Crisi di Liquidità: Quando la Scelta Aziendale Diventa Reato Fiscale
L’omesso versamento delle imposte è un tema delicato che può avere gravi conseguenze penali per gli imprenditori. Spesso, la difesa si basa sulla sussistenza di una crisi di liquidità che avrebbe impedito di far fronte ai debiti con l’Erario. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini di questa scusante, sottolineando come non sia invocabile quando la mancanza di fondi deriva da precise scelte imprenditoriali.
I Fatti del Caso: Una Politica di Gruppo a Sfavore del Fisco
Il caso esaminato riguarda un imprenditore condannato per il reato di omesso versamento di imposte (art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000). L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’inadempimento fosse dovuto a una grave e pregressa crisi finanziaria, tale da configurare una causa di forza maggiore.
Dalle indagini e dalla relazione del consulente tecnico, però, è emerso un quadro differente. Le società facenti capo all’imputato, pur disponendo di significative risorse economiche negli anni in contestazione (2017 e 2018), avevano sistematicamente destinato tali fondi a finalità diverse dal pagamento dei tributi. In particolare, la liquidità era stata utilizzata per:
* Estinguere debiti di altre società appartenenti allo stesso gruppo.
* Trasferire fondi alla società holding del gruppo.
* Ridurre l’indebitamento infragruppo.
In sostanza, l’imprenditore aveva attuato una politica aziendale volta a finanziare le altre entità del suo gruppo societario, sacrificando l’adempimento degli obblighi fiscali.
La Tesi Difensiva e la presunta Crisi di Liquidità
La difesa dell’imputato si fondava sull’idea che una crisi economica, iniziata anni prima, avesse reso impossibile il pagamento delle imposte. Secondo questa tesi, l’imprenditore non avrebbe avuto alcun margine di scelta, trovandosi costretto a gestire una situazione finanziaria critica che esulava dal suo controllo. L’obiettivo era far riconoscere la sussistenza di una causa di forza maggiore, come previsto dall’art. 45 del codice penale, che esclude la punibilità quando il fatto è dovuto a una forza a cui non si poteva resistere.
Le Motivazioni della Cassazione: Crisi di Liquidità o Scelta Strategica?
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che il ricorso non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti, ma deve limitarsi a censure di legittimità. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva già fornito una motivazione logica, completa e priva di contraddizioni.
Il punto centrale della decisione è la distinzione tra una crisi inevitabile e una situazione di illiquidità creata o gestita tramite scelte aziendali deliberate. La Corte ha stabilito che le argomentazioni sulla crisi di liquidità erano generiche e non idonee a escludere la responsabilità penale. È stato infatti provato che le risorse economiche esistevano, ma l’imprenditore aveva scelto di allocarle diversamente.
L’omesso pagamento dei tributi non è stato, quindi, il risultato di una mancanza assoluta di fondi, ma di una precisa politica imprenditoriale. Scegliere di privilegiare il finanziamento infragruppo rispetto al pagamento delle imposte costituisce una decisione volontaria che non può essere scusata come causa di forza maggiore.
Conclusioni: Le Implicazioni per gli Amministratori
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per amministratori e imprenditori: la crisi di liquidità non è un lasciapassare per evadere gli obblighi fiscali. Per poter escludere la responsabilità penale, la crisi deve essere assoluta, imprevedibile e non riconducibile a decisioni gestionali dell’imputato. Se l’imprenditore ha la disponibilità di risorse e sceglie di destinarle ad altri scopi, pur legittimi dal punto di vista aziendale ma non prioritari rispetto ai debiti tributari, la sua condotta integra pienamente il reato. La decisione di finanziare altre società del gruppo a scapito dell’Erario è considerata una scelta strategica e, come tale, penalmente rilevante.
Una crisi di liquidità aziendale giustifica sempre l’omesso pagamento delle imposte?
No. Secondo la Corte, la crisi di liquidità non è una scusante se l’imprenditore, pur avendo risorse disponibili, sceglie deliberatamente di destinarle ad altri scopi, come finanziare altre società del gruppo, invece che al pagamento dei debiti tributari.
Cosa deve dimostrare un imprenditore per invocare la crisi di liquidità come causa di forza maggiore?
L’imprenditore deve dimostrare che la crisi era imprevedibile, inevitabile e non dipendente da sue scelte gestionali. Deve provare di non avere avuto alcun margine di scelta per adempiere all’obbligazione tributaria, circostanza che non sussiste se i fondi vengono dirottati altrove per una precisa scelta aziendale.
È possibile contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito?
No, il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Non è possibile chiedere una nuova valutazione delle prove o una diversa ricostruzione dei fatti, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7137 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7137 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il 06/12/1959
avverso la sentenza del 03/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stato condannato per il reato di cui all’art. 10 ter d.lgs.74 deducendo, con unico motivo di ricorso, violazione di legge in ordine alla sussistenza della c di liquidità, rilevante ai sensi dell’art. 45 cod. pen., evidenziandone l’insorgenza in antecedente alla commissione del reato e richiamando e allegando memoria depositata in primo grado e la documentazione prodotta nel corso del primo giudizio.
La prima doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimit investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cog del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazion siano sorrette da motivazione congrua ed esauriente. Nel caso di specie, dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fatti precis circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive essendo pervenuti alle loro conclusioni, in punto di responsabilità, attraverso una disami completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, sotto il profi della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in ter contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede, come si des dalle considerazioni formulate dal giudice a quo, laddove ha affermato che le allegazioni d ricorrente in ordine alla sussistenza di una crisi d’impresa, risalente al 2008 e protratt anni, da ricondurre a fattori estranei alle condotte dell’imputato, sono generiche e inidonee escludere l’affermazione della penale responsabilità, trattandosi di vicende pregresse agli an in contestazione che concernono le annualità del 2017 del 2018 ed incapaci di dimostrare che è ricorrente non avesse alcun margine di scelta in ordine al mancato pagamento dell’imposta evasa. È infatti emerso, dalla relazione tecnica del consulente del medesimo imputato, che l società godeva di risorse economiche disponibili, appartenenti sia alla medesima società RAGIONE_SOCIALE che alla RAGIONE_SOCIALE, che erano state destinate ad esigenze inerenti a società appartenenti al medesimo gruppo societario e non al pagamento dei debiti tributari. La società RAGIONE_SOCIALE infatti aveva una liquidità nell’anno 2015 e nell’anno 2016, per un ammontare di una certa consistenza, liquidità che ricorrente avrebbe dovuto trattenere ed accantonare per il pagamento dei tributi. E’ vicever emerso che la liquidità disponibile nel 2015 era stata destinata alla chiusura dei rapporti adttl concernenti la società RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata nel 2015 dalla società RAGIONE_SOCIALE e che la liquidità del 2016 è stata destinata alla società RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE. Anche la liquidità di cui disponeva la società RAGIONE_SOCIALE nel 2016 era stat utilizzata per diminuire il debito infragruppo verso la RAGIONE_SOCIALE E’ quindi emerso c l’omesso pagamento dei tributi costituisse una precisa politica imprenditoriale persegui dall’imputato, volta a finanziare società appartenenti al gruppo, destinando così le ris economiche disponibili in quelle annualità all’adempimento di obbligazioni diverse da quell tributarie. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente