Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 11939 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 11939 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a TERNI il 31/03/1961 COGNOME NOME nato a TERNI il 24/01/1975 COGNOME nato a TERNI il 20/07/1976 COGNOME NOME nato a GUARDEA il 10/04/1951
avverso la sentenza del 20/06/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e itricors<y; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME difì-i3& chiedeadD
Il Procuratore Generale si riporta alla memoria scritta e conclude per il rigetto dei ricorsi.
utlite-èi-ctifensaa:
E presente l'avvocato COGNOME del foro di FERRARA in difesa della parte civile PROVINCIA FERRARA il quale si riporta alle conclusioni scritte e nota spese che deposita.
E' presente l'avvocato NOME COGNOME del foro di TERNI in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento. E' presente l'avvocato COGNOME NOME del foro di SPOLETO in difesa di COGNOME NOME che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento; chiede una riduzione della pena con applicazione della sospensione condizionale. E' presente l'avvocato COGNOME del foro di TERNI in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.
E' presente l'avvocato COGNOME del foro di FERRARA in difesa di COGNOME NOMECOGNOME che si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 10 febbraio 2015, il Tribune di Ferrara ha ritenuto COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME responsabili del reato di cui agli anticòli 449, 434 codice penale, per avere, con condotte colpose concorrenti e nelle rispettive qualità indicate nella imputazione – di cui infra cagionato il crollo del tetto di copertura della palestra comunale di Portomaggiore, la cui realizzazione aveva formato oggetto di un contratto di appalto stipulato tra il Comune di Portomaggiore e una ATI in data 27 settembre 2005.
L'associazione temporanea d'imprese era composta dalla RAGIONE_SOCIALE (capogruppo) e da RAGIONE_SOCIALE (mandante, il cui amministratore unico era COGNOME NOME).
I lavori erano stati ultimati, sulla base della certificazione di collau in atti, in data 26 marzo 2008.
Il crollo della copertura della palestra era avvenuto nelle prime ore del mattino del 10 marzo 2010, in seguito ad una nevicata che aveva interessato la località in cui sorgeva la struttura. L'entità della nevicata no era stata accertata con precisione (non esistendo pluviometri nel Comune di Portomaggiore erano stati acquisiti i dati del pluviometro più vicino, distante sette chilometri); in ogni caso, si legge nelle sentenze di merito, il fenomeno non aveva assunto caratteri eccezionali, poiché i mezzi pubblici quel giorno avevano circolato regolarmente e non si erano registrate significative assenze nella popolazione scolastica.
La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 20/6/2023, dopo avere richiamato il contenuto della pronuncia di primo grado ed esaminato i motivi di appello degli imputati, è pervenuta, alla luce delle risultanz probatorie acquisite nel corso della complessa istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, alla conferma della sentenza di condanna a carico degli odierni ricorrenti, COGNOME nella qualità di legale rappresentante della "RAGIONE_SOCIALE, impresa esecutrice dei lavori relativi alla copertur della palestra; COGNOME NOME e NOME quali amministratori delegati della "RAGIONE_SOCIALE", ditta che aveva fornito alla "RAGIONE_SOCIALE componenti della copertura reticolare metallica della palestra; COGNOME NOME, quale Direttore tecnico della "RAGIONE_SOCIALE".
La Corte di merito ha altresì confermato la pronuncia di condanna a
carico dell'ing. COGNOME NOME, progettista e direttore lavori – non ricorrente dichiarato l'estinzione del reato per morte del reo nei confronti di COGNOME NOME, collaudatore dell'opera.
Ai fini dell'accertamento delle cause del crollo, i giudici di merito sono avvalsi dell'ausilio tecnico di esperti nella materia ingegneristica, cu sono state affidate due distinte perizie nel corso del dibattimento di primo grado. I risultati degli elaborati peritali, sostanzialmente convergenti, hann apportato, sulla base di quanto si legge nelle conformi sentenze di merito, un contributo assai rilevante per la ricostruzione dei fatti e la conseguente individuazione dei profili di responsabilità addebitati agli imputati.
Alla luce degli esiti delle perizie (la prima realizzata nelle form dell'incidente probatorio ed affidata all'ing. NOME COGNOME, la seconda svolta dal prof. NOME COGNOME), le cause del crollo sono state individuate nella rottura dei nodi della copertura reticolare metallica del tetto del struttura: in quasi tutti i casi osservati nella perizia COGNOME, si legge n motivazione della sentenza impugnata, si era verificato lo sfilamento delle cosiddette "viti stress" dalle rispettive "sfere stress" (nodi di convergenza de tubolari che componevano la struttura reticolare metallica del tetto e che servivano a ripartire gli sforzi). Un secondo aspetto di criticità rilevato perito nella individuazione delle cause del crollo riguardava la qualità del materiale utilizzato per i componenti dei nodi: il progetto costruttivo dell'in COGNOME prevedeva infatti l'utilizzo di sfere-stress in acciaio AVP11SMnPB37 e di viti-stress in acciaio C60. Le prove chimiche sui metalli eseguite dal perito dimostravano che le sfere impiegate erano state realizzate in acciaio semidolce al carbonio del tipo C20 e che si erano utilizzate viti in acciaio AVP, materiale meno resistente di quello previsto nel progetto. Un terzo rilievo concerneva l'errata realizzazione geometrica delle filettature interne delle sfere: la sovrapposizione tra i denti della vite e quelli della madre-vi risultava essere pari alla metà del valore nominale previsto dalla normativa UNI. A causa del minor ingaggio che interessava le filettature si raggiungeva rapidamente il limite ultimo di resistenza del materiale nei filetti della vite. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto all'incidenza di tali fattori, l'ing. COGNOME sosteneva che i collasso della copertura fosse da attribuirsi prevalentemente alla errata realizzazione delle filettature interne dei nodi. Veniva tuttavia ritenu rilevante anche la diversa qualità dei materiali utilizzati. Applicando ad un modello di calcolo tali risultati, il perito stabiliva che le prime aste a cede sfilandosi dai nodi – erano le due aste del corrente inferiore, proprio dove erano state utilizzate le sfere di diametro 80 anziché di diametro 100: ciò aveva determinato un incremento di carico sulle aste adiacenti, che a loro volta si erano sfilate, determinando il collasso dell'intera copertur
allorquando erano venuti meno cinque accoppiamenti vite-sfera.
Le conclusioni rassegnate dall'ing. COGNOME in ordine alle cause del crollo erano condivise dal prof. COGNOME. Quest'ultimo accertava inoltre che i nodi del filo ove si era originato il crollo – denominato "B" – sottoposti sperimentazione avevano dimostrato una resistenza compresa tra 11,6 e 16 tonnellate, a fronte delle resistenze prescritte dalla normativa di settore comprese tra 30 e 33 tonnellate (furono sottoposti a prove di 'trazione gli accoppiamenti denominati 11C/B, 6C/A, 7C/C e 24C/C che evidenziarono una resistenza pari rispettivamente a 14,3 tonnellate, 11,6 tonnellate, 13,3 tonnellate e 16,04 tonnellate).
Sempre il prof. COGNOME nel corso del sopralluogo effettuato sul posto, rinvenne una vite stress palesemente tagliata e accorciata e due sfere che presentavano una chiara ossidazione.
In considerazione delle rilevate cause del crollo, i giudici di merito ritenevano che fossero individuabili profili di responsabilità colposa a carico degli odierni ricorrenti per le condotte serbate da ciascuno nella fase progettuale e di esecuzione dell'opera in base alle diverse qualifiche rivestite.
Per quanto d'interesse in questa sede, la variazione nella tipologia di acciaio impiegato per le viti stress, individuata quale concausa del crollo, era addebitata a COGNOME NOMECOGNOME
Quale amministratore della ditta costruttrice aveva subappaltato parte del lavoro all'azienda "RAGIONE_SOCIALE", senza nulla comunicare alla stazione appaltante, commissionando la realizzazione delle viti in acciaio AVP in luogo dell'acciaio C60 previsto nel progetto costruttivo. L'AVP era infatti indicato i tutti i preventivi forniti dalla soc. RAGIONE_SOCIALE COGNOME, così come ne conferma d'ordine firmata dallo stesso NOME COGNOME in data 15/3/2007. Alla stregua di quanto argomentato dai giudici di merito, la condotta così descritta sarebbe stata connotata da grave negligenza, avendo l'imputato mancato di ottemperare a quanto previsto nel progetto in ragione di finalità che sono ricondotte in sentenza al perseguimento di interessi economici, avendo il materiale impiegato un costo minore ed essendo più facilmente lavorabile.
COGNOME NOME, GLYPH progettista GLYPH dell’opera, GLYPH è GLYPH stato GLYPH ritenuto responsabile, quale Direttore tecnico della “RAGIONE_SOCIALE“, di avere omesso i dovuti controlli sull’esatta esecuzione dell’opera, con particolare riferimento al materiale impiegato per le viti-stress, realizzate, come detto in precedenza, in AVP in luogo del previsto acciaio C60.
Si sostiene in sentenza come fosse riconoscibile in capo all’imputato la
qualifica di Direttore tecnico dei lavori, siccome previsto dalla normativa di cui al d.P.R. 34/2000, che impone la presenza di tale figura nello svolgimento di commesse di opere pubbliche. Il ricorrente avrebbe dovuto sovrintendere all’esatta esecuzione dei lavori, controllando anche l’effettivo impiego dei materiali previsti nel progetto e curando .una corretta trasmissione delle informazioni tecniche all’interno dell’azienda. L’ing. COGNOME non avrebbe vigilato adeguatamente sui materiali impiegati, che erano risultati difformi da quelli previsti nel progetto esecutivo da lui stes elaborato, difformità facilmente rilevabile dalla consultazione della documentazione proveniente dalla ditta “RAGIONE_SOCIALE“, dove era indicato l’impiego di viti in AVP.
La responsabilità di COGNOME NOME e NOME era individuata nel fatto di avere errato nella esecuzione della filettatura delle sfere, le qua presentavano tutte il medesimo difetto, che aveva determinato, in base alla ricostruzione offerta dai periti, lo sfilamento delle viti ed il conseguente cro del tetto della struttura.
Avverso la sentenza di cui sopra hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, articolando seguenti motivi di doglianza.
COGNOME NOME e COGNOME Pasquale
Punto relativo alla causazione dell’evento, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla condotta contestata agli imputati, travisamento della prova.
Le cause del crollo della struttura, premette la difesa, sono state ricondotte ad una insufficiente resistenza degli accoppiamenti sfera-vite stress, imputabile a tre fattori, di cui i periti individuavano anche percentuali di incidenza. Detti fattori sono rappresentati dal cambio della qualità dell’acciaio, dall’errore del pre-foro, dalla modifica del diametro di v e sfere.
