Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 38135 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 38135 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato ad ACQUEDOLCI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 5 aprile 2024 dalla Corte di appello di Messina, che ha confermato l sentenza del Tribunale di Patti che aveva condannato COGNOME NOME alla pena di euro 500,00 di multa, per il reato di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen.
Secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato avrebbe offeso la reputazione di NOME, pubblicando sul social network Facebook il seguente post: «è vergognoso essere tradito da un amico della stessa lista … si vende il voto … e pensare che nella stessa lista c’
una nipote … sei un parassita che noi tutti paghiamo con la con le tasse … parassita e ignorante».
Contro la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di inosservanza della legge penale, in relazione agli artt. 594 e 595 cod. pen.
Sostiene che la persona offesa, riconosciutasi come destinataria del post pubblicato dall’imputato nella propria «bacheca», avrebbe attivamente partecipato alla conversazione via chat – avviata, «sotto il post incriminato», da altri utenti manifestando il proprio disappunto rispetto a quanto aveva letto. La partecipazione attiva della persona offesa alla conversazione, secondo il ricorrente, renderebbe il fatto contestato una mera ingiuria e non una diffamazione.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di inosservanza della legge penale, in relazione agli artt. 599 cod. pen. e 530 cod. proc. pen.
Sostiene che, dall’istruttoria, sarebbe emerso che, la notte del 12 giugno 2017, la persona offesa avrebbe inviato all’imputato un messaggio snns con il quale rappresentava all’imputato di avere votato per una lista elettorale diversa da quella di appartenenza (“RAGIONE_SOCIALE“, dove entrambi erano candidati), provocando nell’imputato uno stato d’ira che l’avrebbe indotto a pubblicare il post su Facebook. L’imputato, secondo il ricorrente, avrebbe commesso il fatto solo in quanto provocato dalla persona offesa: dovrebbe, pertanto, essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 599 cod. pen.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di inosservanza della legge penale, in relazione agli artt. 163 e 164 cod. pen.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere il beneficio della sospensione condizionale della pena, in considerazione dell’incensuratezza dell’imputato e della nnera occasionalità del fatto.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di annullare con rinvio la sentenza impugnata.
AVV_NOTAIO, per la parte civile, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Messina.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che «integra il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, l’invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una “chat” condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell’immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito» (Sez. 5, n. 28675 del 10/06/2022, Ciancio, Rv. 283541).
Tanto premesso, nel caso in esame, non risulta dimostrato che il messaggio sia stato percepito nell’immediatezza dalla persona offesa e, anzi, dai post riprodotti nel ricorso, appare emergere il contrario, atteso che la risposta della parte lesa sembra essere intervenuta svariate ore dopo la pubblicazione del messaggio.
1.2. Prima di affrontare gli altri motivi, va ricordato che, in materia diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare le frasi che si assumono lesive dell’altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, COGNOME, Rv. 261284; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, COGNOME, Rv. 256706; Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, Travaglio, Rv. 233749).
Tanto premesso, va rilevato, nel caso in esame, è emerso che: il NOME era candidato alle elezioni per il consiglio comunale del suo paese; il «post incriminato» costituiva un attacco alla condotta poco coerente assunta dalla persona offesa, che avrebbe egli stesso votato per un’altra lista elettorale.
Appare, dunque, evidente che le espressioni utilizzate dall’imputato esprimessero un giudizio negativo circa una presunta condotta biasimevole posta in essere da un candidato alle elezioni comunali.
Al riguardo, va ricordato che, «in tema di delitti contro l’onore, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, con mezzo di pubblic di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non trascenda in un attacco personale» (Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, Alloro, Rv. 283964).
L’argomento trattato nel «post incriminato» avrebbe richiesto un’approfondita valutazione da parte del giudice di merito in ordine alla possibile sussistenza della scriminante del diritto di critica politica (che, peraltro, era stata specificamente invocata con l’impugnazione), che, invece, è completamente mancata.
Così come è mancata un’adeguata valutazione in ordine alla sussistenza della causa di non punibilità della provocazione, oggetto del secondo motivo di ricorso.
La Corte di appello, infatti, si è limitata ad asserire che mancherebbe il requisito dell’immediatezza in relazione allo stato d’ira, senza ricostruire l’intera vicenda chiarire quanto tempo sia trascorso tra la presunta provocazione e la reazione e senza minimamente confrontarsi con il principio giurisprudenziale, secondo il quale il dato temporale deve essere interpretato con elasticità, non essendo necessaria una reazione istantanea (cfr. Sez. 5, n. 30502 del 16/05/2013, Quaretti, Rv. 257700; Sez. 1, Sentenza n. 16790 del 08/04/2008, COGNOME, Rv. 240283).
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame, da effettuarsi anche alla luce degli esposti principi giurisprudenziali, relativo alla possibile sussistenza della scrinninante del diritto di critica politi della causa di non punibilità della provocazione.
Il terzo motivo di ricorso, essendo relativo al riconoscimento della sospensione condizionale della pena, risulta assorbito.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Messina. Così deciso, il 10 luglio 2024.