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Crisi di liquidità: quando esclude il reato fiscale?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un imprenditore per omesso versamento IVA, nonostante avesse invocato una grave crisi di liquidità della sua azienda. La sentenza chiarisce che, per escludere la responsabilità penale, la crisi deve derivare da fattori imprevedibili e non controllabili, e non dal normale rischio d’impresa o da scelte gestionali. L’imprenditore non è riuscito a fornire prove sufficienti in tal senso, rendendo il suo ricorso inammissibile.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Crisi di liquidità e reati fiscali: la Cassazione stabilisce i limiti

Un imprenditore che omette di versare l’IVA a causa di una grave crisi di liquidità aziendale è sempre giustificabile? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 5804/2025, torna su questo tema delicato, tracciando una linea netta tra le difficoltà che rientrano nel normale rischio d’impresa e le circostanze eccezionali che possono escludere la colpevolezza. La pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere quando la mancanza di fondi può costituire una valida difesa nel contesto dei reati tributari.

I fatti del caso

Il legale rappresentante di una società operante nel settore del commercio al dettaglio veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’articolo 10-ter del D.Lgs. 74/2000. L’imprenditore presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che l’inadempimento fosse dovuto a una irreversibile crisi d’impresa. A suo dire, tale crisi era stata causata da fattori esterni, come l’ingresso sul mercato di grandi catene a basso costo e la crescita esponenziale dello shopping online, che avevano eroso la clientela del negozio fisico. La società era poi fallita pochi mesi dopo la scadenza del termine per il versamento dell’imposta, nonostante un tentativo fallito di concordato preventivo.

La crisi di liquidità come causa di esclusione del reato

Il ricorrente basava la sua difesa sulla tesi che la crisi economica avesse reso impossibile adempiere all’obbligazione tributaria, eliminando così l’elemento psicologico del reato (il dolo). Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato questa argomentazione, giudicandola generica e non sufficientemente provata. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: non basta affermare di essere in difficoltà finanziarie per evitare una condanna.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha specificato che, affinché una crisi di liquidità possa avere valore scusante, devono ricorrere condizioni molto precise. In primo luogo, la crisi deve essere causata da un evento “imponderabile, imprevisto ed imprevedibile”, che esula dal normale controllo e dalla diligenza richiesta a un “agente modello” del settore. Non deve essere, in altre parole, una conseguenza di scelte imprenditoriali errate o di dinamiche di mercato prevedibili, che rientrano nell’ordinario rischio d’impresa.

Nel caso specifico, è emerso che la crisi non era dovuta a eventi eccezionali (come calamità naturali o l’insolvenza improvvisa di un cliente principale), ma a scelte imprenditoriali e a una congiuntura di mercato sfavorevole, fenomeni considerati parte del rischio aziendale. L’imprenditore, secondo la Corte, ha un preciso “onere di allegazione”, ovvero deve dimostrare non solo che la crisi non gli è imputabile, ma anche di aver fatto tutto il possibile per fronteggiarla con misure idonee.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’imputato non aveva neppure dedotto di non aver incassato l’IVA dai clienti, un aspetto cruciale dato che l’imposta incassata “per cassa” deve essere accantonata per il successivo versamento all’Erario. Infine, è stata respinta anche la richiesta di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sia per l’importo considerevole dell’imposta evasa (oltre 38.000 euro sopra la soglia di 250.000), sia per la presenza di precedenti condanne a carico dell’imputato.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce con forza che la crisi di liquidità non è un “salvacondotto” automatico per i reati fiscali. La responsabilità penale dell’imprenditore può essere esclusa solo se si dimostra rigorosamente che l’impossibilità di pagare le imposte è derivata da circostanze eccezionali, estranee alla sua volontà e non fronteggiabili con gli strumenti ordinari di gestione aziendale. Affidarsi a una generica difficoltà economica, senza fornire prove concrete sulla sua origine imprevedibile e sulla propria condotta diligente, non è sufficiente a superare il vaglio dei giudici.

Una crisi di liquidità aziendale giustifica sempre l’omesso versamento dell’IVA?
No. Secondo la Cassazione, la crisi di liquidità giustifica l’omissione solo se è determinata da un fatto imponderabile, imprevisto e imprevedibile, che esula dal dominio finalistico dell’agente e per il quale quest’ultimo non abbia in alcun modo dato causa.

Cosa deve dimostrare l’imprenditore per non essere punito in caso di crisi finanziaria?
L’imprenditore deve adempiere a precisi oneri di allegazione, dimostrando non solo la non imputabilità della crisi economica, ma anche l’impossibilità di fronteggiarla tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto.

La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata applicata in questo caso?
No, la Corte ha escluso l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. per due motivi: il non modesto scostamento dal valore soglia (oltre 38.000 euro) e la non occasionalità della condotta, avendo il ricorrente riportato altre due condanne definitive per reati della stessa indole (appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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