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Critica politica: i limiti del diritto e la diffamazione

Un politico locale è stato condannato per diffamazione per aver definito un sindaco “burattino” e averlo accusato di collusioni con la mafia durante un comizio. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, stabilendo che il diritto di critica politica non giustifica attacchi personali gratuiti o accuse infondate, anche se l’argomento è di interesse pubblico. La Corte ha ribadito che la critica deve basarsi su un nucleo di verità e rispettare il limite della continenza.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Critica Politica e Diffamazione: La Cassazione Traccia il Confine

Nel dibattito pubblico, specialmente in ambito politico, il confine tra un’opinione legittima e un’offesa diffamatoria può essere molto sottile. La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, n. 24274/2025, offre un’analisi chiara su dove si ferma il diritto di critica politica e dove inizia l’illecito penale. Il caso riguarda un politico locale condannato per aver diffamato un sindaco durante un comizio pubblico, sollevando questioni fondamentali sui limiti della libertà di espressione.

I Fatti di Causa

Un politico, durante un comizio in piazza, aveva rivolto al sindaco della città una serie di accuse e appellativi pesanti. Lo aveva definito “ignorante”, “burattino” e aveva insinuato una sua subordinazione a poteri mafiosi esterni che manovrerebbero l’amministrazione comunale. In particolare, aveva criticato la gestione del servizio di smaltimento rifiuti, affidato a un’impresa “in odore di Camorra”, e aveva accusato il sindaco e i suoi collaboratori di essere “pusillanimi” e timorosi nel denunciare le infiltrazioni criminali.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano riconosciuto la responsabilità penale del politico per il reato di diffamazione, condannandolo al risarcimento dei danni in favore del sindaco, costituitosi parte civile. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di aver agito nell’esercizio del diritto di critica politica, con l’unico scopo di stimolare l’amministrazione a una maggiore trasparenza e legalità.

L’Esercizio del Diritto di Critica Politica e i Suoi Limiti

Il cuore della questione giuridica risiede nell’applicazione dell’art. 51 del codice penale, che prevede la non punibilità per chi agisce nell’esercizio di un diritto. Il diritto di critica politica, in particolare, è una delle manifestazioni più importanti della libertà di pensiero. Tuttavia, come ribadito costantemente dalla giurisprudenza, tale diritto non è illimitato. Per essere legittimo, deve rispettare tre parametri fondamentali:

1. Verità del Fatto: La critica deve fondarsi su un “nucleo di verità”. Sebbene alla critica politica non sia richiesta la stessa rigorosa obiettività della cronaca, i fatti essenziali su cui si basa l’opinione non devono essere travisati o inventati.
2. Interesse Pubblico: L’argomento trattato deve avere una rilevanza per la collettività.
3. Continenza Espressiva: Le modalità espressive non devono trascendere in attacchi personali, gratuiti e denigratori. Le espressioni, per quanto aspre, devono essere funzionali alla critica e non mirare a offendere la dignità personale dell’individuo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la condanna. I giudici hanno sottolineato come le espressioni utilizzate dall’imputato avessero ampiamente superato i limiti della continenza. Appellativi come “ignorante” e “burattino”, così come le accuse di essere manovrato dalla mafia, non costituiscono una critica all’operato politico del sindaco, ma un attacco diretto alla sua persona e alla sua moralità (il cosiddetto argumentum ad hominem).

La Corte ha evidenziato che l’uso di termini come “mafioso” o l’evocazione di connivenze con la criminalità organizzata, in assenza di qualsiasi elemento di prova, hanno un contenuto intrinsecamente disonorevole e si trasformano in una mera aggressione verbale. L’imputato, infatti, non ha fornito alcun principio di prova a sostegno delle sue gravi affermazioni, né è emerso dagli atti processuali alcun elemento che potesse giustificarle. Anche il contesto di un acceso comizio politico non può fungere da scriminante per accuse che si risolvono nella denigrazione della persona in quanto tale.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma un principio cruciale per l’equilibrio tra libertà di espressione e tutela della reputazione individuale. La critica politica, anche la più severa, è sacrosanta in una democrazia, ma deve rimanere ancorata ai fatti e non degenerare in insulti o accuse infamanti prive di fondamento. Quando l’obiettivo non è più criticare un’azione o un programma politico, ma demolire la figura morale dell’avversario con attacchi personali, si esce dall’ambito del diritto e si entra in quello dell’illecito penale. Questa decisione serve da monito: la lotta politica si combatte con argomenti e idee, non con la delegittimazione personale basata su insinuazioni non provate.

Quando la critica politica si trasforma in diffamazione?
La critica politica diventa diffamazione quando supera i limiti della verità dei fatti, dell’interesse pubblico e della continenza espressiva, trasformandosi in un attacco personale gratuito e denigratorio volto a ledere la reputazione e la sfera morale di un individuo.

È legittimo accusare un amministratore pubblico di connivenze con la mafia?
No, non è legittimo se non si dispone di elementi fattuali concreti a supporto. Secondo la Corte, l’uso del termine “mafioso” o di espressioni simili, in assenza di una base di verità, costituisce di per sé una grave diffamazione e una mera aggressione verbale, non una critica legittima.

Il contesto di un acceso dibattito politico può giustificare l’uso di parole offensive?
No. Sebbene il contesto possa essere considerato, esso non può mai giustificare aggressioni personali gratuite e accuse infamanti. La Corte ha chiarito che il contesto di un comizio non può scriminare espressioni che si risolvono nella denigrazione della persona in quanto tale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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