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Credito d’imposta inesistente: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’amministratrice di società, condannata per l’indebita compensazione di un credito d’imposta inesistente per un valore di quasi un milione di euro. La sentenza conferma la sussistenza del dolo, sottolineando l’obbligo di verifica a carico dell’amministratore, e chiarisce che la recidiva reiterata estende notevolmente i termini di prescrizione del reato, respingendo così tutti i motivi di ricorso.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Credito d’imposta inesistente: la Cassazione conferma la condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15472/2025, ha affrontato un caso di indebita compensazione tramite un credito d’imposta inesistente, fornendo chiarimenti cruciali sulla responsabilità penale dell’amministratore e sugli effetti della recidiva sulla prescrizione. La decisione conferma la condanna emessa dalla Corte di Appello di Roma, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputata.

I Fatti del Caso: L’indebita compensazione milionaria

La vicenda riguarda l’amministratrice legale di una società a responsabilità limitata, condannata per aver compensato debiti tributari e contributivi per tre anni consecutivi (dal 2015 al 2017) utilizzando un presunto credito d’imposta per incentivi alla ricerca scientifica. Le verifiche fiscali, tuttavia, hanno rivelato che tale credito, per un totale di quasi un milione di euro, era in realtà del tutto inesistente.

Nonostante la difesa avesse sostenuto la buona fede dell’amministratrice, subentrata nella gestione dopo l’acquisizione di un ramo d’azienda, i giudici di primo e secondo grado l’hanno ritenuta colpevole del reato previsto dall’art. 10 quater del D.Lgs. 74/2000, riconoscendo le attenuanti generiche solo in misura equivalente alla contestata recidiva reiterata e specifica.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte

L’imputata ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Insussistenza del reato: Mancanza dell’elemento oggettivo (il credito non era provato come inesistente) e soggettivo (assenza di dolo).
2. Prescrizione: Maturazione dei termini per il primo episodio delittuoso.
3. Errata qualificazione giuridica: Richiesta di considerare il credito come ‘non spettante’ anziché ‘inesistente’.
4. Errato bilanciamento delle circostanze: Richiesta di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva.

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i punti, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile.

Le motivazioni: la piena prova del credito d’imposta inesistente

La Corte ha stabilito che i giudici di merito hanno correttamente accertato, sulla base delle verifiche dell’Agenzia delle Entrate, la totale assenza del presupposto costitutivo del credito. Non si trattava di un credito esistente ma non utilizzabile (‘non spettante’), bensì di un credito d’imposta inesistente, la cui creazione artificiosa integra il dolo richiesto dalla norma.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’aver acquisito un ramo d’azienda non esonera il nuovo amministratore dal dovere di verificare con diligenza i rapporti giuridici, inclusi i crediti fiscali, in cui subentra. La ripetitività delle compensazioni indebite per più annualità è stata considerata un chiaro sintomo della coscienza e volontà di ingannare il Fisco.

Le motivazioni: la Recidiva allunga la Prescrizione

Uno dei punti più significativi della sentenza riguarda il calcolo della prescrizione. La difesa sosteneva che il reato del 2015 fosse prescritto. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che la recidiva reiterata e specifica, contestata all’imputata, agisce come una circostanza a effetto speciale. Questo comporta l’aumento del termine massimo di prescrizione, che nel caso di specie passa da 7 anni e 6 mesi a 13 anni e 6 mesi. Di conseguenza, il reato commesso nel febbraio 2015 si prescriverà solo nell’agosto 2028.

Le motivazioni: corretto il Giudizio di Equivalenza

Infine, la Corte ha ritenuto immune da censure il giudizio di bilanciamento delle circostanze. La Corte d’Appello aveva correttamente motivato la decisione di considerare equivalenti le attenuanti generiche e l’aggravante della recidiva, valorizzando elementi come la reiterazione del reato per più anni, l’ingente valore degli importi non versati e i precedenti specifici dell’imputata.

Le conclusioni: Le implicazioni della sentenza

Questa pronuncia ribadisce principi fondamentali in materia di reati tributari. In primo luogo, conferma che la distinzione tra credito ‘non spettante’ e credito d’imposta inesistente è netta e si basa sull’esistenza o meno del presupposto giuridico del credito stesso. In secondo luogo, riafferma la responsabilità dell’amministratore, che non può invocare l’ignoranza per giustificare l’utilizzo di crediti fittizi, specialmente se l’operazione è sistematica e protratta nel tempo. Infine, la sentenza serve da monito sull’impatto della recidiva, che può estendere in modo significativo i termini di prescrizione, rendendo più difficile per l’imputato sottrarsi alle proprie responsabilità penali.

Quando un credito d’imposta si considera ‘inesistente’ anziché semplicemente ‘non spettante’?
Un credito è ‘inesistente’ quando manca totalmente il suo presupposto costitutivo, cioè non ha alcuna base legale o fattuale sin dall’origine. È ‘non spettante’, invece, quando il credito esiste ma viene utilizzato in violazione di disposizioni che ne limitano o escludono l’utilizzo.

In che modo la recidiva reiterata e specifica influisce sulla prescrizione del reato di indebita compensazione?
Secondo la Corte, la recidiva reiterata e specifica è una circostanza a effetto speciale che incide sia sul termine minimo che su quello massimo di prescrizione. Nel caso di specie, ha elevato il termine massimo a 13 anni e 6 mesi, posticipando notevolmente la data di estinzione del reato.

L’acquisto di un ramo d’azienda esonera il nuovo amministratore dalla responsabilità per crediti preesistenti risultati falsi?
No. La sentenza chiarisce che l’amministratore che subentra ha il dovere di verificare in modo puntuale tutti i rapporti giuridici, inclusi i crediti fiscali, prima di utilizzarli. Agire diversamente e utilizzare crediti inesistenti configura la responsabilità penale per dolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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