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Critica politica e diffamazione: il limite superato

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione per diffamazione, stabilendo che accusare un’amministrazione comunale di essere un’associazione a delinquere organizzata da un clan, senza alcun fondamento fattuale, non rientra nel legittimo esercizio della critica politica. Secondo la Corte, tale affermazione supera i limiti della continenza espressiva e si traduce in un’attribuzione gratuita di un fatto criminoso, integrando così il reato di diffamazione.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Critica Politica o Diffamazione? La Cassazione Traccia il Confine

Il dibattito pubblico e la critica politica sono pilastri di una società democratica. Tuttavia, esiste una linea sottile che separa la legittima espressione di dissenso dalla diffamazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 17326 del 2024, offre un’importante chiave di lettura per distinguere questi due concetti, specialmente quando le parole usate sono particolarmente forti e dirette verso un’amministrazione pubblica.

I fatti del caso: un’osservazione che diventa accusa

La vicenda ha origine da un modulo per osservazioni pubbliche predisposto da un Comune. Un cittadino, esprimendo il suo parere contrario alla delibera di adesione del consiglio comunale a una società in house per la gestione dei rifiuti, scriveva che tale scelta costituisse “presumibilmente un’associazione a delinquere organizzata da un clan”.

Questa frase, indirizzata formalmente al Sindaco, ha dato il via a un procedimento penale per diffamazione aggravata ai danni del Comune. In primo grado, il Tribunale ha assolto l’imputato, ritenendo che la sua espressione rientrasse nei confini di una dura, ma legittima, critica politica.

Il ricorso della Procura e l’analisi della Cassazione

La Procura Generale ha impugnato la sentenza di assoluzione, portando il caso direttamente davanti alla Corte di Cassazione. Il punto centrale del ricorso era la violazione dell’articolo 51 del codice penale, che disciplina l’esercizio di un diritto. Secondo l’accusa, l’espressione utilizzata non poteva essere considerata una critica, ma un’immotivata equiparazione di una scelta politica all’affiliazione a un’organizzazione criminale.

Quando la comunicazione a uno vale per molti

La Corte ha innanzitutto chiarito un aspetto procedurale importante. Anche se il modulo era indirizzato formalmente solo al Sindaco, il reato di diffamazione sussiste. Era infatti ampiamente prevedibile, data la natura del documento (un modulo di osservazioni pubbliche) e il contesto istituzionale, che il contenuto sarebbe stato letto da più persone all’interno degli uffici comunali, come i collaboratori del primo cittadino. Questo soddisfa il requisito della comunicazione con più persone richiesto dalla norma sulla diffamazione.

Il superamento dei limiti della critica politica

Il cuore della decisione risiede nell’analisi del confine tra diritto di critica e offesa alla reputazione. La Cassazione ricorda che la critica politica è legittima quando:
1. Prende spunto da un fatto vero.
2. Risponde a un interesse pubblico.
3. Non trascende in un attacco personale e gratuito (requisito della continenza).

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che l’imputato avesse superato quest’ultimo limite.

Le motivazioni della Corte Suprema

La Corte ha stabilito che attribuire a un ente pubblico una condotta criminosa di tale gravità, come l’essere un’associazione a delinquere legata a un clan, non è una semplice opinione negativa. Si tratta, invece, dell’attribuzione di un fatto preciso e infamante. Per essere scriminata dal diritto di critica, una simile affermazione avrebbe dovuto poggiare su un minimo di base fattuale, anche solo putativa (cioè, basata su elementi che, pur se errati, potevano ragionevolmente far credere che il fatto fosse vero).

In assenza di qualsiasi elemento a supporto, l’espressione si è tradotta in un’aggressione gratuita alla reputazione dell’ente, trascendendo “ogni limite di continenza espressiva”. L’equiparazione tra una delibera amministrativa e un’associazione criminale è stata considerata un’accusa diretta e non una metafora o un’iperbole tipica del dibattito politico.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Il principio che emerge è chiaro: il diritto di critica politica, per quanto ampio, non autorizza ad attribuire fatti penalmente rilevanti e infamanti a persone o enti pubblici in modo immotivato e gratuito. La critica deve rimanere ancorata ai fatti e rispettare il limite della continenza, senza trasformarsi in un’offesa personale o in un’accusa infondata, che lede la reputazione altrui e configura il reato di diffamazione.

Quando un commento scritto indirizzato a una sola persona può integrare il reato di diffamazione?
Quando, per le modalità di comunicazione e il contesto, è concretamente prevedibile che il messaggio venga letto da terze persone diverse dal destinatario principale. Nel caso di specie, un modulo di osservazioni indirizzato al Sindaco era prevedibilmente accessibile al personale del suo ufficio.

Qual è il confine tra legittimo diritto di critica politica e diffamazione?
Il confine è superato quando la critica non si limita a esprimere un giudizio negativo su una condotta, ma si traduce nell’attribuzione di un fatto specifico, grave e infamante (in questo caso, di natura criminale), senza che vi sia alcun elemento fattuale, anche solo putativo, a supporto. Inoltre, devono essere rispettati i limiti della continenza espressiva.

Accusare un’amministrazione pubblica di essere un “clan” rientra nella critica politica?
No. Secondo la Corte di Cassazione, associare una decisione amministrativa a un'”associazione a delinquere organizzata da un clan” non è una critica, ma un’accusa diretta e gravissima che, se priva di fondamento, trascende i limiti del diritto di critica e configura il reato di diffamazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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