Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28116 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28116 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME, nei confronti di
RAGIONE_SOCIALEamministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata avverso il decreto del Tribunale di Roma – Sezione misure di prevenzione in data 9 ottobre 2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
letta la memoria scritta presentata dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, i quali, nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
Con contratto n. 75 del 25 luglio 2003 e successivo atto aggiuntivo n. 140 del 22 aprile 2005, la RAGIONE_SOCIALE Ministri – Commissario delegato per il superamento dell’emergenza socio-economico-ambientale del bacino idrografico del fiume di Sarno, aveva affidato al RAGIONE_SOCIALE l’appalto dei lavori relativi al Comprensorio Medio Sarno – Sub comprensorio n. 1 – rete collettori al servizio dei comuni di Pompei, Sant’Antonio Abate e Scafati.
1.1. In fase di esecuzione del contratto, in data 16 febbraio 2009, il RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto una lettera di affidamento di alcuni lavori alla RAGIONE_SOCIALE Successivamente, in conformità a quanto stabilito nella lettera di assegnazione, il consorzio, appaltatore e subappaltante, aveva riconosciuto alla RAGIONE_SOCIALE l’importo di 862.000,00 euro a titolo di conguaglio per la partita «materiali a piè opera», a saldo di tutti i crediti maturati «per lavori eseguiti e/o forni effettuate, ogni e qualsiasi onere connesso al cantiere».
1.2. A fronte di ciò, la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto al consorzio il pagamento dell’importo di 348.000 euro, oltre interessi ai sensi del d.lgs. n. 231 del 200 (fattura n. 10/09), nonché, in data 16 ottobre 2009, della somma di 1.495.421,94 euro oltre Iva (fattura n. 127); e al mancato pagamento da parte del consorzio, aveva fatto seguito l’emissione, su ricorso della stessa RAGIONE_SOCIALE, del decreto ingiuntivo n. 709/2011 del 28 gennaio 2011 e del decreto ingiuntivo n. 4058/2011 del 16 giugno 2011, entrambi opposti dal RAGIONE_SOCIALE dinnanzi il Tribunale di Napoli.
1.3. In data 18 maggio 2015, il consorzio era stato oggetto di un sequestro di prevenzione; e per tale ragione, con sentenza n. 10562/2016, depositata in data 29 settembre 2016, il Tribunale partenopeo aveva dichiarato la competenza del Tribunale di Roma – Sezione per le misure di prevenzione a conoscere dei crediti vantati da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del consorzio medesimo.
1.4. Ai sensi degli artt. 57 ss., d.lgs. n. 159 del 2011, la RAGIONE_SOCIALE aveva quindi chiesto al Giudice delegato l’accertamento del proprio credito di 3.066.047,48 euro (di cui 348.000,00 euro per la fattura n. 10/09; 1.495.421,94 euro per la fattura n. 127/09 e 1.222.625,43 euro a titolo di interessi moratori dalla data di scadenza di ogni singola fattura sino a quella dell’istanza, con riserva di aggiornamento sino alla data di effettivo pagamento).
Con decreto del Giudice delegato in data 22 febbraio 2021, la domanda era stata accolta limitatamente al credito di 348.000 euro, oltre interessi ex art. 52, comma 2-bis, d.lgs. n. 159 del 2011, a saldo della fattura n. 10/2009. La parte del credito relativo all’ulteriore fattura n. 127/2009, riguardante talune lavorazion oggetto di contestazione giudiziale presso la Corte di appello di Napoli (RG n. 5810/2017) tra il consorzio e la stazione appaltante (ossia l’RAGIONE_SOCIALE – NOME), la quale non aveva provveduto al pagamento ed era risultata soccombente in primo grado. E dal momento che nella lettera di
assegnazione dei lavori del 16 febbraio 2009 era stato espressamente previsto che «la liquidazione e i pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori eseguiti dall’impres consorziata saranno effettuati dal RAGIONE_SOCIALE entro e non oltre 5 (cinque) giorni lavorativi rispetto alla data di incasso per valuta della committente Stazione Appaltante», il credito della RAGIONE_SOCIALE relativo alla fattura n. 127/2009, secondo il Giudice delegato, non poteva ritenersi né liquido, né esigibile.
1.6. Avverso il predetto provvedimento, la RAGIONE_SOCIALE aveva presentato opposizione, respinta con decreto del Tribunale in data 28 marzo 2022, rispetto al quale non era stato presentato ricorso per cassazione, sicché il relativo provvedimento era divenuto esecutivo, con riferimento a tale società, in data 10 ottobre 2022.
1.7. A seguito della pronuncia della sentenza dalla Corte di appello di Napoli n. 4842/2022 nella causa civile tra l’RAGIONE_SOCIALE liquidazione e il RAGIONE_SOCIALE in persona dell’Amministratore giudiziario, che ha condannato la prima al risarcimento del danno in favore del secondo, la RAGIONE_SOCIALE ha formulato una nuova richiesta di ammissione allo stato passivo del RAGIONE_SOCIALE.
