Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3704 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 3704  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 09/11/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in preambolo, la Corte di appello di Firenze ha dichiarato inammissibile l’istanza ex art. 28 d.lgs. n. 159 del volta a ottenere la revocazione della confisca.
Il provvedimento ablatorio è stato reso nell’ambito di un procediment di prevenzione instaurato in data successiva al 13 ottobre 2011, postulato della pericolosità sociale c.d. generica, ai sensi dell commi 1 e 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, illo tempore vigente, di NOME COGNOME e si è concluso con la confisca di numerosi immobili e, tra questi, l’attivo fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE corrispondente a di 3.221.000,00 euro, somma ricavata dalla vendita, opera della curatela, della partecipazioni societarie di “RAGIONE_SOCIALE
Nel 2022 il difensore del fallimento RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la rev della confisca, assumendo il difetto del nesso di derivazione dei va attivi della fallita come provento di attività illecite, segnalando c Corte di appello avesse disposto la revoca della misura ablativa di pluralità di beni con riferimento ad altre procedure concorsuali, av come fallito le società collegate allo stesso COGNOMECOGNOME
La Corte di appello, dopo avere rilevato la propria competenz funzionale a decidere sull’istanza così come qualificata dal Tribunal Perugia, originariamente adito, l’ha dichiarata inammissibile, afferma che «non può non evidenziarsi come difettino tutti i presuppo dell’azione di revocazione fissati dall’art. 28 più volte citato».
Avverso tale provvedimento il difensore del fallimento RAGIONE_SOCIALE nominato dal curatore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo u unico motivo con il quale ha censurato la violazione, ex art. 606 let cod. proc. pen., dell’art. 28 d. Igs. n. 159 del 2011.
Ha, in particolare, lamentato l’assoluta mancanza di motivazione del provvedimento impugnato, poiché la Corte di appello, all’esito di un sintetico excursus dell’iter procedimentale che ha caratterizzato le varie fasi della misura di prevenzione reale, avrebbe dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revocazione della confisca, limitandosi ad affermarne l’assenza dei presupposti di legge, senza esaminare alcuno degli argomenti posti a sostegno dell’istanza.
In particolare – come si evince dall’atto introduttivo della richiesta, allegato al ricorso ai fini dell’autosufficienza – la difesa aveva sottoposto all’attenzione de giudice funzionalmente competente le ragioni per le quali la misura ablatoria dovesse essere limitata all’importo di euro 350.000,00.
Riteneva certamente sussistente il presupposto di cui all’articolo 28 lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, che difatti ricorre allorquando i fatti accertati co sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludono in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca. Giusta la tesi difensiva, l’elemento di novità sarebbe nel caso di specie costituito dal decreto reso dalla Corte di appello di Perugia, il 13 gennaio 2021, con il quale era stata disposta la revoca della misura ablatoria in relazione alla pluralità di beni e riconosciuto il diritto dei terzi rispetto ad essi.
Su tali deduzioni la Corte non ha svolto alcuna motivazione, non avendo, in ogni caso, spiegato la ragione dell’inammissibilità dell’istanza.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 24 luglio 2023, ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è inammissibile per le ragioni di cui si dirà appresso.
Preliminarmente va detto che, nonostante l’istanza di discussione orale presentata dal difensore AVV_NOTAIO in data 23 maggio 2023 nell’interesse del fallimento RAGIONE_SOCIALE, il ricorso – come da provvedimento del Presidente titolare in data 24 maggio 2023 – si è svolto con il rito cartolare, trattandosi di ricorso fissato ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., per il qua non è prevista la discussione orale.
Ciò premesso in rito, un primo profilo d’inammissibilità del ricorso deriva dalla mancanza agli atti della prova che il ricorrente, terzo interessato, sia munito di procura speciale.
È, invero, fermo, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui «è inammissibile il ricorso per cassazione proposto, avverso il decreto che dispone la misura di prevenzione della confisca, dal difensore del terzo interessato non munito di procura speciale, ex art. 100, cod. proc. pen.; né, in
tal caso, può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 182, comma secondo, cod. proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza» (Sez. U. n. 47239 del 30/10/2014, Borrelli, Rv. 260894).
Alla luce di tale regula iuris -che non vi è ragione per non applicare anche al caso che ci occupa, analogo a quello di cui alla massima appena richiamata, nel quale il ricorso è presentato nell’interesse del terzo interessato avverso il provvedimento d’inammissibilità della richiesta di revocazione della già disposta misura di prevenzione patrimoniale della confisca – va rilevata l’inammissibilità del ricorso avanzato dal difensore della RAGIONE_SOCIALE, senza che risulti che lo stesso fosse stato nominato procuratore speciale dell’assistita società.
Sotto altro, assorbente, profilo, il ricorso è del pari inammissibile poiché non risulta né l’autorizzazione del Giudice del fallimento alla nomina da parte del curatore dell’AVV_NOTAIO, né la preannunziata ratifica per il ricorso per cassazione.
Se, invero, il curatore del fallimento, nell’espletamento dei compiti di amministrazione del patrimonio fallimentare, ha facoltà di agire per la rimozione di qualsiasi atto pregiudizievole ai fini della reintegrazione del patrimonio, attendendo alla sua funzione istituzionale rivolta alla ricostruzione dell’attivo fallimentare, ciò deve fare previa autorizzazione del giudice delegato (cfr. Sez. U n. 45936 del 26/09/2019, RAGIONE_SOCIALE; Sez. U. n. 29951 del 24/05/2004, COGNOME, Rv. 228163).
Le Sezioni Unite hanno, in particolare, già chiarito che «il curatore del fallimento, nell’espletamento dei compiti di amministrazione del patrimonio fallimentare, ha facoltà di proporre sia l’istanza di riesame del provvedimento di sequestro preventivo, sia quella di revoca della misura, ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., nonché di ricorrere per cassazione ai sensi dell’art. 325 stesso codice avverso le relative ordinanze emesse dal tribunale del riesame» e hanno precisato che «in questi casi il curatore agisce, previa autorizzazione del giudice delegato, per la rimozione di un atto pregiudizievole ai fini della reintegrazione del patrimonio, attendendo alla sua funzione istituzionale rivolta alla ricostruzione dell’attivo fallimentare» (Sez. U, n. 29951 del 24/05/2004, COGNOME, Rv. 228163, citata).
Sotto il profilo della prescritta autorizzazione ad agire, deve osservarsi che il giudice delegato al fallimento «esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura e» – per quel che qui rileva – «autorizza per iscritto il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto. L’autorizzazione deve essere sempre data per atti determinati e per i giudizi deve essere rilasciata per ogni grado di essi» (art. 25, comma 1, n. 6, legge fall.).
Il curatore del fallimento «non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del giudice delegato, salvo che in materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento, e che nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore» (art. 31, comma 2, legge fall.).
La giurisprudenza civile di questa Corte ha condivisibilmente affermato che «il curatore del fallimento, pur essendo l’organo deputato ad assumere la qualità di parte nelle controversie inerenti alla procedura fallimentare, non è fornito di una capacità processuale autonoma, bensì di una capacità che deve essere integrata dall’autorizzazione del giudice delegato, che anzi (per come prescrive l’art. 25, n. 6, secondo inciso, della legge fall.) dev’essere rilasciata in relazione ciascun grado del giudizio, tanto che, in mancanza di specifica autorizzazione per il singolo grado di giudizio, sussiste il difetto di legittimazione processuale, nulla rilevando che il curatore sia stato parte in senso formale nel grado di giudizio precedente in quanto fornito di un’autorizzazione per esso» (Sez. 3 civ., n. 15392 del 22/07/2005, Fall. 66386 RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE, Rv. 582937 – 01; cfr. pure Sez. 3 civ., n. 26359 del 16/12/2014, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Conformemente, dunque, alla condivisibile esegesi delle norme sopra riportate, va qui ribadito che, tanto nell’ambito dei procedimenti civili, quanto in quelli penali, il curatore fallimentare deve essere autorizzato dal giudice delegato al fallimento.
In conclusione, poiché nel caso che ci occupa il curatore fallimentare non risulta autorizzato alla nomina del legale per la presentazione del ricorso per cassazione, né risulta la pur preannunciata ratifica – a tanto non rilevando il nulla osta privo di firma riprodotto sull’istanza per la ratifica presentata da curatore in data 15 giugno 2023 – lo stesso dev’essere ritenuto inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Non ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, difatti non ricorrendo le condizioni stabilite dall’art. 616 cod proc. pen. nel testo modificato dalla sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 200, n. 186, non si dispone il pagamento di alcuna somma in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali.
Così deciso il 13 settembre 2023
Il Consigliere estensore
GLYPH Il Presidente