L’errore sistematico del pre-foro (§ 1.1. del ricorso), causa attribuita ai ricorrenti, con incidenza del 33-35% sul crollo della palestra, è stato desunto dal fatto che tutte le madreviti presentavano una non conformità del diametro del nocciolo, in quanto il foro era superiore ai massimi consentiti dalla norme UNI ed aveva una morfologia particolare (trapezoidale e non triangolare), così da determinare, per effetto della minore resistenza, lo sfilamento delle viti sotto la trazione del carico della struttura.
Tale assunto, sostiene la difesa, sarebbe erroneo, dovendo invece ritenersi, sulla base delle analisi compiute dall’ing. COGNOME consulente
parte, che, in base alle tolleranze previste dalla normativa UNI ISO (UNI 55 42 e UNI EN ISO 10684), il diametro delle madreviti fosse conforme alle disposizioni tecniche di settore.
Sul punto il perito ing. COGNOME ha ammesso di non avere tenuto conto dei limiti di tolleranza indicati dal consulente di parte e la Cor d’appello, pure investita della questione, non ha fornito alcuna risposta atta a contrastare l’avversa deduzione.
Secondo la Corte d’appello, tutte le madreviti riportavano una difformità del diametro del nocciolo, tanto da configurare un errore sistematico di produzione (§ 1.2. del ricorso). La motivazione non offre adeguata risposta ai rilievi difensivi sollevati in sede di gravame: l misurazioni effettuate dal perito hanno avuto ad oggetto soltanto 8 madreviti; di queste, 5 presentavano scostamenti perfettamente rientranti nei limiti di tolleranza normativamente previsti.
Pertanto, non è sostenibile che vi sia stato un errore sistematico di produzione alla luce della normativa tecnica applicabile, la cui valutazione è stata del tutto omessa in sentenza.
Il secondo fattore attribuito ad un errore di lavorazione riferibile a ricorrenti riguarda la supposta non conformità della morfologia della vite, che ha una forma trapezoidale in luogo di quella triangolare (§ 1.3. del ricorso). Anche in questo caso la motivazione della Corte di merito non tiene conto delle risultanze di causa, incorrendo in un travisamento della prova, posto che la consulenza dell’ing. COGNOME ha dimostrato la perfetta conformità della morfologia delle viti alle norme di riferimento.
Ulteriore manifestazione del travisamento della prova si rinviene nella parte della sentenza in cui si afferma che la ditta RAGIONE_SOCIALE ha certificato la capacità di resistenza delle viti secondo il progetto dell’ing. COGNOME (§ 1. del ricorso). In realtà, la ditta RAGIONE_SOCIALE non ha alcun potere di certificare prodotto, potendo essere chiamata a certificare esclusivamente il processo di lavorazione. La certificazione ISO 9001 in possesso dei F.11i RAGIONE_SOCIALE, come pacificamente emerso in corso di causa, ineriva al solo processo di lavorazione e non al prodotto finito. Il travisamento della prova sul punto ha determinato un errore suscettibile di disarticolare l’intero ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte di merito, rendendo illogica la motivazione.
II) Punto relativo alla causazione dell’evento, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla condotta contestata agli imputati, travisamento della prova.
Le prove di trazione disgiunte eseguite dal perito nominato dal Tribunale confermano la correttezza dell’operato dei fratelli COGNOME. Le
prove sugli accoppiamenti prelevati dalla struttura collassata hanno evidenziato un valore minimo di rottura pari a 13,1 tonnellate, che è un valore corrispondente al doppio rispetto alla trazione esercitata sulla struttura all’atto del collasso. Le ulteriori prove disgiunte effettuate dal per con le viti realizzate con materiale non corretto hanno restituito valori ulti compresi tra 12,7 e 18,4 tonnellate; il limite minimo è inferiore a quello del cedimento degli accoppiamenti testati (13,1 tonnellate). In pratica, secOndo i metodi di calcolo previsti dalle vigenti normative l’accoppiamento doveva rompersi per trazioni superiori a 12,70 tonnellate ed il primo cedimento si è verificato per un carico di 13,10 tonnellate, valore evidentemente superiore a quello normativamente previsto.
Come è stato ripetutamente indicato da tutti i consulenti di parte ed anche dal perito, trattandosi di una regola elementare, i valori cui rapportarsi per operare i calcoli sui cedimenti strutturali sono quelli minimi nessuna rilevanza ha dunque la circostanza che vi siano stati cedimenti in conseguenza di una forza di valore superiore a quella indicata, perché il limite da considerare è solo quello minimo, al di sotto del quale la struttura non deve cedere. Sarebbe dunque evidentemente erronea la conclusione cui perviene la Corte d’appello di Bologna nell’attribuire ai ricorrenti responsabilità della causa del crollo della struttura.
III) Punto relativo alla sussistenza del nesso causale, manifesta illogicità della sentenza, erronea applicazione della legge penale e travisamento della prova.
Secondo costante orientamento, richiamato anche in sentenza, è possibile affermare l’esistenza del nesso eziologico in assenza di una probabilità prossima alla certezza solamente ove si possano escludere con sicurezza la sussistenza di altre cause o concause che possano aver determinato o concorso a determinare l’evento. Non si comprende per quale motivo il giudice di prime cure e la Corte di appello abbiano negato rilievo causale ad un altro rilevante fattore emerso nel corso della istruttoria dibattimentale, ossia la manomissione delle sfere in fase di montaggio.
Alla stregua di quanto risulta dalla perizia in atti, la somma dei tr fattori condizionanti il crollo del tetto della palestra individuati dai tecni inciso sull’evento per un valore percentuale pari all’85%, di molto inferiore alla certezza. Lo stesso perito incaricato dal Tribunale ha riferit dell’incidenza di altri fattori nella causazione dell’evento. La circostanza ch le sfere siano state manomesse in fase di montaggio ovvero siano state ripassate con modificazione della loro geometria risulta un dato processualmente acclarato attraverso il rinvenimento di almeno tre sfere ossidate, di una vite intagliata e di utensili appositamente costruiti d
COGNOME NOME, su esplicita e urgente richiesta del COGNOME, per ripassare i filetti di viti e sfere. Le maggiori tolleranze del preforo rich dal COGNOME alla ditta COGNOME, necessarie al fine di eseguire la zincatura a caldo dei particolari metallici, così come voluto dallo stesso COGNOME, trovano plurime conferme in atti: la circostanza suddetta non è stata smentita in sede processuale da parte del coimputato; i valori rilevati in sede di perizia sono del tutto compatibili con quelli previsti dalle normative settore per la zincatura a caldo, nonostante che i disegni di officina prevedessero la zincatura elettrolitica; la famiglia del COGNOME era proprietaria della RAGIONE_SOCIALE che effettuava solo zincatura a caldo de metalli; nel materiale accantonato e utilizzato nella seconda perizia vennero rinvenute almeno tre sfere ossidate, indice del fatto che erano state ripassate in fase di montaggio per effettuare la zincatura a caldo.
IV) Punto relativo all’elemento soggettivo del reato, travisamento della prova, assenza di colpa.
La ditta COGNOME osserva la difesa, era tenuta a consegnare materiale conforme al progetto, all’ordine commerciale ricevuto ed alle generiche prescrizioni tecniche di settore, come effettivamente è avvenuto.
La ditta ha adempiuto correttamente alla commessa, avendo consegnato materiale che doveva resistere fino ad un limite minimo di 12,7 ton., cosa che le prove di trazione disgiunte effettuate dal perito del Tribunale hanno dimostrato essere avvenuta. Sul punto il Giudice di prime e la Corte di appello non hanno dato risposta, assimilando in modo illogico la posizione dei ricorrenti a quella dei progettisti e della ditta esecutrice d lavori. In realtà, la ditta Canalicchio non ha partecipato all’ATI che si aggiudicata l’appalto per la costruzione della palestra del Comune di Portomaggiore. La natura dei rapporti commerciali intrattenuti tra COGNOME, amministratore della “RAGIONE_SOCIALE“, e la “RAGIONE_SOCIALE” è ampiamente documentata in atti attraverso le varie offerte commerciali che si sono succedute nel tempo e che sono state acquisite agli atti del processo. È dato processuale incontestato quello secondo cui la ditta COGNOME non prese parte al processo costruttivo, ma fu semplice fornitore di singoli componenti meccanici. Per tale ragione, non avendo ricevuto specifiche indicazioni tecniche da parte dell’impresa committente, la stessa ha applicato le norme sulle filettature previste dalla normativa tecnica di settore cui si fatto ampio riferimento in precedenza. Gli imputati, pertanto, non hanno violato alcuna norma specifica di settore, avendo consegnato un prodotto conforme all’ordine che gli stessi avevano ricevuto e che è risultato conforme alle prescrizioni.
Il giudice di prime cure ha errato nell’inquadrare giuridicamente il
rapporto tra la ditta “RAGIONE_SOCIALE” e la soc. “RAGIONE_SOCIALE” nell’ambito del subappalto, essendosi trattato di un rapporto di mera subfornitura.
La Corte di merito, dal canto suo, introduce per la prima volta un argomento fondato su un dato probatorio che è frutto di travisamento, affermando che i fratelli COGNOME erano tenuti a consegnare un prodotto capace di sorreggere il peso di una struttura, attenendosi ai calcoli ed alle risultanze del progetto dell’ing. COGNOME senza accettare che COGNOME, privo delle competenze tecniche, imponesse loro cambiamenti della struttura delle viti stress e delle madreviti per ragioni di economicità e speditezza.
In realtà, come emerso dalle risultanze istruttorie, la ditta RAGIONE_SOCIALE non ha mai avuto contezza del progetto dell’ing. COGNOME, né ha mai trattato con lo stesso, né avrebbe potuto avere le conoscenze e le competenze tecniche per stabilire se i particolari metallici da produrre potessero sorreggere determinati pesi.
L’unico obbligo gravante sui ricorrenti era quello di realizzare prodotti conformi ai disegni tecnici ed alle direttive impartite dal committente.
COGNOME NOME
I) Violazione dell’articolo 179 cod. proc. pen., nullità assoluta e insanabile della sentenza per omessa notificazione della citazione in appello all’imputato.
Dagli atti risulta che la notifica della fissazione dell’udienza innanz alla Corte di appello di Bologna è avvenuta solamente nei riguardi del difensore dell’imputato a mezzo Pec, nonostante l’imputato avesse nell’atto d’appello, fin dal 5 giugno 2015, dichiarato di eleggere domicilio presso la propria abitazione. In difetto della vocatio in iudicium dell’imputato la sentenza risulterebbe affetta da nullità assoluta ed insanabile siccome previsto dal combinato disposto dagli artt. 179 e 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
II) Violazione dell’articolo 157 cod. pen. per omessa declaratoria di estinzione per prescrizione del reato e omessa motivazione sul punto in sentenza.