1.8. Con decreto in data 9 ottobre 2023, depositato il 12 ottobre 2023, il Tribunale di Roma – Sezione misure di prevenzione ha però ritenuto inammissibile tale nuova istanza, atteso che il decreto di confisca del RAGIONE_SOCIALE era divenuto esecutivo in data 8 gennaio 2019 e che, pertanto, il termine previsto per la presentazione delle domande tardive di accertamento del credito era ormai spirato, senza che la sentenza della Corte di Napoli in data 19 ottobre 2022 potesse incidere sulla disciplina dell’accertamento del credito dei terzi come delineata dagli artt. 57 ss., d.lgs. n. 159 del 2011.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento per mezzo dei difensori di fiducia, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, deducendo otto distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 58, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011, per avere il Tribunale dichiarato tardiva la domanda di ammissione allo stato passivo sull’erroneo presupposto che il dies a quo del termine decadenziale annuale coincidesse con 1’8 gennaio 2019, giorno della esecutività della confisca. In realtà, in base all’art. 58, comma 5, d.lgs. n. 159 de 2011, come modificato dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161, il termine di un anno per la presentazione delle domande c.d. tardive (cioè posteriori rispetto alla formazione dello stato passivo definitivo) non sarebbe ancorato alla definitività del
provvedimento di confisca, bensì del provvedimento che dichiara esecutivo lo stato passivo. E dal momento che, nel caso di specie, quest’ultimo era intervenuto in data 10 ottobre 2022, il termine annuale non avrebbe potuto essere ritenuto decorso alla data della domanda di ammissione, depositata il 10 maggio 2023. La RAGIONE_SOCIALE ha, inoltre, sottolineato che ove si sostenesse che il predetto dies a quo coincida con la data di deposito del decreto di formazione dello stato passivo del giudice delegato, pur ancora soggetto a impugnazione ordinaria, l’eventuale durata ultrannuale del giudizio di opposizione allo stato passivo finirebbe per penalizzare il creditore, precludendogli la riproposizione della domanda di ammissione allo stato passivo entro il termine decadenziale annuale, con violazione degli artt. 24 Cost. e 6 CEDU. Nel caso in esame, peraltro, non potrebbe imputarsi alla VA.FRA alcun colpevole ritardo, posto che una prima domanda di ammissione al passivo era stata tempestivamente presentata il 3 maggio 2019, benché fosse stata accolta solo in parte. Alla società non potrebbe, perciò, imputarsi alcuna colpa nell’avere fatto legittimo affidamento sulla ratio decidendi e sulle indicazioni ricevute dal Tribunale di Roma, che avrebbe ravvisato nella pendenza della causa civile di appello tra la stazione appaltante e il consorzio debitore una condizione temporaneamente ostativa alla ammissione allo stato passivo del diritto di credito vantato dalla VA.RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 96, comma 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e del divieto di bis in idem, per avere il Tribunale ritenuto che l’esame della domanda di ammissione allo stato passivo fosse precluso dal passaggio in giudicato, in data 10 ottobre 2022, del decreto di rigetto della opposizione allo stato passivo in data 28 marzo 2022.
In realtà, la regiudicata maturata in seguito alla opposizione allo stato passivo produrrebbe una efficacia preclusiva soltanto con riferimento all’elemento della fattispecie che il giudice ha ritenuto carente, ovvero la non liquidità ed esigibili del credito, laddove il fatto sopravvenuto, costituito dal passaggio in giudicato della citata sentenza della Corte di appello di Napoli, sarebbe idoneo a integrare tale elemento di fattispecie. Dunque, la prima pronuncia sarebbe avrebbe decretato un rigetto solamente «allo stato», certificando la temporanea inaccoglibilità della domanda in ragione della pendenza in grado di appello della causa civile ritenuta pregiudicante. Una volta sopravvenuta la decisione sul processo relativo alla causa pregiudicante, quello sulla causa pregiudicata sarebbe in grado di riprendere il suo corso (così Cass. civ., Sez. U, 19 giugno 2012, n. 10027), sicché il Tribunale di Roma avrebbe dovuto prendere atto dell’esito della causa civile pregiudicante e pronunciarsi nuovamente nel merito sulla domanda di ammissione allo stato passivo.
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2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 57 ss., d.lgs. n. 159 del 2011, nonché la mera apparenza della motivazione, per avere il Tribunale affermato la irrilevanza del giudicato civile nel procedimento di accertamento dei crediti dei terzi, statuendo espressamente che «la sentenza della Corte di Napoli emessa in data 19 ottobre 2022 non può incidere sulla disciplina dell’accertamento del credito dei terzi come delineata dagli artt. 57 ss. d.lvo 159/11» (pag. 3, righe 9-10). Contraddicendo la propria decisione nel giudizio di opposizione allo stato passivo, ove era stato ritenuto che la domanda non potesse essere accolta a causa della pendenza della causa civile, il Tribunale avrebbe ritenuto che la sopravvenuta pronuncia della Corte di appello sarebbe irrilevante, poiché inidonea a «incidere» sul procedimento di accertamento dei crediti in base al codice antimafia. Premesso che tale motivazione sarebbe stata resa ad abundantiam, sicché la relativa impugnazione sarebbe inammissibile (così Cass. civ., Sez. U, 20 febbraio 2002, n. 3840), il ricorso deduce che il Tribunale abbia compiuto una pedissequa e inconferente ri-trascrizione di «veri e propri lacerti» di Sez. U, n. 39608 del 3/09/2018, attinente alla diversa questione del termine entro il quale i creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati all’esi procedimenti di prevenzione devono presentare la domanda di ammissione del loro credito. In realtà, dal momento che il codice antimafia, diversamente da quanto previsto dall’art. 96 legge fall. e dall’art. 204, d.lgs. 14 del 2019, n contempla un meccanismo di ammissione allo stato passivo con riserva, gli accertamenti del giudice civile potrebbero essere valutati da quello della prevenzione come uno degli elementi di cui tener conto nella decisione, ma senza valore vincolante (così Sez. 2, n. 24311 del 23/06/2022, COGNOME, in motivazione).
