Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19868 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19868 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Bari il 07/04/1976
avverso la sentenza del 24/11/2023 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
letta la memoria difensiva dell’avv. COGNOME che ha insistito nell’accoglimento del ricorso ed ha eccepito la prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bari con la quale NOME NOME era stato condannato in relazione al reato dell’art. 10 -quater, comma 2, d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per avere utilizzato in compensazione crediti inesistenti, previa qualificazione del fatto quale violazione dell’art. 10 quater, comma 1, d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per avere utilizzato in compensazione crediti non spettanti, ha rideterminato la pena al medesimo inflitta
con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nella misura di mesi sei di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza quanto alla disposta confisca per equivalente fino alla concorrenza di C 299.521,44.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 10 quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. Argomenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto il credito non spettante, in luogo di quello inesistente, sulla scorta dell’erroneo riferimento dell’art. 13 comma 4, del d.L.vo n. 471 del 1997. E’ ius receptum che la definizione del delitto di compensazione di credito non spettante non possa essere desunta dal comma 4, del succitato art. 13, con la conseguenza che giuridicamente erroneo, come ha ritenuto la sentenza cl,A. impugnata, aver assunto la sanziongT30°/0 prevista per il procedimento tributario quale paradigma applicabile alla fattispecie delittuosa senza essersi curata di affrontare le radici definitorie della disciplina penale secondo cui il credito no spettante e quello che ,sebbene certo nella sua esistenza ed ammontare /sia per legge ancora non utilizzabile ovvero non più utilizzabile secondo il pacifico indirizzo di legittimità. Concludendo il difetto di riconducibilità al riqualificato reato di c comma 1, dell’art. 10 – quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 sarebbe frutto di un’errata applicazione della legge e segnatamente della legge extrapenale.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen., in relazione alla manifesta illogicità e contraddittorietà de motivazione sull’elemento soggettivo del reato a fronte della mutata qualificazione giuridica di cui al comma 1 dell’art. 10 – quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, che comporta un una significativa divergenza in ordine all’elemento soggettivo e carenza di motivazione sul punto.
La difesa ha depositato memoria nella quale, ripercorrendo i motivi di ricorso, ha chiesto l’annullamento della sentenza per prescrizione del reato maturata in epoca successiva alla sentenza impugnata. Ha ribadito l’errore compiuto dalla corte territoriale nella riqualificazione del fatto: in estrema sintesi ha ricordato c era stato dedotto l’errore in cui era incorso il giudice d’appello che avrebbe errato nell’oltrepassare il perimetro definitorio tracciato dal citato costante indiriz penale di legittimità, così ricomprendendo nell’applicazione del riqualificato reato di cui al comma 1 dell’art. 10-quater, una condotta certamente non riconducibile a esso a rigore del dettato nomofilattico qui invocato ritenendo che “era stata utilizzata in compensazione una eccedenza d’imposta superiore al credito
spettante”, fattispecie questa non riconducibile alla summenzionata norma incriminatrice a mente dell’insuperato e assolutamente dominante orientamento di legittimità invocato nel motivo 1 del ricorso. Ma non solo, evidenzia il difensore, che ora la nozione di “credito non spettante” ha trovato collocazione nell’art. 1 lett. g quinquies, del d.Lgs n. 74 del 2000, come modificato dal d.lgs n. 87 del 2024, disposizione, che in disparte la possibile violazione per eccesso di delega, non sarebbe comunque applicabile, in forza dell’art. 2 comma 4 cod.pen., in via retroattiva al caso in esame, regolato tutt’ora della definizione che deriva dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui i crediti non spettanti sono “crediti che, pur certi nella loro esistenza ed ammontare, siano per legge ancora non utilizzabili”, definizione in cui non rientrerebbe il caso in esame. Chiede l’annullamento senza rinvio e la revoca della confisca per equivalente ordinata nella sentenza di primo grado e confermata in quella di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente, è inammissibile sulla base delle seguenti ragioni.
Va ricordato che, a seguito della modifica ad opera dell’art. 9 del d.lgs n. 158 del 2015, il reato di cui all’art. 10 – quater d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, punisce, chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti inesistenti per un importo annuo superiore a C 50.000,00.
