Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5804 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5804 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Rimini il 08/07/1955, avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 13/02/2024.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/02/2024, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Rimini del 30/05/2022, che aveva condannato NOME COGNOME (quale l.r. della ‘RAGIONE_SOCIALE) in ordine al reato di cui all’articolo 10ter d. lgs. 74/2000 (in riferimento alla dichiarazione annuale 2015), alla pena di mesi quattro di reclusione.
Avverso tale sentenza ricorre, tramite il proprio difensore di fiducia, il COGNOME
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione dell’articolo 10ter d. lgs. 74/2000 e vizio di motivazione in riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Evidenzia il ricorrente come la società da lui amministrata si trovasse nel mezzo di una irreversibile crisi di impresa (cagionata, per un verso, dall’ingresso sul mercato di colossi a basso prezzo come ‘Zara’ e similari, e, per altro verso, dall’incremento massiccio dello shopping on line , a scapito di quello fisico presso il negozio) che poi sfociò, pochi mesi dopo la data di consumazione del reato (27/12/2016), nel fallimento della stessa (06/06/2017), nonostante il disperato tentativo di ricorrere al concordato preventivo (richiesto il 03/03/2017), che non andò a buon fine per la irreversibile crisi affrontata dalla società.
Il ricorrente produce altresì, come già fatto nel giudizio di merito, copia della sentenza n. 60/23 del
Tribunale di Rimini che riconosce, anche se in riferimento ad altra società riconducibile al COGNOME, che l’imputato si Ł completamente spogliato dei propri beni personali nel tentativo di salvare le sue società.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta irrilevanza delle difficoltà finanziarie attraversate dall’impresa, le quali invece emergono in modo chiaro sia dalla sentenza di fallimento che dalle deposizioni dei testi della difesa NOME COGNOME e NOME COGNOME. 2.3. Con il terzo motivo, lamenta violazione dell’articolo 131bis cod. pen., per non avere i giudici del merito applicato la causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł inammissibile.
Le prime due doglianze, che possono analizzarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono inammissibili per genericità.
2.1. Ed infatti, tralasciando la vexata quaestio relativa alla natura della crisi di liquidità (o di impresa), ossia se essa incida sull’elemento psicologico del reato, andando ad impingere sulla colpevolezza, ovvero se costituisca causa di forza maggiore, toccando quindi la stessa antigiuridicità del fatto, ovvero ancora sia riconducibile alla incerta categoria dogmatica della ‘inesigibilità’, il Collegio osserva che, in ogni caso, affinchØ si possa parlare di impossibilità di tenere la condotta corretta con conseguente valore scusante, occorre che la crisi di liquidità sia determinata un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, secondo la diligenza dell’«agente modello» di settore, che esula dal dominio finalistico dell’agente e presuppone che egli non vi abbia in alcun modo dato causa (o concausa), sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento.
Questa Corte (Sez. 3, n. 30626 del 13/10/2020, COGNOME, n.m.), ha ad esempio affermato che «al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorre l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, COGNOME, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 263128; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265262).
Per escludere la volontarietà della condotta Ł, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, COGNOME; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014)», posto che, altrimenti, la crisi di liquidità costituisce elemento che «rientra nell’ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario» (v., ex multis , Sez. 3, n. 2613 del 2/12/2022, dep. 2023, Consoli, n.m.; Sez. 3, 13/11/2018, n.12906, COGNOME, Rv. 276546, non massimata sul punto).
Inoltre, si Ł affermato, come rammentato dalla stessa sentenza impugnata, che Ł necessario che siano assolti precisi «oneri di allegazione» da parte dell’imputato, «che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto» (Sez. 3, n. 46237 del
18/10/2022, COGNOME, n.m., che ribadisce i principi già espressi daSez. 3, n. 11035 del 9/11/2017, dep. 2018, Magon, n.m.).
Occorre, in altre parole, una accorta ponderazione tra rischio di impresa (che non può essere posto a carico della collettività) e tutela dal soggetto agente da vicende di mercato assolutamente imponderabili e dallo stesso ingovernabili, tali da determinare una crisi di liquidità, non fronteggiabile con misure ordinarie e straordinarie.