La difesa dell’imputato, in sede di conclusioni, in subordine rispetto alla richiesta principale di assoluzione dell’imputato, aveva sollecitato l declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, essendo decorso il termine massimo di prescrizione dalla data del fatto, maturato il 14/2/2023. La Corte di appello di Bologna non ha inteso aderire alla richiesta, omettendo peraltro di motivare sulle ragioni del diniego.
III) Vizio di motivazione per omessa valutazione di una prova testimoniale decisiva.
La Corte di merito, nel pervenire alla pronuncia di condanna, ha omesso di considerare, nella sua interezza, il compendio probatorio in atti.
In particolare, non ha tenuto conto dei rilievi difensivi riguardant l’incidenza sul crollo della struttura della copiosa nevicata verificatasi in da 10 marzo 2010. A pagina 30 della motivazione, i giudici si ‘limitano ad affermare che la neve era stata la causa scatenante del crollo, precisando, tuttavia, che non si era trattato di una nevicata di tale eccezionalità e intensità da interrompere il nesso causale e giustificare il collasso del tett della struttura di recente costruzione.
In sentenza è stata omessa ogni valutazione con riferimento ai motivi di appello nei quali si era posto in rilievo il contenuto della deposizione res all’udienza del 6 dicembre 2013 dal teste NOME COGNOME, funzionario tecnico in servizio presso il Comando provinciale dei vigili del fuoco di Ferrara, persona altamente qualificata, intervenuta nell’immediatezza sul luogo dell’evento. Nel corso della sua testimonianza, COGNOME ha più volte posto l’accento sulla copiosità della nevicata verificatasi nella data del crol rappresentando che, in base ai dati in possesso dell’ARPA, nel periodo dal 1956 al 2010, il fenomeno si collocava al secondo posto della classifica stilata in base ai dati registrati.
Egli ha riferito dei diversi interventi urgenti effettuati dal Corpo VV.FF. su tutto il territorio a causa delle avverse condizioni meteoreologiche, dovute anche al forte vento proveniente da est, che poteva avere determinato un accumulo di neve anomalo su determinati punti della copertura della struttura.
La testimonianza richiamata non ha formato oggetto di alcuna valutazione da parte da parte della Corte d’appello, la quale è evidentemente incorsa nel lamentato vizio motivazionale: il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia si traduce nell’annesso esame di un punto decisivo nella ricostruzione della vicenda, tale da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze su quali si è formato il convincimento dei giudici.
IV) Vizio di motivazione per omessa valutazione degli effetti giuridici di talune prove documentali e testimoniali di decisiva portata; interruzione del nesso di causalità ex articolo 41, comma 2, cod. pen.
La Corte d’appello, in merito al parere a firma dell’ing. COGNOME del settembre 2007, depositato nel fascicolo del primo grado all’udienza del 20 dicembre 2013 dalla difesa COGNOME, si è limitata ad affermare, a pagina 30
della sentenza, che l’avere installato un semplice telone divisorio ed alcuni canestri supplementari, pure in contrasto con le indicazioni del progettista, non avrebbe inciso in modo significativo sulla capacità di resistenza della struttura, trattandosi di elementi dal peso irrisorio.
La Corte di merito ha così espresso un giudizio tecnico basato su dati empirici, trascurando del tutto di considerare e fornire risposta ai rilie difensivi contenuti nei motivi d’appello, nei quali si chiedeva di analiziare effetti che sono conseguiti alle determinazioni del Comune di Portomaggiore di introdurre modifiche alle prescrizioni del progettista. Nel parer richiamato, il progettista NOME COGNOME, legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, si esprimeva in maniera categorica, affermando che, mentre era possibile inserire un telo di separazione da agganciare alla struttura di copertura, essendo ciò previsto nel calcolo strutturale, non era altrettanto possibile ancorare i cesti della pallacanestro alla struttura del copertura. Infatti, detti carichi non erano stati presi in considerazione n calcolo effettuato. Nonostante il chiaro diniego, all’insaputa del progettista dello stesso COGNOME che non aveva titolo ad essere informato dato che la costruzione era terminata, il Comune di Portomaggiore provvide ad installare nella palestra dei cesti da basket, peraltro in numero indeterminato, superiore a due, ancorandoli alla struttura.
La circostanza in questione, confermata in dibattimento dai testi geom. NOME COGNOME responsabile del servizio progettazione del Comune di Portomaggiore, e NOME COGNOME, tecnico dei Vigili del Fuoco, assume grande rilievo ai fini che interessano e avrebbe dovuto condurre la Corte di merito a compiere un’analisi approfondita sul punto.
Il teste NOME COGNOME ha anche aggiunto che vi erano altri accessori non previsti nel progetto – ossia i tubi di riscaldamento – che gravavano sulla struttura, sottolineando come i carichi fossero stati assicurati alle as del reticolo di copertura.
I comportamenti imprudenti assunti dai responsabili del Comune di Portomaggiore, non imputabili al COGNOME, in quanto intervenuti a collaudo già avvenuto, avrebbero determinato l’interruzione del nesso causale, costituendo cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento del crollo.
V) Vizio di motivazione della sentenza impugnata per manifesta illogicità della stessa quanto alla responsabilità del COGNOME.
La considerazione contenuta in motivazione, secondo la quale il COGNOME avrebbe effettuato una trattativa al ribasso con i fratelli COGNOME al fine di ottenere un risparmio di spesa, acquistando materiali non conformi
al progetto, sarebbe destituita di fondamento e contrasterebbe con la ricostruzione offerta dalla stessa Corte d’appello nella parte della sentenza in cui ha delineato la responsabilità degli altri imputati: quella del progettis ing. COGNOME con riguardo alla scelta dei materiali; quella dei frat COGNOME, che avevano fabbricato le sfere risultate difettose per errore di filettatura; quella dell’ing. COGNOME che aveva assunto la direzione dei lavori quella del collaudatore in corso d’opera, ing. COGNOME, che avrebbe omesso un corretto controllo sui materiali.
La sentenza sarebbe manifestamente illogica poiché COGNOME si è limitato, in qualità di titolare della “RAGIONE_SOCIALE“, ad acquis materiali progettati, costruiti e verificati da altri soggetti, assemblan dietro approvazione di coloro che dovevano controllare la correttezza della esecuzione in corso d’opera ed in sede di collaudo finale.
VI) Violazione di legge e vizio di motivazione per omessa valutazione degli effetti giuridici delle prove documentali e testimoniali addotte dall difesa a fondamento dell’interruzione del nesso di causalità.
La Corte d’appello non avrebbe effettuato un’attenta verifica con riferimento all’aspetto riguardante l’interruzione del nesso di causalità a sensi dell’articolo 41, comma 2, cod. pen.
Ammesso pure che i materiali impiegati fossero difformi da quelli che avrebbero dovuto essere impiegati, la direzione lavori ed il collaudatore in corso d’opera avrebbero dovuto verificare tale difformità e giungere, eventualmente, al blocco dei lavori ed alla mancata approvazione dell’opera.
Il fatto che il collaudatore ed il direttore dei lavori fosser conoscenza della diversità dei materiali dei componenti del reticolato del tetto è dimostrato dal fatto che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva provveduto a depositare i certificati riguardanti i materiali utilizzati prima del coll definitivo dell’opera. Detti certificati non sono stati oggetto di rilievo contestazioni da parte di coloro che erano preposti ai controlli ed alle verifiche.
Come risulta dai verbali di trascrizione, l’ingegnere NOME COGNOME Direttore dei lavori, in sede di interrogatorio reso all’udienza del 17 lugl 2013, ha dichiarato che, insieme all’ing. COGNOME collaudatore dell’opera, prese atto delle certificazioni relative ai materiali della copertura reticol valutando che il materiale AV, utilizzato in sostituzione dell’acciaio C60, potesse essere accettato per le sue caratteristiche meccaniche e chimico fisiche.
La circostanza è stata confermata anche dall’ing. COGNOME in sede di interrogatorio. I coimputati hanno aggiunto che, avendo l’ingegner COGNOME
la doppia qualifica di progettista e direttore tecnico, hanno ritenuto che l stesso avesse optato per realizzare l’intero modulo – vita e sfera – in AVP. Se tali figure professionali avessero ritenuto inaccettabile la non conformità dei materiali, avrebbero potuto bloccare i lavori, compiere le necessarie analisi tecniche, interpellare il costruttore al fine di ricevere delucidazioni in meri chiedere la sostituzione dei materiali e, infine, rifiutare il collaudo dell’ope
VII) Erronea applicazione della legge penale, vizio di motivazione per eccessività della pena irrogata, omessa applicazione delle attenuanti generiche.
La difesa si duole del trattamento sanzionatorio riservato al ricorrente, lamentando come per lo stesso reato siano state comminate pene ai coimputati di molto inferiori, con applicazione di attenuanti generiche e benefici di legge. COGNOME NOME, evidenzia la difesa, ha partecipato alla costruzione dell’opera realizzata da un consorzio di imprese; la Corte territoriale, pur riconoscendo che il ricorrente non ha progettato la copertura della struttura, non ha costruito i manufatti oggetto di contestazione, non ha svolto il ruolo di direttore di lavori, né di direttore tecnico o collaudator ha attribuito un grado di colpa particolarmente elevato (si veda pagina 31 della sentenza). La decisione sul punto sarebbe illogica e carente, non essendo sostenuta da adeguata giustificazione la difformità del trattamento sanzionatorio riservato all’imputato anche con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
COGNOME NOME
Motivo unico: violazione e falsa applicazione degli artt. 3 I 1086/1971, 64, commi 4 e 5, d.P.R. 380/2001, 26 d.P.R. 34/2000, 192 commi 1 e 3, cod. pen., 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.; illogicità della motivazione per apoditticità, contraddittorietà intratestuale ed extratestuale; erronea interpretazione delle emergenze probatorie (lettera del 18/7/2007, missiva dell’11/1/2007 e del 6/06/2007).
Dopo ampia premessa nella quale sono stati riepilogati il contenuto delle sentenze di merito ed i motivi di appello, la difesa si duole del viz motivazionale sotto molteplici profili, rammentando come l’imputazione elevata a carico del proprio assistito abbia riguardato la sola attività svol nell’asserita qualifica di Direttore tecnico della “RAGIONE_SOCIALE.
I giudici di merito hanno ritenuto dimostrato che l’ing. COGNOME ricoprisse il ruolo di Direttore tecnico in quanto nel documento richiesto ai fini della certificazione SOA, datato 18/7/2007, il ricorrente era stat indicato come tale. Hanno anche osservato, a riprova dell’esistenza della
qualifica, che, in assenza di tale designazione l’impresa non avrebbe potuto aggiudicarsi l’appalto pubblico, essendo a tal fine necessaria la certificazione SOA.
Hanno ritenuto altresì che l’ing. COGNOME avesse seguito adempimenti di carattere tecnico durante la fase di esecuzione dell’opera, compresa la verifica del rispetto dell’impiego dei materiali previsti in contratto, cita una serie di documenti acquisiti al fascicolo processuale.