2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà della motivazione per avere il Tribunale affermato la irrilevanza del giudicato civile e al contempo espressamente aderito al proprio precedente rigetto della opposizione allo stato passivo, motivato sulla esigenza di attendere l’esito della causa civile di appello. Dopo avere riportato, in esordio, «uno stralcio» (pag. 1) della motivazione del precedente rigetto della opposizione allo stato passivo, facendo mostra di condividerne le ragioni, il Tribunale riterrebbe inammissibile la domanda di insinuazione, benché essa sia stata riproposta proprio in ragione del sopravvenuto giudicato civile, che in precedenza si era ritenuto necessario attendere.
2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 57 ss., d.lgs. 159 del 2011, 1359, 1362 ss. e 1421 cod. civ., 7, d.lgs. n. 231 del 2002, per avere il Tribunale dichiarato inesigibile il diritto di credito della RAGIONE_SOCIALE sulla base del mancato incasso del corrispettivo da parte del consorzio sub-appaltatore, cui
secondo la già menzionata clausola contrattuale sarebbero stati condizionati la liquidazione e i pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori da parte del consorzio.
In realtà, secondo la giurisprudenza di legittimità, la mancata verifica del previo incasso da parte del consorzio non osterebbe all’esigibilità del credito, atteso che la clausola citata prevedrebbe, più che una condizione per il pagamento, solo la tempistica dello stesso, sicché l’accordo avrebbe effetto meramente dilatorio. Il Tribunale capitolino, in violazione di un basilare criterio ermeneutic avrebbe interpretato la clausola come diretta a istituire una «condizione» in senso tecnico ex art. 1359 cod. civ., che renderebbe il diritto al corrispettivo del subappaltatore del tutto aleatorio poiché condizionato a un avvenimento futuro e incerto quale lo spontaneo pagamento del corrispettivo da parte della committente a favore dell’appaltatore sub-appaltante. In realtà, nel caso di specie: a) i pagamento del corrispettivo sarebbe divenuto impossibile, avendo la committente stragiudizialmente risolto il contratto e avendo il giudice civile, su domanda dell’appaltatore, pronunciato la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento della committente, con sentenza confermata dalla Corte di appello di Napoli; b) la condizione dovrebbe ritenersi irrimediabilmente affetta da nullità sostanziale ove volta a condizionare la esigibilità del diritto al corrispettivo pe lavori all’adempimento spontaneo da parte del committente, tenuto conto che l’art. 7, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, in attuazione della Direttiva 2000/35/Ce prevede la sanzione della nullità per ogni pattuizione con la quale «l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento a esso concessi». Per queste ragioni, la condizione di pagamento della committenza sarebbe inopponibile al creditore del sub-appaltante, specie quando quest’ultimo fronteggi il rischio di perdere il diritto a concorrere al ricavato della vendita beni del consorzio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.6. Con il sesto motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 24 Cost., per avere il Tribunale addossato sul subappaltatore il rischio della mancata prova dell’incasso del corrispettivo da parte del consorzio subappaltatore, benché si trattasse di un fatto esterno alla sfera di conoscibilità dell deducente, che il giudice delegato avrebbe potuto accertare ricorrendo ai poteri istruttori d’ufficio attribuitigli dall’art. 59, comma 10, d.lgs. 159 del 2011.
2.7. Con il settimo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la grave insufficienza della motivazione per avere il Tribunale omesso di valutare che il consorzio aveva conseguito il pagamento del corrispettivo, con conseguente piena esigibilità del diritto di credito della sub appaltatrice deducente. Nelle more del giudizio civile di appello, il consorzio avrebbe incassato, salvo conguaglio, il corrispettivo pattuito con la stazione
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appaltante, condannata al risarcimento del danno e alla rifusione del costo delle opere eseguite dal consorzio, secondo quanto risulterebbe dalla statuizione con cui la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 4842/2022 depositata il 17 novembre 2022, ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli favorevole al consorzio, da cui emergerebbe il versamento in adempimento del SAL.
2.8. Con l’ottavo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 11 disp. prel. cod. civ. per avere il Tribunale ritenuto applicabile retroattivamente l’art. comma 2-bis, d.lgs. n. 159 del 2011 in relazione alla statuizione secondo cui gli interessi sarebbero dovuti in base a tale disposizione. Essa, nondimeno, non sarebbe stata applicabile ratione temporis, essendo stata introdotta dalla legge 27 dicembre 2013, n. 41 ed essendo in vigore dal 10 gennaio 2014, laddove il diritto di credito della deducente nei confronti del consorzio sarebbe sorto in epoca anteriore, portando la fattura n. 127/09 la data del 16 ottobre 2009, sicché la norma sarebbe inapplicabile in virtù dell’art. 11 disp. prel. cod. civ. In ogni caso essa, testualmente, impedirebbe solo di «riconoscere», in sede distributiva, gli interessi eccedenti il tasso soglia fissato dalla Banca d’Italia in relazione al panier stipulativo di titoli di debito pubblico (c.d. RAGIONE_SOCIALE), sicché non potrebb precludere al giudice delegato di accertare la esatta entità del credito agli interessi convenzionali e moratori maturati dal terzo creditore.
In data 15 febbraio 2024 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del AVV_NOTAIO generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
3.1. Con essa si premette che il Tribunale avrebbe errato nell’applicazione del comma 5 dell’art. 58, posto che il termine di un anno per la presentazione delle domande c.d. tardive non sarebbe ancorato alla definitività del provvedimento di confisca, ma al provvedimento che dichiara esecutivo lo stato passivo. Pertanto, dal momento che la domanda è stata proposta il 10 maggio 2023, essa sarebbe tempestiva. Tuttavia, la società ricorrente avrebbe dovuto impugnare l’errato provvedimento di rigetto, ricorrendo in cassazione per non avere esso disposto l’ammissione al passivo con riserva, la quale sarebbe venuta meno con il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello di Napoli. L’avere consentito che un provvedimento “errato” divenisse irrevocabile con il suo passaggio in giudicato avrebbe precluso la possibilità di riproporre la domanda.
3.2. Per le istanze di ammissione allo stato passivo delle misure di prevenzione dovrebbe farsi riferimento all’art. 96, legge fall., atteso che la relativa discipl della verifica dello stato passivo è espressamente mutuata dalla verifica fallimentare. Tale disposizione, in parte abrogata dall’art. 6, d.lgs. del 1 settembre 2007, n. 169, non consentirebbe la riproposizione della stessa
domanda, ma solo la presentazione di istanze tardive, tra le quali quelle aventi ad oggetto i «crediti condizionali» ex art. 55 legge fall. (tra cui quelli che non possono farsi valere nei confronti del fallito se non previa escussione del debitore principale); categoria in cui entrerebbe quella dei «crediti condizionati», come quello della VA.RAGIONE_SOCIALE Pertanto, quest’ultima avrebbe dovuto impugnare l’iniziale provvedimento di ammissione con riserva, mediante l’opposizione allo stato passivo di cui all’art. 98 legge fall.; e non avendovi proceduto, avrebbe ora realizzato l’inammissibile riproposizione di una istanza già respinta.
Né potrebbe condividersi l’ulteriore assunto difensivo circa la «pregiudizialità» della causa civile causa rispetto all’altra, secondo l’analisi delle Sezioni unite civ in tema di «causa pregiudicante e causa pregiudicata» (Cass. civ., Sez. U, n. 10027 del 19/06/2012, COGNOME contro NOME, Rv. 623042 – 01), di tal che la novità rispetto alla prima domanda andrebbe individuata nella impossibilità di ammissione allo stato passivo per un credito non esigibile a causa della condizione di illiquidità del consorzio. Secondo il AVV_NOTAIO generale, le Sezioni unite civil avrebbero affrontato una fattispecie affatto diversa, in cui, in grado di appello, v era, da una parte, il giudizio dichiarativo del riconoscimento di paternità naturale e, dall’altra, un giudizio che su tale base aveva accolto la domanda di petizione di eredità. Nel caso in esame, invece, si sarebbe al cospetto non di due diritti diversi, ma dello stesso credito, chiesto due volte allo stesso giudice.
3.3. Con riferimento al terzo e al quarto motivo di ricorso, qualsivoglia motivazione spesa dal Collegio di prevenzione, al di là della mera presa d’atto della impossibilità di riproporre la domanda, sarebbe stata ultronea. Pur ipotizzando che il Collegio si fosse soffermato sulla effettività del credito attuale, non avrebb potuto in alcun modo modificare un provvedimento di rigetto emesso in relazione a quel credito e mai impugnato.
3.4. Quanto al quinto motivo, la trascrizione di parte della motivazione del provvedimento impugnato non implicherebbe, automaticamente, l’adesione alla motivazione del primo giudice, essendo stata riportata per evidenziare l’identità della domanda, sottolineando come il primo giudice si sia occupato dello stesso credito riproposto al suo cospetto e che, dunque, tale riproposizione risultava inammissibile in quanto la precedente decisione era passata in giudicato. Pertanto, non sarebbe possibile censurare, in questa sede, un provvedimento non più emendabile dal giudice superiore, perché ormai in giudicato, non potendo la RAGIONE_SOCIALE essere rimessa in termini per fare valere censure non dedotte a tempo debito.
