Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9434 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9434 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a QUINDICI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/07/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore AVV_NOTAIO NOME, che ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 22 settembre 2022, depositata in data 24 luglio 2023, la Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto le richieste, avanzate da COGNOME, di procedere al cumulo di tutte le pene di cui all’istanza avanzata nel procedimento n. 925/18 SIGE, e di dichiarare la nullità del provvedimento di cumulo emesso in data 04/09/2020, nonché di revocare la già disposta revoca di un condono, richieste queste ultime formulate nel procedimento n. 1533/2020 SIGE, a cui il precedente è stato riunito.
In merito alle richieste contenute nel procedimento n. 925/18 SIGE, la Corte ha dettagliatamente esaminato i motivi dell’istanza e li ha respinti, alcuni per genericità, altri per manifesta infondatezza, ed ha ribadito la correttezza del cumulo emesso in data 02/07/2018, nonché la correttezza della revoca dell’indulto concesso dal Tribunale di Avellino in data 07/05/2008 e disposto con ordinanza in data 14/01/2019, sussistendone i presupposti.
In merito alle richieste contenute nel procedimento n. 1533/2020, la Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi proposti. Nel cumulo emesso dal procuratore in data 04/09/2020 non potevano essere inserite condanne le cui pene erano state, a quella data, già espiate, o condanne per reati commessi successivamente all’inizio di esecuzione della pena, risalente al 12/03/2008. Non poteva, poi, essere considerato fungibile il periodo di pena espiata in eccesso in relazione al precedente cumulo, dal momento che l’art. 657, comma 4, cod.proc.pen., vieta la fungibilità in favore di condanne per reati commessi successivamente alla pena espiata senza titolo. Tale provvedimento di cumulo, poi, è corretto, in quanto ha tenuto conto della pena ricalcolata a seguito della concessione della continuazione tra tre condanne, intervenuta in data 08/07/2020, e vi ha aggiunto altre tre condanne sopravvenute e non ritenute unite in continuazione con le altre.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in relazione agli artt. 663, 657, comma 4, , zod.proc.pen. e 78 cod.pen., 671 cod.proc.pen., e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen.
L’affermazione di genericità dell’istanza è infondata. Egli aveva evidenziato che la sentenza n. 945/2011 aveva accertato la commissione di un reato associativo dal 2003 al 30/11/2007, essendo peraltro il ricorrente un noto
appartenente al clan Cava sin dal 1980, per cui chiedeva al giudice dell’esecuzione di verificare la correttezza dei provvedimenti di cumulo emessi dal AVV_NOTAIO della Repubblica in merito alla esatta individuazione del tempus commissi delicti in ordine ad un reato permanente, anche al di là del dato temporale consacrato in una contestazione chiusa. Tale richiesta si estendeva, poi, all’applicabilità delle pene già scontate senza titolo a quelle ancora da scontare, non potendo il divieto dell’art. 657, comma 4, cod.proc.pen., essere applicato automaticamente in caso di reato associativo. Il ricorrente non chiedeva, infatti, la fungibilità della pena già scontata, bensì la determinazione unitaria di un reato permanente, giudicato nel 2011, inserendo nell’esecuzione tutti quei reati che facevano parte di un unico disegno criminoso, in quanto commessi nell’ambito della partecipazione al sodalizio criminoso. Il dies a quo del percorso associativo del ricorrente risale al 1990, come affermato, quale dato notorio, in vari provvedimenti giudiziari, ed è pertanto illegittimo scomputare i reati connessi, che fanno parte di una determinazione unitaria. Pertanto il procuratore avrebbe dovuto inserire nel cumulo tutte le condanne relative a tale periodo e legate dalla indicata unicità del disegno criminoso, essendo evidente la possibilità di applicazione della disciplina della continuazione.
Nella memoria difensiva depositata al giudice dell’esecuzione si chiedeva, infatti, anche l’applicazione della continuazione, e non è vero che l’ordinanza emessa in data 08/07/2020, che la concedeva solo in parte, era ormai definitiva, perché essa, per errore, non comprendeva la decisione sulle istanze avanzate nel procedimento n. 925/18 SIGE.
Anche in ordine alla lamentata erroneità della revoca dell’indulto concesso, il giudice dell’esecuzione non ha tenuto conto del fatto che la condanna a quattro anni di reclusione, che aveva giustificato tale revoca, a seguito dell’applicazione della continuazione è stata rideterminata in anni uno di reclusione, facendo così venir meno il presupposto necessario.
Il AVV_NOTAIO ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
Il ricorrente ha depositato una memoria con motivi nuovi: l’ordinanza impugnata erroneamente non ha riconosciuto la continuazione, in quanto sono presenti i criteri indicatori da cui desumere l’unicità di disegno criminoso. La richiesta non è generica, perché sono stati forniti documenti attestanti che il ricorrente era partecipe del clan mafioso, in un ruolo apicale, sin dal 1990, e
quindi ha preordinato tutti i reati, almeno nelle loro linee essenziali. Non è di per sé ostativa la distanza temporale tra i reati.