Nel ricorso la difesa contesta in toto l’interpretazione delle emergenze probatorie fornite dai giudici di merito, osservando come non fosse riconoscibile in capo all’imputato la qualifica di Direttore tecnico, c conseguente mancanza di una posizione di garanzia.
In particolare evidenzia come, diversamente da quanto prescritto dall’articolo 26, comma 3, del d.P.R. n.34/2000, vigente all’epoca dei fatti, i COGNOME, il quale non era dipendente della “RAGIONE_SOCIALE“, non fosse legato alla predetta società da un contratto d’opera professionale regolarmente registrato.
Ha poi osservato come, in assenza di specifiche deleghe o di specifici incarichi – inesistenti nel caso in esame – il Direttore tecnico dell’impres costruttrice non abbia compiti di controllo sui materiali e sulle certificazio dei materiali e neanche compiti e responsabilità concernenti il controllo sulla corretta esecuzione delle lavorazioni.
L’assenza del requisito del contratto d’opera registrato assumerebbe valore dirimente ai fini del mancato riconoscimento della qualifica di cui s tratta.
I giudici di entrambi i gradi avrebbero contrastato l’assunto difensivo in maniera illogica e contraddittoria.
La Corte d’appello trascura di considerare che il Giudice di prime ha richiamato un documento in cui è indicato come Direttore tecnico, al momento della partecipazione dell’impresa al pubblico incanto, un altro professionista, ossia l’ing. NOME COGNOME
La norma per la nomina a direttore tecnico richiede un contratto scritto registrato: in assenza di un accordo scritto tra le parti, conosciuto terzi, in cui vengono indicati i compiti e gli incarichi conferiti, concord eventuali deleghe, stabilite la durata dell’incarico ed il corrispettivo, no possibile sostenere che ricorra la qualifica suddetta.
A fronte di una norma cogente ed obbligatoria, la Corte d’appello, seguendo un iter argomentativo illogico ed intrinsecamente contraddittorio, assegna valore probatorio ad una semplice lettera inviata via e-mail dal COGNOME al Comune di Portomaggiore, neppure portata a conoscenza
dell’interessato.
Facendo cattivo governo dell’art. 192 cod. pen., i giudici evidenziano alcuni comportamenti dell’ing. COGNOME sostenendo che siano esplicazione di un’attività di direzione e coordinamento dei lavori in fase esecutiva.
L’assunto, tuttavia, si fonda su una erronea interpretazione della documentazione riversata in atti.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, a cui si è riportato in udienza, ha concluso per il rig dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Prima di passare all’esame dei motivi di doglianza proposti nel merito dai ricorrenti, occorre soffermarsi sull’aspetto concernente il decorso del termine massimo di prescrizione della fattispecie in contestazione, che ha formato oggetto del secondo motivo di ricorso proposto da COGNOME COGNOME il quale, oltre ad avere lamentato il vizio della carenza d motivazione sul punto, ha sollecitato l’immediata declaratoria di estinzione del reato, sostenendo che la prescrizione fosse maturata il 14 febbraio 2023.
La questione riveste carattere preliminare, in quanto l’intervenuta prescrizione del reato, nel caso in cui si ritenesse che anche soltanto uno degli atti di gravame sia stato validamente proposto, gioverebbe a tutti gli altri imputati, i quali, come detto in precedenza, sono stati ritenu responsabili del medesimo reato di crollo colposo di una costruzione, fatto commesso ed accertato il 10 marzo 2010 (in argomento si veda Sez. 6, n. 14027 del 13/02/2024, Greco, Rv. 286373 – 02:”L’inammissibilità dell’impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, atteso che l’effetto estensivo dell’impugnazione opera anche con riferimento all’imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) indipendentemente dalla fondatezza dei motivi addotti dall’imputato validamente ricorrente, purché di natura non esclusivamente personale, sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente”).
Ebbene, l’eccezione è palesemente destituita di fondamento.
Ed invero, l’art. 157, comma 6, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (recante “Modifiche al codice penale e
alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi di usura e di prescrizione”) prevede che il termine di prescrizione del reato di crollo colposo di cui all’art. 449 cod. pen. in relazione all’art. 434 cod. pe sia raddoppiato. La relativa questione di costituzionalità, sollevata . dal Tribunale di Torino con ordinanza del 28 febbraio 2017, è stata ritenuta manifestamente infondata dalla Consulta (ordinanza n. 110 del 20 febbraio – · 9 maggio 2019).
Ne consegue che il termine massimo di prescrizione del reato che occupa è pari ad anni 15. A detto termine andranno poi aggiunti i periodi di sospensione della prescrizione, puntualmente indicati dal giudice nella sentenza di primo grado.
Da quanto precede discende che il termine di prescrizione del reato de quo maturerà non prima del 10 marzo 2025.
Sempre la difesa di NOME NOME ha invocato l’annullamento della sentenza emessa a carico del suo assistito, sollevando una questione di ordine processuale (motivo primo di ricorso). Si duole del fatto che il suo assistito, non comparso all’udienza, non abbia ricevuto notifica della citazione in giudizio innanzi alla Corte d’appello presso il domicilio elett deducendo la violazione degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen.
Dalla consultazione degli atti, accessibili a questa Corte in ragione della natura della doglianza proposta, risulta come il decreto di citazione a giudizio innanzi alla Corte d’appello sia stato notificato all’imputa personalmente (in atti è presente la relata di notifica effettuata da personale del Reparto Operativo Carabinieri del Comando Provinciale di Terni in data 3/1/2023).
La doglianza, pertanto, è manifestamente infondata.
Invero, la notifica è stata validamente eseguita a mani dell’imputato, circostanza che rende superata la mancata notificazione del decreto di citazione a giudizio presso il domicilio eletto, avendo il destinatario pres diretta conoscenza del contenuto dell’atto stesso (in argomento si veda Sez. 2, n. 6910 del 25/01/2011, Macrì, Rv. 249360: “La notifica di atti e avvisi eseguita a mani proprie dell’imputato sebbene in presenza di un’elezione di domicilio, è valida dovunque essa avvenga, in quanto forma più sicura per portare l’atto a conoscenza del destinatario”).
Venendo al merito della regiudicanda, gli ulteriori motivi di ricorso proposti da COGNOME NOME si appalesano inammissibili.
E’ d’uopo rilevare come la Corte di merito abbia ripercorso ed analizzato in modo puntuale le risultanze processuali, fornendo adeguata risposta alle doglianze difensive e logica motivazione in ordine alle ragioni poste a fondamento della decisione assunta, scevra dai vizi lamentati dalla difesa e dotata di un apparato argomentativo non censurabile in sede di legittimità.
Il ricorrente ha omesso di confrontarsi appieno con il ragionamento probatorio espresso dai giudici nelle conformi sentenze di merito, prospettando nella sostanza una diversa ricostruzione del quadro fattuale e delle cause del crollo della struttura.
Attraverso una generica critica portata alle conclusioni rassegnate dai periti nominati dal primo giudice, la difesa ha sostenuto tesi opposte circa le ragioni del crollo, incentrate quasi esclusivamente su richiami a stralci del contenuto delle testimonianze acquisite nel corso del dibattimento.
Tale impostazione, sulla base di quanto si dirà in prosieguo, non può essere ritenuta corretta nell’ambito del giudizio che compete alla Corte di legittimità.
Sgombrato il campo dalle questioni poste nei primi due motivi di ricorso, riguardanti la lamentata prescrizione del reato e la notifica irritua dell’avviso di fissazione dell’udienza all’imputato, il terzo motivo di ricors inammissibile. Ivi la difesa lamenta che è stata omessa ogni valutazione in ordine alla nevicata verificatasi in concomitanza del crollo, quale reale causa del collasso del tetto.
Il rilievo, oltre ad essere destituito di fondamento, è palesemente versato in fatto.
I giudici di merito hanno infatti considerato l’aspetto riguardante l’incidenza della nevicata sul crollo del tetto della palestra: pur ritenendo c la nevicata abbia costituito un fattore scatenante, hanno affermato – sulla base di osservazioni di ordine logico, non meritevoli di essere censurate in questa sede – che le proporzioni assunte dal fenomeno non fossero state straordinarie o eccezionali, deponendo in tal senso le rilevazioni del più vicino pluviometro, il fatto che nel giorno della nevicata i trasporti pubbl avessero regolarmente funzionato e non si fossero registrati cali significativi di presenze nella popolazione scolastica.
Le doglianze difensive sono incentrate sul contenuto delle testimonianze raccolte nel corso del dibattimento; in particolare, sono stati riportati nel ricorso ampi stralci della deposizione resa dal teste NOME COGNOME, funzionario tecnico in servizio presso il Corpo dei VV.FF. di Ferrara, quale ebbe a soffermarsi, durante la sua escussione, sulle avverse condizioni
nnetereologiche registratesi sul territorio il giorno del crollo, avanzand l’ipotesi che il forte vento proveniente da est potesse avere determinato un accumulo anomalo di neve su alcuni punti della copertura della palestra.
Il rilievo non è suscettibile di disarticolare la ricostruzione offerta d Corte di merito: dopo attenta analisi delle risultanze in atti e sulla base deg esiti degli accertamenti svolti dai periti, i giudici di merito hanno escluso c la causa del crollo del tetto potesse riferirsi alla nevicata verificatasi marzo 2010.
Il fenomeno, infatti, alla stregua delle argomentazioni sostenute dai giudici di merito, non aveva assunto caratteristiche eccezionali; i periti, da canto loro, non avevano attribuito alcun rilievo in termini causali all nevicata, pur avendo tenuto presente il fenomeno e stimato, sulla base dei dati disponibili, il carico di neve che aveva interessato la zona in cui sorgeva la struttura.
In particolare, in virtù dei calcoli effettuati dal perito prof. COGNOME basati sui dati disponibili e sulle rilevazioni del pluviometro più vici collocato ad una distanza di 7 chilometri dalla struttura, la nevicata verificatasi nella circostanza d’interesse aveva generato un carico sul tetto della palestra compreso tra 20 e 40 kg. al metro quadro. Tale conclusione era condivisa anche dai consulenti nominati dalle parti.
I carichi variabili che avrebbe dovuto sopportare la struttura, in base alla normativa tecnica vigente, dovevano essere pari a 128 kg./mq. e giungere fino a 192 kg./mq. in situazioni estreme, proprie dei cosiddetti “stati limite ultimi”. In termini di resistenza, il perito ha stimato che il p 40 kg. di neve al metro quadro è suscettibile di generare una trazione complessiva di 9 tonnellate (compresi i carichi statici), valore inferiore quelli rilevati nelle prove di trazione dei nodi interessati dal cediment compresi tra 11,6 e 16,4 tonnellate. Tali dati, basati su precise rilevazioni prove scientifiche, escludevano che il cedimento fosse stato conseguenza del carico di neve.
Gli aspetti tecnici segnalati dagli esperti e la considerazione di circostanze pacificamente emerse nel corso della istruttoria, riguardanti il fatto che, pure a seguito della nevicata, tutti i servizi avevano regolarmente funzionato, hanno logicamente indotto la Corte territoriale a ritenere che il fenomeno non avesse assunto un carattere eccezionale, suscettibile di determinare il crollo del tetto della palestra e di interrompere il ness eziologico con le altre cause individuate dai periti.
Il motivo di ricorso aggredisce in modo generico le argomentazioni illustrate in sentenza, richiamando stralci della deposizione del testimone
escusso, il cui contenuto, essenzialmente ipotetico e basato su un convincimento personale, non può formare oggetto di valutazione in questa sede e non può fondare una rivisitazione dei fatti, aspetti sottratti sindacato di questa Corte.
Come è noto, infatti, sono precluse al giudice di legittimità la rilettu degli elementi posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr, ultimo, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01).
3.1. Del pari inammissibile è il quarto motivo di ricorso. Le cause del crollo del tetto della palestra, in base alla ricostruzione offerta dai giud fondata sulle risultanze delle perizie in atti, sono state individuate ne ridotta resistenza della struttura determinata dal difetto delle filettat interne ai nodi e dalla qualità inferiore del materiale adoperato per la fabbricazione dei nodi, diverso da quello che avrebbe dovuto essere impiegato secondo il progetto. La struttura avrebbe dovuto assicurare una resistenza, nella zona in cui si è verificato il crollo (filo B), pari a tonnellate. Le prove sperimentali condotte in laboratorio avevano rivelato, invece, resistenze variabili da 11,6 a 16,4 tonnellate.
A fronte delle prove sperimentali effettuate dagli esperti nominati dai giudici, i cui risultati sono stati recepiti nelle sentenze di merito per ritenuti frutto di attenta analisi condotta con rigoroso metodo scientifico, difesa propone ancora una volta una diversa ricostruzione dei fatti.
Ha posto in evidenza, attraverso il richiamo alle testimonianze raccolte in dibattimento, che erano stati assicurati alla struttura metallica d tetto pesi non previsti nel progetto (canestri da basket in numero indeterminato, tubi di riscaldamento ed un telo divisorio), la cui incidenza sulla determinazione del crollo della struttura non sarebbe stata valutata dai giudici di merito.
La Corte d’appello si è fatta carico di considerare l’aspetto in questione, affermando che si era trattato di carichi del tutto trascurabili, no considerati dai periti d’ufficio come elementi che potessero avere inciso anche minimamente sulle case del crollo.
Peraltro, nella stessa nota richiamata nel ricorso, a firma dell’ing. COGNOME, si legge che il peso del telone era stato contemplato nel progetto.
Quindi, il problema di un eccessivo carico non previsto nel progetto sarebbe limitato ai soli canestri da basket ed ai tubi del riscaldamento, quali, sulla base di massime di esperienza comunemente riconosciute, a cui
ha fatto ricorso la Corte di merito, non hanno un peso tale da mettere in crisi la staticità di un edificio.
In ogni caso, a fronte della precisa ricostruzione delle cause del crollo individuate dai periti, i quali hanno considerato ogni elemento suscettibile di incidere sulla capacità di resistenza dell’intelaiatura del tetto, l’alternat ricostruzione della difesa è basata su prospettazioni del tutto ipotetiche, che estendono ad altre cause le ragioni del crollo in termini esplorativi sollecitando una non consentita rivalutazione del fatto.
3.2. Quanto ai profili di responsabilità individuati a carico de ricorrente (motivo quinto e sesto del ricorso da trattarsi congiuntamente, stante l’intima connessione delle ragioni di doglianza), la difesa non si confronta con le argomentazioni illustrate in sentenza, limitandosi ad affermare, ancora in termini puramente avversativi, che il proprio assistito debba ritenersi indenne da responsabilità con riferimento all’accaduto, essendosi limitato ad assemblare i pezzi costruiti dalla ditta dei fratel COGNOME e dovendo, al contrario, individuarsi profili di colpa a carico de progettista e di tutti coloro che erano preposti al controllo della conformit dei materiali impiegati ed al collaudo della struttura.
Trascura di considerare la difesa quanto riportato nella sentenza impugnata (inizio di pag. 31), in cui si legge che COGNOME, alla stregua delle prove acquisite nel corso della istruttoria, si era ingerito in scelte tecnic che non gli competevano (sostituzione del materiale con cui dovevano essere costruite le viti; scelta delle viti preforate che avevano dato luogo a difetto di filettatura). Né la mancanza di controlli da parte delle fig professionali a ciò preposte è suscettibile di determinare una causa di esonero da responsabilità per l’imputato, dovendo all’uopo rilevarsi, come sostenuto correttamente in sentenza alla luce del dettato normativo (art. 41 cod. pen.), che, qualora un evento sia la conseguenza di plurime condotte colpose, dell’evento debbano rispondere tutti coloro che vi abbiano dato causa a meno che si dimostri – evenienza esclusa in motivazione con argomentazioni non meritevoli di censura – che siano intervenuti fattori causali eccezionali, idonei ad interrompere il nesso di consequenzialità.
Risulta provato che COGNOME NOME, per motivi di cui hanno dato ampiamente conto i giudici di merito, abbia senz’altro contribuito al crollo del tetto della struttura [si veda quanto riportato alle pagine 30 e 31 dell sentenza impugnata e quanto più approfonditamente illustrato nella sentenza di primo grado, a pag. 41, dove si legge:”La variazione nella tipologia di acciaio impiegato per le viti-stress è addebitabile a NOME COGNOME. E’ stato quest’ultimo infatti (amministratore della ditta costruttrice) – trattando con la RAGIONE_SOCIALE (subappaltando peraltro
parte del lavoro senza nulla comunicare alla stazione appaltante) – a commissionare a tale società la realizzazione dei vari componenti della struttura reticolare, tra cui le viti-stress, concordando per questi element l’impiego dell’acciaio AVP (in luogo dell’acciaio C60 previsto dal progetto costruttivo). Tale materiale era infatti chiaramente e reiteratamente indicato in tutti i preventivi forniti dalla F.11i COGNOME, così come anche nel conferma d’ordine firmata da NOME COGNOME il 15.3.2007 (e poi ancora nei documenti di trasporto e nelle fatture). Ciò configura in capo all’imputato una grave negligenza in relazione al mancato rispetto della previsione progettualeTh
L’evento, come rilevano le sentenze di primo e secondo grado, non si sarebbe verificato se il COGNOME si fosse attenuto alle scelte del progettista e se fossero intervenuti i successivi controlli.
Siamo pertanto al cospetto di un’equivalenza di cause sopravvenute all’azione del ricorrente, che, a norma dell’art. 41, comma 1 cod. pen., non escludono il nesso di causalità. Prevede, infatti, la norma richiamata che il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non escluda il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l’evento.
3.3 Manifestamente infondati sono i rilievi riguardanti il trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (motivo ultimo di ricorso). Sul punto è stata offerta congrua motivazione, avendo il giudice posto in rilievo la gravità della condotta serbata dall’imputato, il grado di colpa – stimato elevato in ragione dell comprovate ragioni sottese alle scelte esecutive operate – e l’assenza di positivi elementi di valutazione idonei a giustificare la concessione del beneficio invocato.
In base a quanto stabilito dall’art. 132, cod. pen., la determinazione delle entità della pena da infliggersi, nei limiti della legge, è compito affid esclusivamente alla valutazione discrezionale del giudice, che deve compiere tale scelta in base ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., indicando motivi che giustificano la sua scelta.
Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che debba ritenersi adempiuto il dovere motivazionale in materia di dosimetria della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva, dichiarat applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (cfr. ex multi 1, n. 3155 del 25/09/2013, COGNOME, Rv. 258410: “Deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione
in concreto della misura della pena, allorchè siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.”).
Alla luce di detti criteri ermeneutici deve rilevarsi come la decisione impugnata risulti sorretta da conferente apparato argomentativo in punto di trattamento sanzionatorio.
Deve parimenti ritenersi inammissibile la censura riguardante il diniego delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di merito ha ritenuto di negare il beneficio per la gravità della condotta e l’assenza di positi elementi di valutazione in favore dell’imputato.
La motivazione risulta immune da censure e rispettosa dei principi stabiliti in sede di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, 270986 – 01:”Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito co modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fi della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato”).
Deve anche rimarcarsi come, in tema di concessione delle attenuanti generiche, il giudice di merito non sia tenuto ad esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi all concessione del beneficio (Sez. 2, n.3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826)
Quanto alla posizione di COGNOME NOME e COGNOME NOME, amministratori della “RAGIONE_SOCIALE“, si osserva quanto segue.
Sono da disattendere le censure difensive espresse nel primo motivo di ricorso, riguardanti la manifesta illogicità della motivazione della sentenz impugnata con riferimento alla condotta addebitata agli imputati, l’asserito travisamento delle prove acquisite nel corso del giudizio ed il prospettato errore nel quale sarebbe incorso il prof. COGNOME circa la determinazione del diametro delle madreviti, per non avere il perito considerato i limiti tolleranza previsti dalle disposizioni tecniche di cui alle norme UNI 5542 e UNI EN ISO 10684 richiamate nella consulenza del C.T. di parte ing. COGNOME
Evidenzia la difesa, allegando a pag. 5 del ricorso un’apposita tabella, come la predetta normativa UNI ISO, applicabile al caso in esame, preveda
determinate maggiorazioni del preforo collegate alla tipologia della zincatura a farsi (pari a 0,10 mm. per la zincatura elettrolitica e 0,36 mm. per l zincatura a caldo).
La Corte di merito avrebbe eluso la questione posta nell’atto di gravame, incorrendo in una omessa pronuncia, suscettibile di incidere in modo significativo sull’affermazione di penale responsabilità dei ricorrenti.
Ove, infatti, si fosse tenuto conto dei limiti di tolleranza previs richiamati nella consulenza dell’ing. COGNOME, si sarebbe dovuto ritenere l perfetta corrispondenza delle madreviti ai prodotti commissionati alla ditta RAGIONE_SOCIALE dalla “RAGIONE_SOCIALE“.
Invero, in base al calcolo riportato a pag. 6 del ricorso, il diametro 24 mm. sarebbe la risultante della maggiorazione di 0,36 mm. apportata al preforo prevista dalla normativa UNI ISO per la zincatura.
Ebbene, il rilievo riguardante la mancata considerazione dei limiti di tolleranza nei criteri costruttivi del diametro interno alle sfere deputate alloggiare le viti, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, è stato considerato dalla Corte d’appello già nella parte iniziale della sentenza.