3.5. Quanto al sesto motivo, con cui la RAGIONE_SOCIALE si duole che il Tribunale abbia addossato al ricorrente la mancata prova dell’incasso, la RAGIONE_SOCIALE censura, a mezzo dell’impugnazione del secondo rigetto, la motivazione del primo. Di conseguenza, il fatto decisivo che il consorzio avesse conseguito il pagamento del corrispettivo
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con conseguente piena esigibilità del credito da parte della RAGIONE_SOCIALE, continuerebbe ad essere elemento non dirimente per l’odierna richiesta di annullamento.
In data 6 marzo 2024 gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori della RAGIONE_SOCIALE, in replica alla requisitoria del AVV_NOTAIO generale hanno osservato quanto segue.
4.1. Sul primo motivo, il AVV_NOTAIO generale avrebbe colto l’error in procedendo in cui sarebbe incorso il Tribunale nel dichiarare intempestiva la domanda di VA.RAGIONE_SOCIALE
4.2. Sul secondo motivo, la tesi secondo cui la ricorrente avrebbe dovuto impugnare con ricorso per cassazione il primo decreto di rigetto dell’istanza di ammissione del credito non terrebbe conto dell’orientamento di legittimità secondo cui l’art. 96 legge fall., che consente la ammissione con riserva di crediti litigi non ancora oggetto di accertamento definitivo, «ha natura pacificamente eccezionale» e secondo cui «nel codice antimafia (…) una norma come quella dell’art. 96, comma 1, n. 3, legge fall. e dell’art. 96, comma 3, L. Fall. prev. no è contemplata» (Sez. 2, n. 24311 del 23/06/2022, COGNOME, in motivazione; Cass. civ., Sez. 2, n. 3804 del 7/02/2022). Pertanto, la ricorrente non avrebbe avuto altra strada se non attendere l’accertamento giurisdizionale del suo diritto da parte del giudice civile, per ottenere la ammissione del suo credito allo stato passivo, una volta che fosse stato giudizialmente accertato.
Se anche la prospettazione del AVV_NOTAIO generale fosse condivisibile, si tratterebbe di un caso prospective overruling, che consente al giudice di modificare un precedente di diritto solo per il futuro, ostando all’applicazione retroattiva del regola l’ostacolo del giusto processo e il divieto di applicazione retroattiva dell legge, che dovrebbe valere anche per l’interpretazione giurisprudenziale (Cass. civ., Sez. 3, 27/12/2023, n. 36108).
I precedenti citati dal AVV_NOTAIO generale riguarderebbero, quanto a Sez. 2, n. 7064 del 12/01/2021, COGNOME, l’individuazione della competenza sull’opposizione avverso il rigetto dell’istanza di ammissione allo stato passivo del tribunale collegiale, ma non l’ammissione con riserva di crediti litigiosi; quanto a Cass. civ. Sez. 1, n. 21813 del 20/07/2023, A. contro T., la ammissione con riserva, oltre che dei crediti litigiosi, anche dei crediti condizionati nella procedura fallimentar quanto a Cass. civ., Sez. 1, n. 20068 del 21/06/2022, V. contro C., la legittimazione a impugnare il decreto di scioglimento della riserva del curatore e degli altri creditori concorsuali che vedano sciolta la riserva in senso a lor favorevole.
Infine, dal momento che la statuizione su una questione di rito – come quella di negare la ammissione con riserva del credito incerto nell’an e nel quantum dà luogo soltanto al giudicato formale e ha effetto limitato al rapporto processuale
nel cui ambito è emanata, la riproposizione della domanda in altro giudizio non avrebbe dovuto essere preclusa.
4.3. Sui motivi terzo e quarto, che secondo il AVV_NOTAIO generale sarebbero non decisivi giacché relativi a una «motivazione inutile, del tutto ultronea», si deduce che essi dovrebbero essere assorbiti, una volta accolti i primi due.
4.4. Sul quinto motivo, relativo alla violazione di legge in cui sarebbe incorso il Tribunale nell’appropriarsi della motivazione del precedente di rigetto della precedente istanza, si osserva che la tecnica della motivazione per relationem non potrebbe ritenersi mai legittima «se il contenuto dell’atto riportato a scopo motivazionale non è idoneo e sufficiente a sostenere la decisione» (Sez. U, 16/01/2015, n. 642).
4.5. Sul sesto motivo, che denuncia la violazione della regola dell’onere della prova, per avere il Tribunale addossato sulla ricorrente l’onere di provare un fatto al di fuori della sfera di conoscibilità del sub-appaltatore, la violazione dell’ 2697 cod. civ. e del principio di vicinanza alla prova si configurerebbe a prescindere da eventuali iniziative istruttorie del giudice nei confronti della parte essendo stat denunciato il vizio in iudicando.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
L’adozione di misure di prevenzione aventi ad oggetto beni di cui il proposto abbia disponibilità incide sull’area di garanzia per gli eventuali creditori costitu dal suo patrimonio e può, dunque, pregiudicare la legittima aspettativa al soddisfacimento delle relative pretese. Per tale ragione, il titolo IV del d.lgs. settembre 2015, n. 159 prevede, agli artt. 52 ss., nell’ambito del procedimento che, attraverso il sequestro, è diretto alla confisca dei beni del proposto, una procedura incidentale finalizzata all’accertamento e all’immediato soddisfacimento dei diritti vantati da terzi nei suoi confronti.