2.2. Scendendo in concreto, a pagina 3 della sentenza impugnata, oltre a stigmatizzarsi l’omesso adempimento al preciso onere di allegazione da parte dell’odierno ricorrente, si chiarisce – a fronte di analoga doglianza formulata dalla difesa – che, dalle deposizioni dei testi COGNOME rispettivamente coamministratore e commercialista della società, emerge che la crisi non fu dovuta a fattori eccezionali o imprevedibili, ma a scelte imprenditoriali dell’imputato, unitamente ad una congiuntura di mercato sfavorevole, ossia a dinamiche perfettamente inquadrabili nel rischio d’impresa cui sono, loro malgrado, soggette tutte le aziende (v., sul punto, Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, COGNOME, Rv. 259190).
A pagina 4, riassuntivamente, il provvedimento impugnato evidenzia che la crisi non si Ł quindi verificata per un improvviso e imprevedibile fattore esterno, come sarebbe stato nel caso di ingenti inadempimenti da parte di un unico grosso cliente, ma di vendita al dettaglio che ha risentito di un calo generalizzato del fatturato, dovuto a problematiche di mercato e a scelte imprenditoriali (la crisi non fu infatti dovuta a eventi straordinari ed eccezionali legati a clima, terremoti o simili).
Evidenzia da ultimo la Corte territoriale che non Ł neppure stato dedotto che la società non avesse riscosso l’Iva non versata, essendo di solare evidenza che, nel caso di IVA ricevuta «per cassa», rileva la condotta dell’agente tra il momento della riscossione e la scadenza del termine «lungo» annuale, già superato (v. pag. 5) al momento della richiesta di adire al concordato preventivo, poi revocata.
Le doglianze, che non si confrontano con il contenuto della sentenza, limitandosi a generiche e astratte considerazioni, sono pertanto generiche e vanno dichiarate inammissibili.
2.3. Ritiene il Collegio che la situazione dianzi descritta non sia destinata a diversa considerazione anche alla luce delle modifiche normative introdotte dal d. lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (‘Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111’), il quale ha modificato l’articolo 13 del d. lg.s 74/2000 mediante l’inserimento di un comma 3bis , a mente del quale (il corsivo Ł del Collegio) «i reati di cui agli articoli 10bis e 10ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute , rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi » (si noti come il requisito della inesigibilità dei crediti e del mancato pagamento dei crediti sono posti tra loro in disgiunzione, mentre la non esperibilità di azioni giudiziarie in congiunzione con il primo requisito) giacchØ, in tutta evidenza, non sussistono nel caso di specie i presupposti affinchØ possa dedursi una crisi di liquidità quale causa di non punibilità.
Inammissibile per genericità Ł anche il terzo motivo.
3.1. L’art. 131bis cod. pen. prevede la «non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa Ł di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».
In particolare, la norma (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, n.m.), oltre allo sbarramento del
limite edittale (la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
Il primo degli ‘indici-criteri’ (così li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati, ossia la particolare tenuità dell’offesa, si articola a sua volta in due «indici-requisiti» (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la «modalità della condotta» e «l’esiguità del danno o del pericolo», da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa, nonchØ alla luce della condotta successiva al fatto, a seguito della modifica introdotta dal d. lgs. n. 150 del 10/10/2022).
Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti», sussista l’«indicecriterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della «non abitualità» del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
3.2. Ciò premesso, la Corte territoriale, a pagina 5, chiarisce che, per un verso non ritiene sussistente l’indice-criterio della ‘speciale tenuità’ del fatto, in ragione del non modesto scostamento (oltre 38.000 euro) dal valore soglia di 250.000 euro (v. sul punto Sez. 3, Sentenza n. 21474 del 22/04/2015, Rv. 263693, secondo cui l’omesso versamento all’Erario di una considerevole somma di denaro Ł incompatibile con un giudizio di particolare tenuità del fatto) e, per altro verso, non sussistente l’indice-criterio della non abitualità della condotta, avendo il ricorrente riportato due condanne definitive per i reati di appropriazione indebita e bancarotta fraudolenta, da ritenersi della stessa indole.
La Corte distrettuale, come evidenziato anche dal Procuratore generale, ha ritenuto tali parametri non irragionevolmente – di maggior e piø rilevante consistenza rispetto al recessivo criterio del comportamento successivo al reato, pur evidenziato dal ricorrente.
Il ricorso, che non si confronta con il tenore del provvedimento impugnato, limitandosi a riproporre pedissequamente la censura già dedotta in appello, Ł pertanto aspecifico e (quindi) inammissibile.
4. Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 08/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME NOME