La revoca dell’indulto, poi, è errata perché la sentenza in base alla quale è stata disposta riporta, a seguito di applicazione della continuazione, una condanna a soli anni uno di reclusione, e non più anni quattro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
Esso non si confronta adeguatamente con l’ordinanza impugnata, e solleva censure che sono conseguenti ad una eventuale applicazione dell’istituto della continuazione tra tutti i reati di cui ai due cumuli di pena contestati. L’applicazione di detto istituto, però, non è stata mai formalmente richiesta, in quanto è stata proposta al giudice dell’esecuzione solo con una memoria difensiva, come ammesso dal ricorrente stesso, nella quale egli ha affermato che tutti i reati giudicati con le condanne di cui ai predetti provvedimenti di cumulo sono stati da lui commessi quale partecipe di un’associazione criminosa, e sono per tale motivo uniti dal medesimo disegno criminoso.
La richiesta di applicazione della continuazione, peraltro, correttamente non è stata valutata dal giudice dell’esecuzione, in quanto non è stata formulata nell’istanza originaria ed è stata, inoltre, suggerita in termini del tutto generici senza indicare con precisione né i reati da ritenere unificati, né la ragione dell’asserita identità di disegno criminoso, che non può essere quella affermata dal ricorrente. E’ infatti un principio consolidato, dettato da questa Corte, quello secondo cui i reati-fine commessi dal sodale di un’associazione criminosa non possono essere ritenuti automaticamente uniti al reato associativo in base all’istituto della continuazione, essendo necessario esaminare se essi siano stati progettati, almeno nelle loro linee generali, sin dall’ingresso del condannato nell’associazione stessa (vedi Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Rv. 279430). Inoltre, secondo l’affermazione dello stesso ricorrente, la consumazione di un reato associativo è stata giudizialmente accertata solo con la sentenza n. 945/2011, per il periodo dal 2003 al 30/11/2007: è quindi evidente che i delitti commessi antecedentemente e successivamente a tale periodo non possono essere ritenuti commessi da un soggetto partecipe a quel sodalizio criminoso, non essendo dimostrata tale sua partecipazione.
L’applicazione dell’istituto della continuazione, poi, è stata oggetto di una specifica, separata richiesta, ed è stata concessa, in dai:a 08/07/2020, in
relazione a tre condanne, ma respinta in relazione ad altre condanne, secondo quanto riportato alle pagine 11 e 12 dell’ordinanza impugnata. Tale provvedimento non è stato mai impugnato’ e la valutazione di insussistenza di un unico disegno criminoso, in relazione a dette sentenze, è ormai definitivo. E’ infatti del tutto infondata l’affermazione del ricorrente, che tale provvedimento non sia divenuto definitivo perché non comprendeva la decisione sulle istanze formulate nel procedimento n. 925/18 SIGE: l’omessa decisione su alcune richieste può costituire un vizio del provvedimento, il quale però, se non impugnato, acquista efficacia di giudicato in relazione alle decisioni assunte.
L’asserita unicità di disegno criminoso tra tutti i reati commessi dal ricorrente non può, quindi, essere ritenuta sussistente in questa sede, in quanto mai dichiarata.
E’ errata l’affermazione del ricorrente, secondo cui il pubblico ministero, nel formare il cumulo di pena, avrebbe dovuto tenere conto della unicità di disegno criminoso tra tutti i reati e, quindi, riunirli in un unico cumulo.
Il cumulo di pena non può comprendere condanne già interamente espiate, a meno che il condannato dimostri un concreto interesse al loro inserimento, né condanne per reati commessi dopo l’inizio dell’esecuzione della pena, ed è quindi doverosa la formazione di cumuli parziali: si vedano, sul punto, le numerose pronunce di questa Corte, secondo cui «In tema di esecuzione di pene concorrenti inflitte con condanne diverse, qualora, durante l’espiazione di una determinata pena, o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato, non può effettuarsi il cumulo di tutte le pene, ma occorre procedere a cumuli parziali, ossia, da un lato, al cumulo delle pene inflitte per i reati commessi sino alla data del reato cui si riferisce la pena parzialmente espiata, con applicazione del criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen. e detrazione dal risultato del presofferto, e, dall’altro, ad un nuovo cumulo, comprensivo della pena residua e delle pene inflitte per i reati successivamente commessi, sino alla data della successiva detenzione» (Sez. 1, n. 46602 del 01/03/2019, Rv. 277491; vedi anche Sez. 1, n. 17503 del 13/02/2020, Rv. 279182; Sez. 5, n. 50135 del 27/11/2015, P.v. 265966)
Il ricorso non si confronta, poi, con alcune, specifiche valutazioni del giudice dell’esecuzione.