Per effetto dell’integrale riscrittura della norma, nel primo comma, la fattispecie originaria è confermata nella sostanza, ma ridisegnata in maniera autonoma, eliminando il richiamo all’art. 10-bis e prevedendo che la sanzione della reclusione, da sei mesi a due anni prevista per chi non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17, del d. Igs. 9 luglio 1997, n.241, crediti “non spettanti”, qualora vi sia il superamento di una soglia di punibilità, determinata in C 50.000,00. Il secondo comma prevede un inasprimento di pena per l’utilizzo di “crediti inesistenti”.
Quanto alla definizione di “credito inesistente” e “credito non spettante”, definizione ora rilevante a seguito della modifica normativa, la giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, raggiunto punti fermi, delineando una nozione in via autonoma rispetto alla definizione contenuta nella norma tributaria, art. 13 comma 5 del d.vo n. 471 del 1997.
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha, anche dopo la riforma del 2015, condiviso l’indirizzo interpretativo che ritiene applicabile alla sola materi degli illeciti di natura amministrativa la definizione dell’art. 13 del D.Igs. 471/199 imperniata sul duplice presupposto della mancanza totale o parziale del
presupposto costitutivo dei crediti medesimi, e della non riscontrabilità della compensazione indebita mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/73 e all’art. 54-bis del DPR 633/72 (Cfr. sul punto in motivazione Sez. 3 n. 23083 del 22/02/2022, COGNOME, Rv. 283236 – 01), da cui deriva che la fattispecie sanzionata penalmente dall’art. 10-quater, d.lgs. n. 74 del 2000, sviluppa una definizione costitutiva ed autonoma dei concetti di “crediti inesistenti” e di “credit non spettanti”, preesistente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015, laddove la definizione di “crediti inesistenti” di cui all’art. 13, comma 5, d.lgs. 471 del 1997, rileva ai soli fini dell’integrazione dell’illecito amministrat specificamente introdotto dal medesimo d.lgs. n. 158, cit.
5. Quanto alla definizione dei crediti “non spettanti”, che rileva nel caso in questione, a partire dalla pronuncia Sez. 3, n. 36393 del 07/07/2015, Rv. 265014 e poi in motivazione Sez. 3, n. 23083 del 22/02/2022, COGNOME, Rv. 283236 – 01, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74 2000, per credito “non spettante” si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario. Le successive pronunce (da ultimo, Sez. 3, n. 16353, del 21/02/2023, Grandi, non massimata), si pongono in linea di continuità secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto in esame, per credit “non spettante” si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario.
Ancora «la nozione di credito non spettante implica un credito tributario che, pur certo nella sua esistenza e nel suo ammontare, sia, per una qualche ragione normativa, ancora non utilizzabile o non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra il contribuente e l’Erario» mentre è inesistente «il credito del quale non sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi» (Sez. 3367 del 26/06/2014; Sez. 3, n. 41229 del 25/09/2018).
Peraltro, osserva il Collegio che la nozione di credito non spettante, per come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità penale sopra richiamata, trova riscontro nella disposizione di cui al comma 4 dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, modificato dalla novella del 2015, che ha fornito una autonoma definizione della nozione di credito non spettante, individuato con la locuzione «utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti» mentre le diverse opzioni interpretative in sede penale e tributaria, con riguardo alla nozione di credito inesistente, secondo l’art. 13 cit., ruotano sulla necessità o meno del requisito del controllo formale della dichiarazione di cui agli artt. 36-bis
e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972, ma non rilevano quanto al caso che ci occupa.
La definizione di crediti non spettanti ovvero di un credito tributario che, pur certo nella sua esistenza e nel suo ammontare, sia, per una qualche ragione normativa, ancora non utilizzabile o non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra il contribuente e l’Erario, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata ha trovato condivisione nella pronuncia della Sezioni Unite civili n.34452 del 2023 secondo cui la nozione di credito non spettante è individuata in via residuale secondo il disposto di cui all’art. 13, comma 4 cit., nozione che si pone, dunque, in linea di continuità con la citata giurisprudenza e che implica un credito tributario che, pur certo nella sua esistenza e nel suo ammontare, sia, per una qualche ragione normativa, ancora non utilizzabile o non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra il contribuente e l’Erario» mentre è inesistente «il credito del qual non sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi.
6. Nel caso in esame, la non spettanza del credito, in luogo della inesistenza, ritenuta dal giudice di primo grado, è stata argomentata, contrariamente all’assunto difensivo, non già sul rilievo della irrogazione al 30% della sanzione tributaria, ma sulle dichiarazioni testimoniali della dott. COGNOME che ha chiarito a pag. 4, l’utilizzo in compensazione di un’eccedenza d’imposta superiore al credito spettante, ma non qualificabile come credito inesistente, come inizialmente veniva indicato nella segnalazione dell’Agenzia delle entrate, specificando che parte del credito è stato recuperato attraverso comunicazioni di irregolarità e quindi l’utilizzo in compensazione non poteva più essere considerato a fronte delle comunicazioni di irregolarità e sulla base della normativa esistente, sicché pur non potendo essere considerato come utilizzo di credito inesistente esso doveva essere considerato credito non spettante che comportava l’applicazione di una sanzione in misura diversa non più il 100-200% ma il 30%.
Secondo i giudici del merito, il contribuente ha utilizzato in compensazione un credito, certamente, esistente ma non utilizzabile in compensazione per la parte eccedente il limite stabilito dalla legge.
La corte territoriale è pervenuta ad una diversa qualificazione del fatto, per effetto della qualificazione del credito utilizzato come non spettante secondo l’indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità sopra citato, in quan credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, non era utilizzabile nella sua totalità a fronte di una comunicazione di irregolarità e quanto all’elemento soggettivo rilevava che l’imputato aveva portato in compensazione un credito Irpef, negli anni 2015 e 2016, in eccedenza per quanto emergeva dalle stesse dichiarazioni fiscali Modello Unico presentata dal contribuente per C
70.907,00, mentre quello portato in compensazione era per C 290.724,60. In particolare, con riferimento all’Irpef nell’anno 2015, a fronte di un credito indicat in euro 47.755,00, era stato portato in compensazione quello di euro 76.130,77, nell’anno 2016 a fronte di un credito indicato di euro 4383 era stato portato in compensazione quello di euro 133.270,49.
In ragione della evidenza documentale della “non spettanza” dell’ammontare in eccedenza del credito portato in compensazione dall’imputato, evidenza fondata sul raffronto tra le dichiarazioni fiscali e il credito portato in compensazione, no ricorre la nuova causa di non punibilità introdotta all’art. 10 quater, comma 2 bis del d.lgs n. 74 del 2000 ad opera del d.Lvo n. 87 del 2024, secondo cui “la punibilità dell’agente per il reato di cui al co. 1 è esclusa quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito”, non ricorrendo nel caso in esame condizioni di obiettiva incertezza sugli specifici elementi o sulle particolari qualità che fondano la spettanza del credito.
Consegue la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.
La difesa ha, poi, posto con la memoria depositata per l’udienza, la questione della rilevanza, in via retroattiva, della definizione di cui alla lett 4,cp-i, quinquies dell’arerdel d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, come modificato dal d.Lvo n. 87 del 2024 che, secondo la tesi difensiva, non sarebbe applicabile ai procedimenti anteriori alla modifica. Invero, la questione deve essere scrutinata da una diversa prospettiva: ovvero della verifica se il credito non spettante utilizzato dall’imputat in compensazione per eccedenza superiore al credito di imposta esistente, secondo la definizione di matrice giurisprudenziale, sia tutt’ora rientrante nella categori definitoria come introdotta.
Con il nuovo decreto vengono aggiunte, all’art. 1 del D.Igs. 74/2000, delle specifiche definizioni per “crediti inesistenti” (co. 1 lett. g-quater) e per “cre non spettanti” (co. 1 lett. g-quinquies).
Rientrano nella prima categoria i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella discipli normativa di riferimento; i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi d sopra sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici.
Rientrano, invece, nella seconda categoria di “crediti non spettanti”, i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento; i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggett specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ult
elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; i cre utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente
previsti a pena di decadenza.
Ritiene, il Collegio, che la definizione introdotta dal legislatore abbia recepit quella frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, sicchè anche la questione posta
con i motivi nuovi è manifestamente infondata.
L’inammissibilità del ricorso per qualsiasi causa non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod.proc.pen. (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, COGNOME Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De
COGNOME, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, COGNOME) cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della
sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, COGNOME, Rv.
263119).
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 07/03/2025