione dei beni distratti come uniche componenti della massa attiva della fallita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti. 2. Il primo motivo è inammissibile. 2.1 Indeducibile è anzitutto la prospettazione del travisamento probatorio in cui sarebbero incorsi i giudici del merito per l’omessa considerazione della relazione del curatore fallimentare e dell’informativa di p.g. nella parte in cui darebbero atto del maggiore consistenza del patrimonio fallimentare. In proposito deve rilevarsi che l’omessa valutazione delle suddette prove non ha costituito oggetto di specifica doglianza con il gravame di merito, nel quale viene solo sommariamente evocata una presunta e non meglio precisata consistenza dell’attivo fallimentare. Va infatti ribadit che, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, è inammissibile ex art. 606, comma 3, c.p.p., il motivo fondato sul travisamento della prova, per utilizzazione un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poiché in tal modo esso viene sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del devolutum ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimità, a meno che il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (ex multis Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M. Rv. 283777; Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, COGNOME, Rv. 281665; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME Gunnina, Rv. 269217; Sez. 4 n. 19710 del 3/02/2009, COGNOME, Rv. 243636) Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2 Non di meno – e per mero desiderio di completezza – va rilevato che dai documenti allegati al ricorso non emerge in alcun modo l’effettività e la liquidità dei cre annotati in contabilità, né l’effettiva esistenza della merce asseritamente stivata i luogo diverso dalla sede sociale, trattandosi in entrambi i casi di atti in qualche mod interlocutori, alla cui redazione sono seguiti ulteriori accertamenti preannunciati n medesimi, del cui esito la difesa non ha fornito informazione alcuna. Men che meno la
difesa ha evidenziato da quali elementi risulterebbe che, una volta integrato il patrimonio della fallita secondo le risultanze delle prove asseritamente trascurate, l’attivo fallimentare potesse apparire all’imputato più che sufficiente a soddisfare il ce creditorio e ciò a tacere del fatto che le condotte in contestazione sono state commesse in prossimità dell’instaurazione della concorsualità e nella piena consapevolezza della situazione societaria.
2.3 Conseguentemente privi di pregio sono i rilievi sulla configurabilità del dolo de reato, che, invero, presuppongono proprio la circostanza che i beni distratti costituissero solo una parte marginale dell’attivo fallimentare. La Corte comunque non ha mai affermato che i beni distratti costituissero gli unici asset della fallita, ma ha più semplicemente evidenziato come il patrimonio della medesima fosse comunque esiguo e come, pertanto, la sottrazione dei beni di cui si discute sia stata effettuata ne rappresentazione del pericolo che costituiva per l’integrità della garanzia dei creditori. non è dubbio che in una situazione di tal genere non è in discussione che l’imputato si sia rappresentato il pericolo che la sua condotta cagionava all’integrità della garanzia patrimoniale dei creditori, posto che questi potevano soddisfarsi, ancorchè in misura ancora solo parziale, sui beni distratti e su poche altre poste attive. Mere censure in fatto comunque manifestamente infondate sono infine quelle relative all’inoffensività del fatto. Una volta accertato – ed ammesso dallo stesso ricorrente – che i suddetti beni conservavano un valore di realizzo, il fatto non è solo normotipo, ma deve altresì considerarsi offensivo per le ragioni già illustrate in precedenza.
3. Manifestamente infondata è anche l’eccezione di illegittimità costituzionale proposta con riguardo all’entità del minimo edittale di pena previsto dall’art. 216 comma 1 legge fall. Anzitutto inconsistente è l’obiezione fondata sulla comparazione con le cornici d pena previste dall’art. 217 legge fall., posto che si fonda sull’assertiva e generi affermazione che tale disposizione incriminatrice avrebbe ad oggetto fattispecie più gravi da quelle previsti dall’art. 216 comma 1 della stessa legge, il che peraltro no corrisponde a verità, solo che si pensi che le condotte punite dalla norma da ultima citata sono accomunate dal necessario carattere fraudolento delle medesime, mentre quelle che integrano il reato di bancarotta semplice sono prive di tale carattere – che giustifica una diversa valutazione del loro disvalore -ovvero sono punite a titolo d colpa. Privo di pregio è altresì il riferimento all’art. 27 cost., posto che è lo s ricorrente a riconoscere che l’art. 219 legge fall. configura un’attenuante in grado d abbattere la pena per adattarla al concreto disvalore del fatto e ciò a tacere del fatt che le scelte sanzioNOMErie del legislatore, in quanto espressione della sua discrezionalità, non sono sindacabili se non nei limiti della loro eventuale no
ragionevolezza, il cui superamento il ricorrente non ha saputo evidenziare, tanto più che non ha tenuto conto della ratio delle incriminazioni fallimentari. In maniera solo generica il ricorso ha poi evocato la violazione dell’art. 13 cost. e dell’art. 6 CED mentre ancora una volta non ha saputo indicare i motivi per cui sarebbe irragionevole la scelta legislativa di escludere il reato per cui procede, a causa dei limiti editta pena, dal novero di quelli per cui è applicabile la causa di non punibilità di cui all’ 131-bis c.p., rimanendo ovviamente irrilevanti solo ipotizzati sviluppi normativi i senso contrario.
4. Coglie invece nel segno il secondo motivo. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte il giudizio relativo all’attenuante della particolare tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, comma 3, legg fall., deve essere posto in relazione alla diminuzione globale e non percentuale che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti (ex multis Sez. 5, n. 19981 del 01/04/2019, COGNOME, Rv. 277243). Principio che, però, non può essere interpretato come sostanzialmente fatto dai giudici del merito – nel senso per cui, qualora i beni distratti costituiscano le uniche componenti attive del patrimonio del fallito, configurabilità dell’attenuante sarebbe comunque esclusa a prescindere dall’intrinseco valore dei medesimi. Ed infatti la disposizione menzionata in precedenza fa pur sempre dipendere l’attenuazione della pena dalla causazione di un danno patrimoniale di particolare tenuità. Il danno di cui si tratta è quello cagioNOME ai creditori del f ossia alla diminuzione del valore del patrimonio che avrebbe dovuto essere a disposizione per soddisfare i crediti dei medesimi. E’ dunque tale valore che deve o meno essere esiguo, indipendentemente dalla sua incidenza percentuale sulla consistenza dell’attivo patrimoniale. In definitiva se il patrimonio vale uno è a t valore che deve guardarsi per stabilire la consistenza del danno, anche se oggetto di distrazione sia l’intero patrimonio, mentre se i beni sottratti alla garanzia valgo cento, sempre a tale valore deve guardarsi, anche nell’eventualità che l’attivo residuo valga mille. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Conseguentemente, non avendo il giudice dell’appello fatto corretta applicazione del suddetto principio, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla configurabilità della menzionata attenuante con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, affinchè il giudice del rinvio valuti se, ragione del valore intrinseco dei beni distratti, la stessa sia o meno configurabile. N resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza attenuante di cui all’articolo 219 legge fall. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione dell Corte di appello di Palermo. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 31/1/2024