2.1. Benché esso sia intitolato alla «tutela dei terzi», a riprova della scelta de legislatore di farsi carico di interessi dei privati, ritenendo meritevole di tutela quanto valore anche pubblicistico, l’affidamento nei rapporti economico-giuridici, il titolo IV riconosce, al secondo periodo del comma 1 dell’art. 45, una tutela dei diritti dei terzi soltanto «entro i limiti e nelle forme» che lo stesso contempla, particolare al capo II, ovvero agli artt. 57 ss., concernenti «l’accertamento dei diritti dei terzi».
Come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 datata 11 febbraio 2015, il d.lgs. d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ha «introdotto un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, imperniato su
un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e sull successiva formazione di un ‘piano di pagamento’, secondo cadenze mutuate in larga misura dai corrispondenti istituti previsti dalla legge fallimentare». U sistema che, secondo la Corte, «rappresenta il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materia si contrappongono: da un lato, l’interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall’altro, l’interesse pubblico ad assicurare l’effettività della misura di prevenzio patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare destinatario dei risultati economici dell’attività illecita».
Nella stessa prospettiva, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 26 del 27 febbraio 2019, ha osservato che «la giusta esigenza di evitare manovre collusive con il debitore sottoposto a procedimento di prevenzione – manovre in ipotesi finalizzate a porre in salvo una parte dei suoi beni dalla prospettiva del sequestro e della successiva confisca – può essere soddisfatta attraverso la verifica [. delle condizioni già imposte in via generale dall’art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011 per il soddisfacimento dei diritti di credito dei terzi».
Dunque, il titolo IV del d.lgs. d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 intende realizzare un ponderato bilanciamento tra due contrapposti interessi – da una parte, quello dei creditori e, dall’altra parte, quello dello Stato – attraverso una procedura accertamento volta a impedire «manovre collusive» tra eventuali apparenti creditori e il proposto apparente debitore: procedura che devolve ampi poteri istruttori e valutativi al giudice della prevenzione.
2.2. In tale prospettiva, l’art. 57, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 stabilisce che l’amministratore giudiziario debba allegare alle relazioni da presentare al giudice delegato l’elenco nominativo di tutti i creditori anteriori sequestro, ivi compresi quelli di cui all’art. 54-bis, con l’indicazione dei credit delle rispettive scadenze e con l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali di godimento o garanzia o diritti personali sui beni, indicando le cose stesse e il titolo da cui sorge il diritto. Quindi, secondo quanto previsto dal comma 2, i giudice delegato, dopo il deposito del decreto di confisca di primo grado, deve assegnare ai creditori un termine perentorio, non superiore a sessanta giorni, per il deposito delle istanze di accertamento dei rispettivi diritti, fissando poi la d dell’udienza di verifica dei crediti entro i sessanta giorni successivi. Il relat decreto è immediatamente notificato agli interessati, a cura dell’amministratore giudiziario. Il successivo art. 58, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che i creditori debbano depositare le loro domande di accertamento dei rispettivi diritti entro il termine perentorio, prima ricordato, di cui all’art. 57, comma 2. Tuttavia, lo stesso comma 5, al secondo periodo, facendosi carico della possibilità che non tuttt le domande possano essere tempestivamente presentate, contempla la
possibilità di presentare altre domande, relative a crediti ulteriori, entro un ann dal deposito del decreto che dichiara esecutivo lo stato passivo, purché essi dimostrino, a pena di inammissibilità della richiesta, di non aver potuto presentarla tempestivamente per una causa ad essi non imputabile. Il giudice delegato, secondo la previsione dell’art. 57, comma 3, fissa per l’esame delle domande tardive un’udienza ogni sei mesi, salvo che sussistano motivi d’urgenza; e al relativo procedimento si applica l’art. 59.
Ora, presupposti e ampiezza dei poteri istruttori e valutativi del giudice della prevenzione – questi ultimi in rapporto a quelli del giudice competente ad affermare l’esistenza e l’esigibilità del credito – sono oggetto di differen ricostruzione da parte della giurisprudenza di legittimità, a comporre un quadro interpretativo tutt’altro che armonico.
3.1. Secondo un primo indirizzo esegetico, infatti, dal momento che l’art. 52, comma 1, precisa che il credito in questione deve risultare da un «atto» avente data certa anteriore al sequestro, in assenza di una pronunzia definitiva che accerti, in sede civile o in sede penale, l’esistenza del credito risarcitorio portatore di simile pretesa non può insinuarsi al passivo della confisca di prevenzione, per assenza del presupposto della «certezza» del credito, ossia della base documentale avente data certa anteriore al sequestro (così Sez. 6, n. 45115 del 13/10/2015, COGNOME, non massimata, nonché Sez. 1, n. 22222 del 26/01/2022, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in motivazione, ove si afferma che la disposizione in esame sembra improntare il sistema di verifica delle posizioni creditorie secondo uno schema proprio dei rapporti contrattualistici, come appare confermato dal richiamo alla condizione soggettiva di buona fede, parametrato alla ricostruzione della relazione pre-contrattuale intervenuta tra il creditore e soggetto portatore di pericolosità).