Ivi si riportano le considerazioni del C.T. ing. COGNOME il qua nell’affrontare la questione dell’entità del preforo delle sfere, ave sostenuto come il margine di tolleranza, inizialmente previsto in 0,1 mm. per la zincatura elettrolitica, fosse stato successivamente aumentato, su richiesta dei tecnici della soc. “RAGIONE_SOCIALE“, dapprima di 0,2 mm. e poi di 0,15 mm. sui prototipi, per adattare il preforo alla zincatura a caldo, zincatura a cal che non fu praticata dalla società “RAGIONE_SOCIALE” in fase di montaggio (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata: “Il consulente Ing. COGNOME ha inoltre esaminato la questione dell’entità del preforo delle sfere, con riguardo al margine aggiuntivo lasciato per la zincatura. A tal proposito ha affermato che la ditta RAGIONE_SOCIALE aveva inizialmente calcolato il margine di zincatura elettrolitica in 0,1 mm, sulla base di quanto indicato nei disegni d dettaglio che erano stati consegnati, e poi che modificò l’impostazione su richiesta verbale dei tecnici della RAGIONE_SOCIALE, aggiungendo un ulteriore margine di 0,2 mm per la zincatura ipotizzata a caldo e successivamente di ulteriori 0,15 mm sui prototipi. In seguito la RAGIONE_SOCIALE realizzò l zincatura elettrolitica e non quella a caldo – come era stata ipotizzata all’at della richiesta modifica – creando quindi uno spessore inferiore rispetto a quella a caldo: ciò ha determinato la differenza rilevata nei prefori”.
L’argomento viene poi ripreso a pag. 35 della sentenza impugnata, dove si legge che la maggiore ampiezza praticata dalla ditta COGNOME sul foro delle sfere risulta incompatibile con la zincatura elettrolitica effettu
dalla società “RAGIONE_SOCIALE“, la quale richiede invece una tolleranza minima, inferiore a quella prevista per la zincatura a caldo.
I ricorrenti avrebbero dovuto attenersi alla nota progettuale dell’ing. COGNOME e controllare, prima di consegnare i componenti, il tipo di zincatura che sarebbe stato effettuato sui nodi, senza fidarsi delle richieste verbal provenienti dal COGNOME circa l’ampiezza dei fori.
Il rilievo difensivo riguardante i margini di tolleranza della par interna alle sfere (§ 1.1. e 1.2. del ricorso), dunque, non si confronta con l osservazioni dei giudici di merito riguardanti il tipo di zincatura che dovev essere praticato in fase di montaggio dei nodi (cfr. pag. 35 della sentenza impugnata dove è richiamata la perizia COGNOME, che, alle pagg. 44 e 45, ha indicato chiaramente che era prevista una zincatura di tipo elettrolitico, l quale richiedeva un aumento dello spessore interno delle madreviti minimo, decisamente inferiore rispetto all’aumento proprio della zincatura a caldo).
La maggiorazione di 0,36 mm. riportata nel calcolo indicato a pag. 6 del ricorso è quella prevista per la zincatura a caldo; nella realtà, si chiaris in sentenza, fu praticata la zincatura elettrolitica, per la quale è contemplat nelle norme UNI ISO, richiamate nel ricorso stesso, un margine di tolleranza di molto inferiore.
Il comportamento negligente e imprudente addebitato agli imputati viene quindi individuato nel fatto che costoro – alla stregua delle risultanz in atti – si discostarono dalle prescrizione contenute nel progetto di officin conferendo maggiore ampiezza al foro delle sfere sulla base di semplici indicazioni verbali, senza accertarsi del tipo di zincatura che sarebbe stato praticato, circostanza di fondamentale importanza per assicurare la tenuta della struttura.
4.1. Del pari infondate si appalesano, alla luce delle argomentazioni portate in sentenza, le considerazioni svolte dalla difesa nel paragrafo 1.3. del primo motivo di ricorso, attinente all’errore morfologico delle viti.
Il rilievo è eccentrico rispetto alle ragioni individuate in sentenza qua cause dello sfilamento delle viti dai nodi e della conseguente minore resistenza della copertura dell’edificio.
I giudici di merito hanno infatti rilevato, alla luce delle osservazio dei periti, fondate su analisi tecniche di laboratorio, oltre ad una no conformità del diametro del nocciolo alle indicazioni della normativa UNI relativamente alla zincatura elettrolitica praticata, un difetto nella morfolog della filettatura interna ai nodi (si veda quanto riportato a pag. 16 del sentenza di primo grado, in cui si legge che l’ing. COGNOME aveva ritenuto che il collasso della struttura dovesse attribuirsi prevalentemente ad una errata
filettatura dei nodi; si veda pure quanto riportato a pag. 22 della sentenza di primo grado, nota n. 24, dove si legge che, all’aumentare del diametro del nocciolo, la filettatura assumeva una morfologia non conforme, passando da una forma triangolare – che avrebbe assicurato piena aderenza – ad una forma trapezoidale).
Poiché tale difetto era stato rilevato in almeno otto nodi della stessa fila, la Corte di merito ha ritenuto, con argomentare logico, che si trattass di un vizio di produzione “sistematico”.
La difesa si sofferma particolarmente sulla morfologia delle viti, senza tuttavia attingere la questione della morfologia della filettatura interna nodi (detti pure madreviti), che assume, alla stregua di quanto argomentato nelle sentenze di merito, valore decisivo ai fini della individuazione dell cause del crollo della struttura.
I giudici di merito hanno infatti addebitato a titolo di colpa ai ricorre di avere errato nella realizzazione della filettatura dell’anima delle sfer stress (cfr. quanto riportato a pag. 33 della sentenza impugnata, nell’incipit della parte dedicata alla posizione dei fratelli COGNOME: “Quanto all posizione dei F.11i COGNOME, va detto che già la sentenza di primo grado ha limitato la colpa in capo ai predetti in relazione alle modalità esecuzione delle lavorazioni interne alle viti-stress, che hanno presentato, come si è visto, un errore geometrico determinante la modesta sovrapposizione tra la filettatura e la vite, errore che ha inciso – secondo risultati della perizia COGNOME – un’incidenza nella minor resistenza della struttura pari al 33/35%3.
Ne consegue che i rilievi tutti contenuti nel primo motivo di ricorso, sebbene diffusamente argomentati, sono privi di reale confronto con le motivazioni rese nelle conformi sentenze di merito.
Del pari infondate sono le doglianze contenute nel secondo motivo di ricorso.
Le prove di trazione disgiunte effettuate dal prof. COGNOME sugli accoppiamenti realizzati con materiale diverso e meno resistente rispetto a quello contemplato nel progetto, sostiene la difesa, avrebbero dimostrato il regolare funzionamento degli accoppiamenti. Le prove sugli accoppiamenti prelevati dalla struttura collassata hanno infatti evidenziato un valor minimo di rottura pari a 13,1 tonnellate.
Le ulteriori prove disgiunte effettuate dal perito con le viti in materia non corretto hanno restituito valori ultimi compresi tra 12,7 e 18,4 tonnellate, con un limite minimo inferiore a quello del cedimento effettivo.
Alla stregua di quanto osservato dall’ing. COGNOME si sottolinea nell nota 8 di pagina 10 del ricorso, il valore minimo di resistenza del materiale con cui sono stati realizzati gli accoppiamenti (AVP) avrebbe dovuto avere una capacità di resistenza pari a 12,7 tonnellate e la prima rottura si è realizzata sotto la trazione di 13,1 tonnellate.
Alla luce di tali osservazioni, la difesa assume che i ricorrenti, i qua avevano rispettato le indicazioni provenienti dall’acquirente, non hanno commesso alcun errore nella realizzazione dei nodi; in ogni caso, anche volendo ritenere che la fornitura delle madreviti fosse viziata da un errore di costruzione, sono stati comunque rispettati i valori di resistenza previst dalla normativa di settore.
Ebbene, il rilievo non è suscettibile di disarticolare il costru argomentativo della sentenza impugnata.
Sul punto occorre por mente a quanto argomentato dalla Corte di merito a pag. 34 della sentenza, dove si dice, in maniera sia pure sintetica, che non è corretto confrontarsi con “il valore di un solo caso limite inferiore poiché negli altri casi l’errore di materiale comporta un cedimento a carichi ben maggiori, ed anche superiori alle 18 t, dove invece viene pienamente in gioco la rilevanza dell’ulteriore fattore causale relativo all’errore geometri del foro”.
Il passaggio motivazionale deve essere coniugato con quanto illustrato nella parte iniziale della sentenza impugnata (pag. 3), dove si legge:”Il perito ed i consulenti si sono concentrati sulle misurazi le prove di trazione con riguardo agli accoppiamenti vite e sfera e all’effettuazione di prove disgiunte. Il perito ha così calcolato che per i n del filo B e del simmetrico filo G, ove il crollo si sarebbe originato, in b alla normativa tecnica, era obbligatoria una resistenza compresa tra le 30 e le 33 tonnellate, mentre per le connessioni nella mezzeria erano richieste resistenze pari a 40-44 tonnellate. Le prove sperimentali condotte in laboratorio hanno invece dimostrato una resistenza degli accoppiamenti vitesfera decisamente più bassa, pari a 14,3, 11,6, 13,13 e 16,4 tonnellate. In pratica tutte le rotture si sono determinate per la rottura del filetto d vite, con modalità fragile e senza duttilità. La prova effettuata con u abbinamento di madrevite diametro 80 aveva rilevato una resistenza di circa 9 tonnellate. Le sollecitazioni nel caso erano dovute al peso proprio della struttura reticolare, ai carichi permanenti portati, ai carichi variabili ( nel caso la neve) e alle eventuali coazioni legate a frequenti imprecisioni nell’allineamento degli appoggi. Ovviamente le sollecitazioni erano diverse rispetto ai vari nodi della struttura reticolare e per questo i nodi centr sottoposti a maggiore sollecitazione, avrebbero richiesto l’impiego di sfere di
diametro 100, mentre per quelli più esterni bastava un diametro 80. Il perito ha poi accertato che i carichi statici generavano sui nodi più sollecitati dei B e G sollecitazioni pari a 5 tonnellate a prescindere da eventuali coazioni e dal peso della neve. In relazione a tale dato permaneva un margine di incertezza in quanto non si conosce l’entità precisa della neve caduta proprio a Portomaggiore (essendo il pluviometro distante circa 7 km dal luogo del fatto) né l’ora del crollo, né se la neve fosse distribuita in modo omogeneo. Il perito e i consulenti hanno comunque stabilito di stimare il carico della neve compreso tra i 20 e i 40 kg al metro quadro, il che corrisponderebbe, sui nodi più sollecitati del filo B e G, ad una forza di trazione pari a 6 tonnellate compresi i carichi statici, oppure a 9 tonnellate ipotizzando un carico di 40 kg al metro quadro. Il perito ha infine ritenuto di stimare coazioni derivate da inevitabili disallineamenti degli appoggi della copertura in ulteriori 5 tonnellate, concludendo quindi che al momento del crollo vi fossero sollecitazioni da azione di trazione con valori compresi tra le 11 e le 14 tonnellate. E’ evidente poi che una volta venuta meno una singola connessione vite-sfera, sui nodi adiacenti si veniva a generare un maggior carico determinandosi uno sforzo aggiuntivo di circa tre tonnellate che finiva quindi per generare a catena le rotture per superamento della capacità di resistenza del nodo. In definitiva quindi, poiché i nodi sottopost sperimentalmente a trazione hanno dimostrato una resistenza compresa tra le 11 e le 16 tonnellate e al momento del crollo le forze di trazione operanti sui nodi erano comprese tra le 11 e le 14 tonnellate (considerando molto probabili le coazioni sopra descritte), allorché con riguardo al singolo nodo le sollecitazioni superavano la resistenza veniva meno la prima connessione e si sfilavano poi a loro volta quelle adiacenti creando il collasso dell’int copertura”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La questione della resistenza dei nodi risultante dalle prove dì trazione deve essere dunque valutata complessivamente, non potendosi fare riferimento al solo valore minimo di 12,7 tonnellate risultante dalle prove disgiunte: invero, come ha logicamente argomentato la Corte di merito nei passaggi motivazionali richiamati, il venir meno della resistenza della prima connessione comportava un aggravio di sforzo delle connessioni vicine, che, portatrici dell’errore di filettatura apprezzato dai periti, si sfilavano a cat determinando il collasso della struttura.