4.1. Il ricorrente continua a sostenere la erroneità del cumulo di pena emesso in data 02/07/2018, impugnato nell’ambito del procedimento n. 925/18 SIGE, per l’omesso inserimento in esso di alcune condanne risalenti nel tempo,
ma non si confronta con l’affermazione della Corte di appello, secondo cui quelle condanne non potevano esservi inserite, perché le relative pene erano state già interamente espiate. Egli non indica, infatti, se tale affermazione sia errata perché le pene irrogate con le condanne non inserite erano, in realtà, ancora da espiare almeno in parte, ovvero se sia errata perché l’inserimento di condanne a pene già espiate aveva un riflesso sul cumulo materiale o sul criterio moderatore di cui all’art. 78 cod.pen. (cfr. Sez. 1, n. 20207 del 27/03/2018, Rv. 273141).
4.2. Il ricorso non si confronta con la corretta motivazione dell’ordinanza, circa l’impossibilità di inserire nel cumulo le pene relative a reati commessi dopo l’inizio della esecuzione, in quanto rimane del tutto silente sul punto.
Quanto all’affermazione della impossibilità di detrarre, nel nuovo cumulo, la pena del precedente cumulo espiata sine titulo, per il divieto di fungibilità stabilito dall’art. 657, comma 4, cod.proc.pen., il ricorrente precisa che la sua richiesta mirava ad ottenere non la fungibillità della pena già scontata, bensì la determinazione unitaria di un reato permanente, riconoscendo cioè che tutti i reati commessi facevano parte di unico disegno criminoso, in quanto legati alla partecipazione al sodalizio mafioso, e quindi dovevano essere , inseriti in un unico cumulo, da cui detrarre le pene eventualmente già scontate. La richiesta, anche così più precisamente formulata, è infondata, e quindi il suo rigetto da parte del giudice dell’esecuzione è corretto. Non solo non è stata riconosciuta la continuazione tra tutti i reati commessi dal ricorrente, in particolare tra il reat associativo e i reati-fine, ma anche il reato associativo è stato ritenuto sussistente limitatamente al periodo tra il 2003 e il 2007. Il pubblico ministero non doveva, quindi, ritenerlo sussistente sino dagli anni ’90, come sostenuto dal ricorrente, mancando un accertamento giudiziario in tal senso, e la esclusione della fungibilità tra le pene espiate senza titolo prima del 2003 e il reato in questione è dunque corretta, come ritenuto dall’ordinanza impugnata. 4.3. Il ricorso, infine, non si confronta interamente con la motivazione relativa al cumulo impugnato nell’ambito dell procedimento n. 1533/2020 SIGE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La contestazione circa la definitività dell’ordinanza, emessa in data 08/07/2020, di parziale concessione della richiesta continuazione, è infondata, essendosi già sopra evidenziato che l’omessa valutazione di alcune delle istanze proposte costituisce un eventuale vizio del provvedimento, che non impedisce alle altre, autonome decisioni di acquistare efficacia di giudicato, se non impugnate tempestivamente. Il pubblico ministero, quindi, ha correttamente inserito, nel cumulo emesso in data 04/09/2020, le pene rideterminate a seguito della concessione della continuazione, e le pene irrogate con le altre sentenze, per le quali la continuazione è stata esclusa.
L’affermazione di erroneità del provvedimento di cumulo emesso in data 04/09/2020 perché in esso è stata inserita una condanna a pena indultata, il cui beneficio sarebbe stato illegittimamente revocato, è manifestamente infondata. Il ricorrente sostiene, ribadendo nel ricorso quanto già eccepito davanti al giudice dell’esecuzione, che la pena pari a due anni e due mesi di reclusione, irrogata con la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 27/05/2003, fu dichiarata indultata, ma successivamente l’indulto fu revocato per il sopraggiungere di una condanna a quattro anni di reclusione emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 30/11/2012; il reato giudicato con quest’ultima condanna, però, con il provvedimento emesso in data 08/07/2020 fu ritenuto unito in continuazione con altri, e la pena allora irrogata fu rideterminata in anni uno di reclusione, per cui il provvedimento di revoca dell’indulto avrebbe dovuto essere a sua volta revocato, in quanto emesso illegittimamente, e il pubblico ministero non avrebbe dovuto inserire la relativa pena nel nuovo cumulo.
Il giudice dell’esecuzione ha correttamente respinto questa richiesta, perché la revoca dell’indulto è stata disposta legittimamente, con provvedimento emesso in data 14/01/2019, mai impugnato, e divenuto, perciò, definitivo. Le vicende successive, che peraltro consistono in una riduzione dell’entità della pena solo a seguito di un trattamento di favore che risponde ad altri principi, e non elimina la condanna originariamente emessa e la valutazione di congruità della pena applicata dal giudice della cognizione, non possono, in questo caso, travolgere il giudicato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto, benché sintetica, è pertanto corretta, e non presenta gli asseriti vizi di carenza e apparenza.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, essendo infondate tutte le censure proposte, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P. Q.114.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente