Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14119 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14119 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a Segrate il 27/08/1991, avverso la sentenza del 09/12/2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria rassegnata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 aprile 2023, il Tribunale di Milano, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, condannava NOME COGNOME alla pena di anni uno di reclusione, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 10quater d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in compensazione di debiti verso l’erario, utilizzava crediti inesistenti (IRES) nell’anno 2017 per l’importo di euro 59.964,94.
Con sentenza del 9 dicembre 2024, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, NOME COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. per vizio di motivazione in ordine alla esistenza dei crediti.
Lamenta la difesa che la inesistenza del credito IRES utilizzato in compensazione era fondata unicamente sull’omessa dichiarazione dei redditi per il periodo di imposta 2017. Sosteneva, per contro, che solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito di imposta vale a determinare o meno la sua esistenza. A ‘fronte dell’orientamento giurisprudenziale che afferma che, per la configurabilità dei crediti inesistenti, deve mancarne il presupposto costitutivo e l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria, nel caso in esame non erano stati svolti accertamenti o indagini in ordine alla inesistenza dei crediti utilizzati in compensazione e detta inesistenza era stata riscontrata attraverso i controlli ex art. 36-ter d.P.R. n. 600/1973.
2.2 Con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 10quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. per vizio di motivazione in ordine alla inesistenza o non spettanza dei crediti.
Deduce, in subordine, la difesa che la fattispecie contestata dovrebbe essere riqualificata nella fattispecie meno grave prevista dall’art. 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, ovverosia la indebita compensazione con crediti non spettanti, allorchè i crediti non spettanti siano stati rilevati attraverso l’attività controllo ex art. 36-bis o 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973, in conseguenza del
confronto tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente.
2.3 Con il terzo motivo, deduce violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 62-bis cod. pen., nonché violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. per vizio di motivazione in ordine alla mitigazione della pena.
Lamenta la difesa la severità del trattamento sanzionatorio e, in subordine, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono manifestamente infondati.
La Corte di appello, nell’affermare che, a fronte dell’utilizzo in compensazione di crediti tributari come desunto dai modelli di pagamento unificato (F24) presentati dalla società per l’anno 2017, sulla base dei dati riscontrabili in anagrafe tributaria, non erano state presentate le dichiarazioni per l’anno di imposta in cui era stata effettuata la compensazione ed anche per il precedente anno di imposta, circostanze anche queste accertate in base ai dati presenti in anagrafe tributaria, ha correttamente ricostruito in diritto gli elementi costitutivi del reato ex art. 10-quater del d.lgs. 74/2000.
E’ stato infatti affermato nella giurisprudenza di legittimità che, ai fini della prova della insussistenza dei crediti portati in compensazione, è sufficiente l’accertamento della omessa dichiarazione nella quale avrebbero dovuto essere indicati i relativi crediti e l’inserimento nel modello F24 dei crediti portati i compensazione (cfr., Sez. 3, n. 3773 del 14/01/2022, Cariddi, non mass., con riferimento alla insussistenza di crediti IVA portati in compensazione); senza che ciò si traduca in una inversione dell’onere della prova, dal momento che, a fronte di una prova idonea dell’elemento oggettivo del reato, il ricorrente non ha allegato alcunchè per dimostrare che i crediti fossero effettivamente esistenti, né che le dichiarazioni fiscali fossero state, anche in epoca successiva alla commissione della condotta contestata, effettivamente presentate.
I crediti utilizzati in compensazione non hanno, infatti, trovano riscontro alcuno in dati contabili, patrimoniali o finanziari, né la loro non veridicità era rilevabile attraverso i controlli automatizzati o formali di cui agli artt. 36-bis 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973, dal momento che detti controlli automatizzati o formali vengono condotti proprio sulla base delle dichiarazioni fiscali, nel caso in esame non presentate.
Ricorrono, pertanto, i requisiti contemplati dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997, che, nella formulazione antecedente alla novella introdotta dal d.lgs. n. 87 del 2024, fornivano la nozione di credito inesistente, precisando che si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972. Giova ricordare che questa Corte, proprio muovendo dal dato normativo appena esposto, ha precisato che “per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza” (Sez. 3, n. 7613 del 21/01/2022, Valori, Rv. 282844; Sez. 3, n. 45558 del 16/11/2022, Poste Italiane, Rv. 284054). Del resto, la qualificazione in termini di inesistenza dei crediti opposti in compensazione non trova ostacolo nella previsione dell’art. 1, comma 1, lett. g-quater, n. 1), d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. 87/2024, che ha ribadito la nozione di credito inesistente, in linea di continuità con la precedente definizione, definendo come tale quel credito di cui siano insussistenti i presupposti costitutivi, vale a dire i requisit oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento.
Né può sostenersi che ci si trova di fronte non ad un credito inesistente, ma ad un credito non spettante, dal momento che l’accertamento non è stato condotto sulla base del confronto tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente, né si tratta di crediti fruiti in misur superiore a quella stabilita dalle norme o per la cui fruizione difettano elementi o particolari qualità richiesti dalla normativa di riferimento.
2. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
Il giudice di primo grado ha già riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e, muovendo dal minimo edittale di un anno e sei mesi di reclusione, ha applicato la massima riduzione di pena consentita per le riconosciute circostanze attenuanti, pervenendo alla pena finale di un anno di reclusione.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione
prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 12/03/2025.