Danneggiamento e incendio: quando il fuoco diventa reato contro la collettività
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ci permette di approfondire la sottile ma fondamentale linea di demarcazione tra il danneggiamento e incendio. La Suprema Corte ha esaminato il caso di un giovane condannato per aver appiccato un fuoco nell’abitazione in cui viveva con la madre, un gesto che ha avuto conseguenze ben oltre le mura domestiche. Analizziamo i fatti e le importanti precisazioni legali fornite dai giudici.
I Fatti del Caso
Il ricorrente, un giovane uomo, era stato condannato in appello a due anni e quattro mesi di reclusione per aver causato un incendio nel suo appartamento. L’evento, avvenuto il 15 dicembre 2021, non si era limitato a danneggiare la sua abitazione, ma aveva assunto connotazioni ‘diffusive’, arrivando a interessare anche le abitazioni confinanti. La difesa del giovane ha presentato ricorso in Cassazione, contestando sia la qualificazione del reato sia il bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti.
La distinzione tra Danneggiamento e Incendio secondo la Cassazione
Il punto centrale della decisione riguarda la corretta interpretazione degli articoli 423 (Incendio) e 424 (Danneggiamento seguito da incendio) del codice penale. La difesa sosteneva che si trattasse della fattispecie meno grave, ma la Corte ha seguito un orientamento consolidato.
La Cassazione chiarisce che il reato di danneggiamento e incendio (art. 424 c.p.) si configura quando si appicca il fuoco a una cosa altrui con il solo scopo di danneggiarla, e da questo gesto deriva un pericolo di incendio. In questo caso, il bene giuridico tutelato è il patrimonio.
Tuttavia, se il pericolo si concretizza o se il fuoco, fin dall’inizio, ha caratteristiche tali da espandersi e minacciare la pubblica incolumità, si passa al più grave delitto di incendio (art. 423 c.p.). In tale scenario, il reato non è più contro il patrimonio, ma contro la sicurezza della collettività.
Nel caso specifico, poiché le fiamme avevano interessato gli appartamenti vicini, i giudici hanno ritenuto corretto qualificare il fatto come un vero e proprio incendio, un delitto contro la pubblica incolumità.
Il bilanciamento delle circostanze: un potere discrezionale del Giudice
Un altro motivo di ricorso riguardava il cosiddetto ‘giudizio di equivalenza circostanziale’. La difesa lamentava che le attenuanti generiche, come la giovane età dell’imputato, non fossero state considerate prevalenti sulle aggravanti.
Anche su questo punto, la Cassazione ha respinto la doglianza. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: la valutazione e il bilanciamento delle circostanze sono espressione del potere discrezionale del giudice di merito. Tale valutazione può essere contestata in sede di legittimità solo se risulta palesemente arbitraria o basata su un ragionamento illogico, cosa che non è stata riscontrata nel caso in esame. La decisione del giudice d’appello è stata quindi ritenuta correttamente motivata.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la corretta qualificazione giuridica del fatto: un fuoco che si propaga ad altre abitazioni non può essere considerato un semplice danneggiamento, ma un attacco alla sicurezza pubblica, integrando il più grave reato di incendio. In secondo luogo, il rispetto per l’autonomia del giudice di merito nella valutazione della pena: il bilanciamento delle circostanze è un’operazione complessa che, se supportata da una motivazione sufficiente e non illogica, non può essere rivista dalla Corte di Cassazione.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che la portata e la diffusività di un incendio sono elementi determinanti per distinguerlo da un semplice danneggiamento a mezzo fuoco. Quando le fiamme superano i confini di una singola proprietà e creano un rischio concreto per la collettività, la risposta sanzionatoria dello Stato diventa più severa, a tutela della sicurezza pubblica. Inoltre, la decisione ribadisce che il potere discrezionale del giudice nel dosare la pena è ampio e il suo esercizio è censurabile solo in casi di manifesta irragionevolezza.
Qual è la differenza legale tra danneggiamento seguito da incendio e il reato di incendio?
Il danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) si verifica quando il fuoco appiccato a una cosa altrui crea solo il pericolo di un incendio, tutelando il patrimonio. Il reato di incendio (art. 423 c.p.), invece, è più grave e si configura quando il fuoco si sviluppa concretamente o ha dimensioni tali da minacciare la pubblica incolumità, tutelando la sicurezza collettiva.
Perché nel caso esaminato il fatto è stato qualificato come incendio e non come semplice danneggiamento?
Perché il fuoco non è rimasto confinato all’abitazione dell’imputato ma ha assunto ‘connotazioni di diffusività’, investendo anche le abitazioni confinanti. Questo ha trasformato l’evento da un attacco al patrimonio a un pericolo per la pubblica incolumità.
È possibile contestare in Cassazione come un giudice ha bilanciato le attenuanti e le aggravanti?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la decisione del giudice di merito è frutto di un’analisi palesemente arbitraria o di un ragionamento illogico e non è sorretta da una motivazione sufficiente. Al di fuori di questi casi, la valutazione rientra nel potere discrezionale del giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24266 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24266 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LIVORNO il 25/03/2003
avverso la sentenza del 20/02/2025 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso la sentenza del 20 febbraio 2025, con la quale la Corte di appello di Firenze confermava la decisione impugnata, con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione, per i reati di cui ai capi A e B, commessi a Livorno il 15 dicembre 2021.
Esaminate, inoltre, le memorie difensive depositate nell’interesse del ricorrente dall’avv. NOME COGNOME datate 19 maggio 2025.
Ritenuto che gli elementi probatori evidenziavano che, nel caso di specie, si era verificato un vero e proprio incendio all’interno dell’abitazione dove NOME COGNOME viveva con la madre, NOME COGNOME che assumeva connotazioni di diffusività, che investivano le abitazioni confinanti – come riferito dai vicini di casa NOME COGNOME e NOME COGNOME -, che non consentivano di prefigurare la fattispecie di cui all’art. 424 cod. pen., in linea con quanto affermato da questa Corte, secondo cui: «II reato di danneggiamento seguito da incendio richiede, come elemento costitutivo, il sorgere di un pericolo di incendio, sicché non è ravvisabile qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non possa sorgere detto pericolo per cui, in questa eventualità o in quella nella quale chi, nell’appiccare il fuoco alla cosa altrui al solo scopo di danneggiarla, raggiunge l’intento senza cagionare né un incendio né il pericolo di un incendio, è configurabile il reato di danneggiamento, mentre se detto pericolo sorge o se segue l’incendio, il delitto contro il patrimonio diventa più propriamente un delitto contro la pubblica incolumità e trovano applicazione, rispettivamente, gli articoli 423 e 424 cod. pen.» (Sez. 2, n. 47415 del 17/10/2014, COGNOME, Rv. 260832 – 01).
Ritenuto che il giudizio di equivalenza circostanziale censurato dalla difesa del ricorrente – che non consentiva di ritenere le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti – teneva conto della giovane età del ricorrente e che, in ogni caso, tale bilanciamento può essere censurato in sede di legittimità, soltanto laddove costituisca il risultato di un valutazione dosimetrica arbitraria o di un ragionamento illogico e non anche quando la soluzione adottata rappresenti l’espressione del potere discrezionale del giudice di merito, atteso che, come affermato da questa Corte, le statuizioni «relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione » (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 5 giugno 2025.