Deve peraltro aggiungersi che, per i nodi del filo B interessato dal cedimento e del simmetrico filo G, in base alla normativa tecnica, si sarebbe dovuto assicurare una resistenza obbligatoria, in base alla normativa di settore, compresa tra le 30 e le 33 tonnellate.
Il rilievo difensivo, dunque, non si confronta realmente con le
argomentazioni poste a fondamento dell’individuata responsabilità dei ricorrenti.
Un’attenta lettura della sentenza impugnata rivela, inoltre, come essa sia scevra dal lamentato travisamento delle prove, vizio evocato in tutti i motivi di ricorso afferenti agli aspetti tecnici della vicenda.
In generale, i risultati della perizia affidata dal giudice ad uno o pi esperti in materie tecniche e scientifiche, perché diano un contributo ad accertamenti che richiedano specifiche competenze, possono ben essere contestati dalla difesa in sede di legittimità. In tal caso, la difesa ha l’one di criticare l’esito della perizia, non già prospettando la maggiore persuasività di una tesi contrapposta a quella del perito fatta propria dal giudice, ma mettendo in luce l’insufficienza di essa a fondare il ragionamento probatorio seguito dal giudice.
Altri sono invece i presupposti legittimanti la proposizione del vizio del travisamento della prova anche riferito all’esito di un elaborato peritale.
E’ d’uopo intendersi sul significato che la giurisprudenza di legittimità attribuisce a tale vizio motivazionale, il quale ricorre, in base a orientamento assolutamente pacifico, nel caso in cui il giudice del merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale.
Le risultanze dell’accertamento del perito, sotto il peculiare profilo del travisamento della prova, possono essere, quindi, oggetto di esame critico da parte del giudice di legittimità ove sia denunciato un vizio che si sia tradotto nell’assunzione di una prova inesistente, ovvero di un risultato probatorio che sia diverso da quello reale in termini di evidente incontestabilità.
Nel caso in esame, alla luce di quanto evidenziato in precedenza, non ricorre nessuna di dette ipotesi: escluso il primo profilo, che non ha formato oggetto di doglianza, non è riscontrabile nei risultati sostenuti dal consulente di parte l’assoluta incontestabilità tecnica asserita dalla difesa.
Detti risultati, al contrario, sono stati confutati in sentenza co argomentare logico, essendosi la Corte di merito fatta carico di evidenziare, in modo puntuale e coerente, come i dati illustrati nella consulenza portata dalla difesa dei ricorrenti, afferenti ai margini di tolleranza della parte inter alle sfere ed ai risultati delle prove di trazione, non avessero incidenza sulla fattispecie concreta in esame.
Tanto esclude la fondatezza delle critiche difensive sub specie di travisamento delle prove.
Non sono condivisibili le critiche difensive portate alla motivazione offerta in sentenza circa la sussistenza del nesso causale tra il comportamento serbato dagli imputati e l’evento (terzo motivo di ricorso).
L’apparato argomentativo della sentenza sul punto è scevro dai vizi lamentati nel ricorso.
La difesa ipotizza e prospetta decorsi causali alternativi, suscettibili di interrompere ogni legame tra il comportamento colposo riconosciuto a carico dei suoi assistiti e l’evento.
A tal fine sostiene come dalle risultanze in atti sia emerso un “quarto fattore” di criticità, non valutato dai giudici di merito, suscettibile di av determinato il crollo del tetto della struttura, non addebitabile ai ricorrenti.
Tale fattore sarebbe rappresentato dalla manomissione della geometria delle sfere in sede di montaggio, dato desumibile dal ritrovamento sul luogo del crollo di alcune sfere ossidate, di una vite tagliata e di un utensile appositamente richiesto dal COGNOME per consentire di “ripassare” i filetti di viti e madreviti. La maggiore tolleranza del preforo, sostengono i ricorrenti, sarebbe stata richiesta dal COGNOME al fine di eseguire la zincatura a caldo dei particolari metallici.
I giudici di merito, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, hanno offerto una logica giustificazione a sostegno del rigetto dei rilievi difensivi sul punto, escludendo che sia intervenuta la circostanza dedotta.
In particolare, il giudice di primo grado, alle pagine 45 e 46, preso atto del fatto che i fratelli COGNOME consegnarono utensili per i ripassaggio delle filettature in cantiere, si è interrogato sulla possibilità che difetto rilevato dai periti potesse essere conseguenza di un incauto rimaneggiamento delle filettature operato dalle maestranze di COGNOME NOME.
Ha escluso, tuttavia, tale possibilità, ponendo in evidenza come i testi NOME COGNOME e COGNOME abbiano dichiarato che in fase di montaggio solo i “terminali stress” o “fondelli” furono ripassati con tal utensili, in quanto detti elementi erano stati zincati a caldo e richiedevano la rimozione manuale del materiale in eccesso.
Le dichiarazioni dei predetti testi, si legge in sentenza, risultavano riscontrate da un elemento logico valorizzato anche dal perito prof. COGNOME il quale aveva osservato che, nel caso in cui le filettature delle sfere fossero state ripassate con asportazione di materiale, la prima parte ad essere rimossa sarebbe stata la zincatura: in tutte le sfere esaminate – ad eccezione di due – la zincatura era ancora regolarmente presente.
Alla luce delle argomentazioni svolte dal primo giudice e condivise
dalla Corte d’appello, risultano destituite di fondamento le doglianze rassegnate dalla difesa nel terzo motivo di ricorso. Dietro l’apparente prospettazione del vizio di legittimità si sollecita una non consentita rivalutazione degli elementi probatori raccolti nel corso della istruttori dibattimentale.
Le censure propongono questioni che riguardano la ricostruzione dei fatti e l’interpretazione delle prove assunte, aspetti che esulano dal perimetro valutativo della Corte di legittimità. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai Giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se qu ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428 – 01).
Esula dai poteri della Corte, quindi, la rilettura della ricostruzion storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denuncia mediante ricorso per Cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794 – 01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944 – 01; cfr. altresì Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074 – 01).
Sempre in tema di nesso causale, quanto ai criteri che sovrintendono al suo accertamento nei reati omissivi ed anche comnnissivi, non è corretto sostenere, prospettatgf dalla difesa nel ricorso, che sia necessario raggiungere la certezza assoluta della derivazione di un evento da un determinato fattore causale. E’ invero sufficiente che il nesso eziologico sia verificato alla stregua di un criterio di alta probabilità logica (Sez. Un. 30328 del 10.7.2002, COGNOME, Rv. 222138), che soddisfa la necessità della certezza processuale, la quale non è “assoluta”, ma “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Il ragionamento fondante il criterio dell’alta probabilità logica, deve, a sua volta, essere basato, oltre che su deduzioni di ordine logico, anche su un giudizio di tipo induttivo, elaborato sull’analisi delle caratterizzazioni del fa storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. U. n. 38343 del 24.4.2014, COGNOME e altri, Rv. 261103).
Le percentuali di incidenza dei singoli fattori di crollo individuati d periti, ha chiarito il primo giudice, hanno un significato soltanto indicativo e esplicativo: tutti i fattori (errata filettatura delle sfere, mutamento del materiale di costruzione dei nodi), considerati unitariamente, alla luce dei criteri appena enunciati, hanno determinato una notevole riduzione delle resistenze dei moduli vite-sfera stress, attestatesi su livelli di gran lung inferiori a quelli che avrebbero dovuto garantire, pari a 30 – 33 to . pnellate.
Le percentuali indicate dai periti, pertanto, non si traducono in un vulnus del ragionamento sostenuto dai giudici di merito in tema di nesso causale, essendo il convincimento espresso sul tema frutto di una valutazione complessiva di tutti i fattori e delle circostanze del caso, suscettibile di rivelare “al di là di ogni ragionevole dubbio” la derivazion causale.
7. Del pari infondato è il quarto motivo di ricorso.
La difesa sostiene che i giudici di merito abbiano errato nella individuazione dei profili di colpa ravvisati a carico dei ricorrenti, lamentando come le sentenze di merito abbiano trascurato di considerare la natura del rapporto giuridico intercorrente tra cliente e fornitore: COGNOME non aveva subappaltato parte delle lavorazioni alla ditta COGNOME, ma aveva acquistato dalla stessa alcuni componenti della struttura di copertura della palestra.
Essendo i fratelli COGNOME semplici fornitori di singoli componenti meccanici, la loro condotta avrebbe dovuto reputarsi esente da responsabilità: costoro avevano infatti consegnato il materiale richiesto nell’ordine commerciale ricevuto, conforme alle prescrizioni tecniche di settore.
Le censure non sono meritevoli di accoglimento. Ha osservato la Corte d’appello, nel valutare il comportamento dei ricorrenti, che i fabbricanti dovevano attenersi al progetto di officina, senza accettare che il COGNOME, privo delle competenze tecniche, imponesse cambiamenti della struttura delle c.d. viti stress. La circostanza, si legge nella motivazione della sentenza di primo grado, (pagg. 47 e 48), emerge anche dalle dichiarazioni di COGNOME NOME il quale ebbe a riferire che fu la “Sole Engineering” a richiedere di realizzare il preforo delle sfere lasciando un margine maggiore, diversamente da quanto previsto nel progetto costruttivo.