Secondo tale prospettiva, nel procedimento disciplinato dagli artt. 52 e ss. d.lgs. n. 159 del 2011 il legislatore non avrebbe previsto un generale potere di accertamento dell’esistenza della posizione creditoria potenzialmente incisa dalla confisca in capo al giudice della prevenzione, ma un più specifico e circoscritto potere di verifica delle condizioni che governano l’ammissione della domanda, essenzialmente sulla base di una produzione documentale attestante i fatti costitutivi del vantato credito, che devono essere prodotti dal creditore istante con la domanda proposta ai sensi dell’art. 58, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 159 del 2011. Di conseguenza, quando si deduca che il credito scaturisca da un rapporto oggetto di contestazione giudiziale, il documento giustificativo va identificato nell decisione cognitiva di accertamento della sussistenza del dedotto rapporto e dell’ammontare del credito allegato come sussistente (Sez. 1, n. 14214 del 15/12/2022, dep. 2023, Confl. comp. in proc. Ferri, Rv. 284506 – 01); di tal che
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l’accertamento del credito del lavoratore istante, ancora non compiuto e oggetto di contestazione, appartiene funzionalmente al giudice del lavoro, non potendo la verifica del giudice della prevenzione tener luogo della procedura cognitiva sull’an e sul quantum del credito, anche in ragione della struttura semplificata del contraddittorio, di natura essenzialmente cartolare, che si svolge nel procedimento ammissivo del credito, regolato dall’art. 59 d.lgs. n. 159 del 2011. Nella stessa direzione, si è precisato che, ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti dei ter aventi natura extracontrattuale, l’esistenza delle posizioni creditorie in dat antecedente al sequestro deve risultare accertata in virtù di un separato giudizio di cognizione da parte del giudice competente, rispetto al cui esito il giudice della prevenzione è tenuto alla verifica, ex art. 59 d.lgs. cit., delle condizioni ammissione del credito sulla base dei documenti attestanti il fatto illecito che vi ha dato luogo (Sez. 1, n. 22222 del 26/01/2022, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 283123 – 01). E, ancora, che, ai fini dell’ammissione allo stato passivo, il giudice della confisca, in assenza di una disposizione di legge che estenda in modo generalizzato il suo ambito di intervento, è vincolato agli esiti dell’accertamento definitivo in sede civile sull’an e sul quantum del credito, impregiudicata la susseguente analisi di propria competenza, tenuto conto dell’esercizio del potere di verifica della strumentalità del credito rispetto alla attività ille dell’insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore (Sez. 1, n. 4691 del 28/01/2020, Francia, Rv. 278189 – 02).
3.2. Altro orientamento interpretativo, invece, riconosce al giudice della prevenzione poteri istruttori e di valutazione incidentale sostanzialmente autonomi rispetto a quelli del giudice civile. Ciò in quanto il giudizio di verifica crediti ai sensi dell’art. 59, d.lgs. 159 del 2011, volto ad accertare l’estraneità diritti di credito all’attività illecita, comporta l’attribuzione al giudic prevenzione di poteri officiosi, funzionali all’accertamento di tale presupposto (Sez. 2, n. 46099 del 13/09/2023, COGNOME, Rv. 285821 – 01, la quale ha ritenuto rilevabile di ufficio la prescrizione presuntiva del credito relativamente al qual venga avanzata istanza di ammissione; in termini anche Sez. 2, n. 24311 del 1/04/2022, COGNOME, Rv. 283626 – 01, secondo cui, in ragione dell’autonomia dell’accertamento endo-prevenzionale, la devoluzione al giudice delegato dal tribunale di prevenzione della verifica ex artt. 52 e ss. d.lgs. 6 settembre 2011, n. 150, dei crediti e dei diritti dei terzi, fa sì che ove siano pendenti giudiz impugnazione ai sensi dell’art. 98 legge fall., relativi a crediti e a diritti iner rapporti oggetto del sequestro di prevenzione, prevalga l’accertamento interno a tale procedimento). 4/1
A fronte di un quadro interpretativo che si connota in termini certamente non lineari e univoci, non può tuttavia non osservarsi che, in ogni caso, ciò che
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rileva nel caso di specie è che l’odierno ricorso non è in grado di superare uno dei profili di inammissibilità della nuova domanda di ammissione allo stato passivo.
4.1. Si è detto che, sotto un primo profilo, il Tribunale ha ritenuto che la nuova istanza di ammissione al passivo fosse intempestiva, ritenendo che il termine di un anno per la presentazione delle domande c.d. tardive, previsto dal comma 5 dell’art. 58 del d.lgs. n. 159 del 2011, decorresse dal momento in cui il provvedimento di confisca era divenuto definitivo, nella specie individuabile nell’8 gennaio 2019.
In realtà, come condivisibilmente dedotto dalla parte ricorrente con il primo motivo di ricorso e come rilevato anche dal AVV_NOTAIO generale in sede di requisitoria, il suddetto termine decorre dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo predisposto dal giudice delegato (Sez. 2, n. 4884 del 16/12/2022, dep. 2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284069 – 01). La chiara formulazione testuale del comma 5 dell’art. 58, infatti, pone il relativo dies a quo in corrispondenza del deposito del provvedimento che dichiara esecutivo lo stato passivo, il quale, nel caso qui esaminato, va collocato alla data del 10 ottobre 2022, secondo quanto specificato dallo stesso provvedimento impugnato a foglio n. 3. Ne consegue che, essendo stata l’istanza presentata in data 10 maggio 2023, il termine annuale, che scadeva il 9 ottobre 2023, avrebbe dovuto ritenersi pienamente rispettato. Ma ciò nell’ipotesi, qui non ricorrente, che si versasse effettivamente in un caso di domanda tardiva.
4.2. Infatti, e la circostanza introduce l’ulteriore profilo di inammissibilità in rilievo, la domanda iniziale non poteva essere classificata alla stregua di una domanda «tardiva», come correttamente osservato dal AVV_NOTAIO generale in sede di requisitoria scritta. Nel caso di specie, infatti, quella proposta dalla socie ricorrente non poteva configurarsi come una «nuova» domanda di ammissione allo stato passivo formulata in relazione a un «ulteriore credito», secondo la dicitura dell’art. 58, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011; quanto piuttosto come la reiterazione della medesima richiesta, dotata del medesimo petitum e della medesima causa petendi, in precedenza già respinta dal Giudice delegato e, in sede di opposizione, dal Tribunale, non potendo condividersi la prospettazione difensiva secondo cui il rigetto della richiesta di ammissione al passivo di un credito incerto nell’an e nel quantum configurerebbe una mera questione di rito, essendo essa una decisione di merito sul profilo sostanziale della domanda.
Ne consegue che la richiesta in parola non può essere assoggettata al regime delle domande «tardive», essendosi al cospetto della medesima istanza sulla quale si era formato il giudicato; ciò che, ovviamente, preclude la possibilità di una sua riproposizione.
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In altri termini, la RAGIONE_SOCIALE, dinnanzi all’opposizione al decreto ingiuntivo a suo tempo formalizzata da parte del RAGIONE_SOCIALE, avrebbe potuto intraprendere due strade.
La prima, a fronte dell’originaria reiezione della richiesta di opposizione all stato passivo da parte del Tribunale, consisteva in un eventuale ricorso per cassazione avverso tale decisione, attraverso il quale dedurre l’illegittimità di un rigetto fondato sulla asserita inesigibilità del credito ed eventualmente insistendo, alla stregua del secondo dei due orientamenti richiamati, su un eventuale accertamento da parte del giudice della prevenzione slegato da quello che, parallelamente, si svolgeva davanti al giudice civile.
La seconda opzione consisteva nell’attendere la definizione della causa civile senza formalizzare alcuna richiesta di opposizione al passivo e nel presentare una domanda tardiva, nei termini previsti dal comma 5 dell’art.58, una volta che sulla relativa questione, come poi avvenuto, fosse intervenuta una pronuncia definitiva.
Nessuna delle due possibili soluzioni è stata, però, intrapresa.
Non la prima, non avendo la società proposto alcun ricorso per cassazione sulla prima decisione, secondo quanto specificato alla pag. 3 del provvedimento oggi impugnato. Non la seconda, attesa la riproposizione, con l’atto introduttivo del presente procedimento davanti al Giudice delegato, della medesima domanda in precedenza già respinta.
Ne consegue, pertanto, che l’istanza in questione, al di là della sua non corretta qualificazione come domanda tardiva, non avrebbe potuto essere riproposta.
5. Consegue alle considerazioni che precedono che le ragioni articolate con il secondo motivo devono ritenersi, complessivamente, infondate e che gli ulteriori profili di doglianza, prospettati con gli altri motivi di ricorso, devono ess anch’essi respinti in quanto logicamente assorbiti da quelli che precedono. Ciò è a dirsi per il terzo e il quarto motivo di ricorso, con cui la ricorrente lamenta che decreto impugnato sarebbe affetto da motivazione apparente nell’affermare l’irrilevanza del giudicato civilistico, atteso che una volta dichiara l’inammissibilità della domanda già respinta, ogni ulteriore argomentazione avrebbe, comunque, perso di rilievo. E a identiche conclusioni deve pervenirsi sia con riferimento al quinto motivo, con cui la RAGIONE_SOCIALE lamenta il ricorso alla tecnica della «ri-trascrizione», che peraltro nel caso qui considerato era funzionale a porre in luce che la «nuova» domanda era in realtà la stessa; sia in relazione al sesto motivo, con cui la RAGIONE_SOCIALE, nel censurare che il Tribunale abbia posto in capo alla società ricorrente «la prova della mancata prova dell’incasso», finisce in realtà per dolersi della motivazione del primo provvedimento, avverso il quale non fu proposto ricorso per cassazione; sia con riguardo al settimo motivo, nella parte in cui si deduce che il decreto avrebbe erroneamente omesso di considerare che il
consorzio aveva conseguito il pagamento del corrispettivo, con conseguente piena esigibilità del credito da parte della RAGIONE_SOCIALE e all’ottavo motivo, concernente la disciplina da applicare agli interessi maturati dal terzo creditore: profili che ricorrente, come già osservato, avrebbe eventualmente dovuto far valere nel primo procedimento, coltivando la relativa impugnazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 20 marzo 2024
Il Consigliere estensore