In realtà, il tipo di rapporto intercorrente tra RAGIONE_SOCIALE e la ditta RAGIONE_SOCIALE, come osservato dai giudici di merito, non è dirimente ai fini della esclusione di responsabilità degli imputati: il difetto di filettat
avrebbe dovuto essere in ogni caso verificato dai produttori prima della consegna dei componenti richiesti, ben conoscendo i fratelli COGNOME la destinazione di essi (cfr. pag. 47 della sentenza di primo grado, dove si evidenzia come dalla documentazione in possesso della ditta risultasse chiaramente la destinazione dei prodotti ).
8. Infondato è il ricorso proposto da COGNOME NOME, incentrato sostanzialmente sulla inesistenza di una posizione di garanzia, discendente dalla mancanza in capo al ricorrente della qualifica di Direttore tecnico della “RAGIONE_SOCIALE“.
L’imputato, oltre a redigere il progetto costruttivo dell’opera ed il progetto costruttivo d’officina, ha ricoperto, alla stregua di quanto sostenuto dai giudici di merito, il ruolo di Direttore tecnico della società aggiudicatari dell’appalto.
Nella predetta qualità è stato ritenuto responsabile di non avere controllato l’impiego di materiali conformi alle previsioni progettuali.
I giudici di merito hanno ritenuto dimostrato che l’imputato COGNOME ricoprisse il ruolo di Direttore tecnico, in quanto, nel documento richiesto ai fini della certificazione SOA, del 18/7/2007, il ricorrente era indicato come tale. Si è anche osservato, a riprova dell’esistenza della qualifica, che, in assenza di tale designazione l’impresa non avrebbe potuto aggiudicarsi l’appalto pubblico per cui era necessaria la certificazione SOA.
Risulta ancora dalla espletata istruttoria, si legge in sentenza, come l’ing. COGNOME avesse seguito tutti gli adempimenti di carattere tecnico durante la fase di esecuzione dell’opera, compresa la verifica del rispetto dell’impiego dei materiali previsti in contratto (cfr. pag. 32 della sentenza di appello).
I giudici di merito hanno ritenuto conducenti, ai fini del convincimento maturato, una serie di documenti, il cui contenuto è stato illustrato in modo particolareggiato nella sentenza di primo grado.
Oltre alla comunicazione, inviata da COGNOME al Comune di Portomaggiore ed alla capogruppo CEB, datata 18/7/2007, in cui la “RAGIONE_SOCIALE” indica l’ing. COGNOME quale Direttore tecnico, il Giudice primo grado ha considerato: la missiva dell’1/1/2007, inviata al Comune ed alla Soc. CEB in cui si afferma che il cronoprogramma dello svolgimento dei lavori sarebbe stato illustrato al committente dai “tecnici preposti”, ingegneri COGNOME e COGNOME; altra missiva inviata ai medesimi destinatari in cui s rappresenta che il sollevamento della struttura reticolare del tetto sarebbe avvenuto alla presenza di COGNOME NOME e dell’ing. COGNOME; vari
documenti provenienti dall’ing. COGNOME riguardanti aspetti inerenti all’esecuzione dei lavori ed allo stato di avanzamento; un attestato, sia pure successivo alla realizzazione dell’opera, nel quale il ricorrente è ancora indicato dalla soc. “RAGIONE_SOCIALE” come Direttore tecnico.
Alla stregua di tali elementi, la Corte d’appello ha, di contro, ritenuto non dirimente l’inesistenza in atti di un contratto nel quale il ricorrente foss formalmente investito degli obblighi ex art. 26 d.P.R. 34/2000.
La difesa ha contestato in toto l’interpretazione delle emergenze probatorie fornite dai giudici di merito, osservando come non fosse riconoscibile in capo all’imputato la qualifica di Direttore tecnico.
Il motivo unico proposto nel ricorso contiene diverse censure, variamente articolate, nelle quali, in primo luogo, si esclude la valenza probatoria attribuita alla documentazione indicata nelle sentenze di merito.
Sul punto, lamenta la difesa, la Corte d’appello sarebbe incorsa in un travisamento della prova. Si sottolinea inoltre come il ricorrente non avesse stipulato con la società alcun contratto di prestazione d’opera regolarmente registrato. La mancanza di detto contratto sarebbe decisiva ai fini del mancato riconoscimento della qualifica, prevedendo l’art. 26, comma 3, d.P.R. 34/2000 che, qualora il direttore tecnico sia persona diversa dal titolare dell’impresa, dal legale rappresentante, dall’amministratore e dal socio, deve essere dipendente dell’impresa stessa o in possesso di un contratto d’opera professionale regolarmente registrato.
Nel dettaglio, la difesa evidenzia come nella dichiarazione del 30/10/2003, a firma di NOME COGNOME prodotta all’atto della presentazione dell’offerta per la partecipazione al pubblico incanto, risultasse indicato quale Direttore tecnico l’ing. NOME COGNOME Quanto all’attestazione proveniente dalla RAGIONE_SOCIALE richiamata dai giudici di merito, essa è inconferente, risalendo al 17/3/2009, epoca successiva alla realizzazione dell’opera.
L’ulteriore documentazione citata nelle sentenze di merito sarebbe egualmente inadeguata a sostenere l’affermazione di responsabilità dell’imputato: la lettera del 18/7/2007 inviata da COGNOME al Comune, in cui si indica COGNOME quale Direttore Tecnico, è una dichiarazione unilaterale, non portata a conoscenza dell’interessato; la lettera dell’Il gennaio 2007 inviata da CEB al Comune di Portomaggiore, ove si afferma che il cronoprogrannma sarà illustrato anche dall’ing. COGNOME, indica quest’ultimo quale tecnico preposto e non Direttore tecnico; la comunicazione del 6 giugno 2007 inviata dalla “Sole” al Comune, ove si afferma che si sarebbe proceduto al sollevamento della struttura reticolata alla presenza di COGNOME
e COGNOME non dimostra la qualifica riconosciuta in capo al ricorrente, ben potendo il progettista partecipare alla delicata fase di sollevamento della struttura; altri documenti provenienti dall’ing. COGNOME relativi all’esecuzi di alcuni lavori riguardano i servizi igienici, che nulla hanno a che fare con la copertura della palestra.
Ebbene, i rilievi riguardanti la interpretazione della documentazione in atti sono versati in fatto e tendenti a sollecitare una non consentita rivalutazione delle emergenze probatorie.
I giudici di merito hanno addotto precise circostanze a fondamento dell’assunto, evidenziando come il ricorrente fosse stato indicato quale Direttore tecnico nella dichiarazione presentata al Comune di Portomaggiore in data 18/7/2007. Hanno osservato come tale comunicazione, successiva a quella presentata all’atto della partecipazione alla gara, in cui era indicato altro nominativo, fosse necessaria per l’aggiudicazione dello stesso appalto di opere pubbliche, sulla base di quanto stabilito dall’art. 26 d.P.R. 34/2000, vigente all’epoca.
Hanno infine rimarcato come il ricorrente si fosse fattivamente interessato dell’esecuzione dei lavori, attività che non compete al progettista.
A questo proposito hanno indicato una serie di circostanze suscettibili di avvalorare logicamente detto convincimento.
La diversa interpretazione fornita sul punto dalla difesa prospetta un’alternativa ricostruzione dei fatti, inidonea a disarticolare il discors giustificativo ed a rivelare aspetti incongruenti ed illogici nel argomentazioni sviluppate nella sentenza impugnata, svolgendosi su un piano puramente avversativo.
Quanto al profilo riguardante l’inesistenza di un contratto di prestazione d’opera che lega il ricorrente alla società, appare corretta l’argomentazione fornita dalla Corte d’appello, che ritiene non rilevante, ai fini che occupano, la sua mancanza.
Il contratto di prestazione d’opera, infatti, regola i rapporti tra società ed il professionista; la situazione di fatto venutasi a creare desumibile dalla comunicazione inoltrata al Comune in data 18/7/2007 e dall’assunzione da parte del ricorrente di atti di gestione inerenti alla fase esecutiva, consente di sostenere che l’imputato avesse comunque ricoperto detto ruolo. Il fatto che in origine fosse stato indicato altro nominativo ne ruolo di Direttore tecnico non esclude che, all’atto dell’aggiudicazione dell’appalto, la qualifica fosse stata assunta dal ricorrente.
8.1. Resta da verificare, alla luce della definizione dei compiti
spettanti al Direttore tecnico nell’ambito degli appalti pubblici, se rientrass nelle competenze assegnate a tale figura professionale la verifica che l’esecuzione dei lavori avvenisse in modo corretto e conforme alle regole tecniche, così da ricomprendere il controllo sul materiale adoperato per la fabbricazione delle viti-stress, destinate ad assicurare la sopportazione dei pesi previsti dalla normativa di settore.
Occorre premettere che le competenze spettanti alla figura professionale del Direttore Tecnico sono attualmente disciplinata dall’art. 87, d.P.R. n.207/2010, in base al quale la Direzione Tecnica di una impresa costituisce l’organo cui competono gli adempimenti di carattere tecnicoorganizzativo necessari per la corretta realizzazione dei lavori.
L’art. 87 ha riprodotto l’articolo 26 del d.P.R. n.34/2000, vigente all’epoca dei fatti, il quale, al comma 1 recita: “La direzione tecnica è l’organo cui competono gli adempimenti di carattere tecnico-organizzativo necessari per la realizzazione dei lavori. La direzione tecnica può essere assunta da un singolo soggetto, eventualmente coincidente con il legale rappresentante dell’impresa, o da più soggetti”.
Alla stregua di quanto indicato nella norma di riferimento, il direttore tecnico si occupa della organizzazione del cantiere e della direzione tecnica per assicurare la corretta realizzazione dei lavori; è un soggetto, dotato di elevate competenze tecnico-professionali (essendo previsto che l’incarico debba essere rivestito da soggetti dotati di titoli professionali altamente qualificati), con il compito di organizzare i lavori in un determinato cantiere, nell’osservanza del contratto di appalto.
Sulla base di tale definizione deve ritenersi che rientri nelle competenze del direttore tecnico, per le sue qualità professionali e la sua posizione, accertare la conformità dell’opera realizzata al progetto, onde assicurare l’esatto adempimento del contratto d’appalto. Ne discende che COGNOME, in ragione della qualifica rivestita, avesse l’obbligo di verificare corrispondenza del materiale impiegato per la realizzazione delle viti-stress al progetto (acciaio C60 invece che AVP).
9. In ragione di quanto precede, rigetta i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, da condannarsi al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il predetto imputato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000). Condanna
tutti i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di questo giu di legittimità in favore della parte civile Provincia di Ferrara, liquidate in eu tremila oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e lo condanna al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna in solido tutti i ricorrenti alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore della part civile Provincia di Ferrara, liquidate in euro tremila, oltre accessori come per legge.
In Roma, così deciso il 4 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente