Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30449 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30449 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 01/12/2023 del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con l’ordinanza impugnata in questa sede, ha dichiarato inammissibile la domanda di ammissione al passivo depositatain data 27 maggio 2022 dalla RAGIONE_SOCIALE, ai sensi degli artt. 1, comma 199, I. 228/2012, 52 e 59 d. Igs. 159/2011, relativamente ai crediti chirografari vantati nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
La domanda concerneva il credito relativo alle somme non pagate dall’RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE, che si era resa cessionaria dei crediti della società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’ente pubblico sanitario, con contratti di RAGIONE_SOCIALE stipulati nell’anno 2002; il
mancato pagamento era scaturito dall’accertamento dell’inesistenza dei crediti ceduti alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, all’esito del giudizio civile instaurato dalla socie ricorrente nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE; in relazione a quell’evento la società cedente aveva prestato la garanzia in ordine all’esistenza del credito, discendendo il diritto della società ricorrente alla restituzione delle somme non riscosse dal debitore, per effetto delle decadenza del cedente dal beneficio pro soluto, decadenza prevista nei contratti di RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Il Tribunale rilevava che la domanda di ammissione era stata depositata oltre il termine di 180 giorni decorrente dalla data (10 maggio 2013) in cui era divenuta definitiva la confisca della società RAGIONE_SOCIALE o, comunque, dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 27 febbraio 2019 (con cui era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 198, I. 24/2/2012 n. 228 nella parte in cui non consentiva l’ammissione al passivo anche dei crediti chirografari); escludeva la sussistenza dei presupposti per riconoscere la rimessione in termini formulata dalla società istante, ben oltre i dieci giorni dal momento in cui sarebbe cessato il caso fortuito o la situazione di forza maggiore che non aveva consentito di rispettare il termine di legge; riteneva che la proposizione, in data anteriore alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, della domanda dinanzi al giudice civile diretta all’accertamento del credito e alla condanna al relativo pagamento, non fosse idonea a ritenere tempestivamente richiesta l’ammissione al passivo, mediante l’applicazione del principio della salvezza degli effetti della domanda rivolta a giudice dichiaratosi incompetente, poiché dalla stessa esposizione della società risultava che quel giudizio civile era ancora pendente, producendo ciò gli effetti della litispendenza che avrebbe imposto la declaratoria di improcedibilità della domanda dinanzi al giudice della prevenzione; infine, rilevava il Tribunale che, seguendo la stessa prospettazione della società istante, il credito azionato era sorto solo nell’anno 2018, quando la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato l’inesistenza dei crediti ceduti alla società di RAGIONE_SOCIALE, sicché il credito azionato era sorto certamente in data successiva al sequestro del patrimonio della società, poi confiscata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ha proposto ricorso la difesa della società RAGIONE_SOCIALE deducendo con il primo motivo violazione di legge, in relazione agli artt. 39 cod. proc. civ., 75, comma 1, cod. proc. pen., 211 disp. att. cod. proc. pen.; art. 1, comma 198 e ss. I. 228/2012; artt. 52 e ss. d. Igs. 159/2011; art. 59 I. 69/2009; artt. 3, 24 e 111 Cost.; art. 6 CEDU; art. 8 direttiva UE 42/2014.
In primo luogo, la società ricorrente lamenta l’omessa valutazione da parte del Tribunale dell’invocata salvezza degli effetti processuali conseguenti alla
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proposizione della domanda (dinanzi al giudice dichiaratosi successivamente incompetente) proposta nei termini; censura, quindi, l’errato richiamo ai principi in materia di litispendenza, dal momento che la disposizione dell’art. 39 cod. proc. civ. non opera nell’ipotesi in cui i giudizi pendano l’uno davanti al giudice civile e l’altro davanti ad altro giudice (nel caso in esame, il giudice della prevenzione).
In ordine alla tempestività della proposta domanda, la società ricorrente rileva che la domanda rivolta al giudice civile per l’accertamento dei crediti nei confronti della società confiscata in via definitiva era anteriore alla pronuncia della Corte costituzionale che aveva esteso ai creditori chirografari il diritto di ammissione del credito; che gli effetti propri della domanda, processuali e sostanziali, si erano realizzati pur se il giudice adito si era successivamente dichiarato incompetente, come affermato dalla giurisprudenza anche per le ipotesi in cui competente a decidere sia un giudice appartenente ad altra giurisdizione; una siffatta interpretazione era l’unica coerente con il principio costituzionale del diritto di azione ex art. 24 Cost., come già affermato da Corte cost. n. 77 del 5/3/2007; nella medesima direzione si è posto il legislatore regolando la translatio iudicii tra diverse giurisdizioni (art. 59, I. 18/6/2009, n. 69).
Concludeva sollecitando in ogni caso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 199, I. 228/2012, diretta a far salvi, ai fini del rispett del termine decadenziale ivi indicato, gli effetti delle domande proposte dinanzi a giudici incompetenti o, in subordine, la proposizione della relativa questione di legittimità costituzionale della stessa norma, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., 6 CEDU, attesa l’evidente disparità di trattamento dell’ipotesi del trasferimento dell’azione dal giudice civile a quello penale, rispetto alle altre ipotesi in cui per diritto vivente, oltre che per espressa disciplina positiva, è riconosciuta l’efficacia della domanda proposta dinanzi al giudice incompetente.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 1, comma 199 e ss., I. 228/2012; 52 e ss. d. Igs. 159/2011; 1173, 1218, 1268 e 1362 cod. civ.; 8 direttiva UE 42/2014; vizio della motivazione.
Il Tribunale aveva errato nell’affermare che il credito azionato dalla società ricorrente era sorto dopo il sequestro disposto nei confronti della società debitrice e, quindi, non poteva esser ammesso secondo la disciplina della I. 228/2012. In particolare, il Tribunale aveva confuso il momento in cui il credito era divenuto esigibile, consentendo quindi alla parte di agire in giudizio, con il momento in cui il credito era sorto, ossia all’atto della conclusione del contratto di RAGIONE_SOCIALE avvenuta nell’anno 2002, ove era prevista l’obbligazione di garanzia da parte del cedente circa l’esistenza del credito, la cui inesistenza originaria che era stata solo accertata in epoca successiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito indicate.
1.1. Seguendo il necessario ordine logico delle questioni che sono state sollevate con il ricorso, occorre in primo luogo verificare se il Tribunale abbia fatto corretta applicazione della regola contenuta nell’art. 52 d. Igs. 159/2011 (norma espressamente richiamata dall’art. 1, comma 200, I. 228/2012 che disciplina la fattispecie in esame), ove è previsto quale presupposto di ammissibilità della domanda di ammissione del credito il carattere dell’anteriorità del credito rispetto al sequestro disposto nel procedimento di prevenzione.
In particolare, va esaminato in primo luogo il tema dell’individuazione del momento genetico del diritto di credito che la società ricorrente vanta nei confronti del titolare del patrimonio confiscato in sede di prevenzione; allo stesso tempo, occorre individuare, nell’interpretazione della regola fissata dall’art. 52 cit., l’esigenza considerata dal legislatore alla base del sistema di tutela delle ragioni dei terzi.
1.2. Il credito della società ricorrente trova la sua origine nella previsione contrattuale contenuta nel contratto di RAGIONE_SOCIALE concluso nell’anno 2002; il creditore cedente, all’atto della stipula, aveva assunto sia l’obbligazione di garanzia dell’esistenza del credito che cedeva alla società di RAGIONE_SOCIALE (conseguendo, così, il riconosciuto beneficio della cessione pro soluto), sia l’obbligazione di corrispondere al cessionario, nell’ipotesi di decadenza dal beneficio per l’accertata inesistenza del credito, le somme che il factor avesse anticipato senza poterle riscuotere dal debitore.
Ritenere, come ha fatto il Tribunale, che il credito per cui è stata chiesta l’ammissione fosse sorto solo in conseguenza dell’accertamento contenuto nella sentenza dei giudici civili (che avevano individuato nelle condotte fraudolente dei responsabili della società cedente e di infedeli funzionari pubblici la causa dell’inesistenza dei crediti ceduti) e, quindi, in epoca successiva al sequestro disposto a fini di confisca in sede di prevenzione, risulta operazione che confonde il momento dell’accertamento delle condizioni per rendere azionabile il diritto del factor con l’epoca in cui quel diritto era sorto, per effetto delle pattuizioni contenute nel contratto di RAGIONE_SOCIALE concluso tra la società RAGIONE_SOCIALE e la società di RAGIONE_SOCIALE, secondo la previsione codicistica dell’art. 1266 cod civ. Quest’ultima norma prevede l’obbligazione di garanzia che il cedente il credito assume circa l’esistenza del credito ceduto; aggiungendo che, ove tale garanzia sia esclusa mediante espresso patto contrattuale, comunque “il cedente resta sempre obbligato per il fatto proprio”, espressione che conferma la preesistenza dell’obbligazione rispetto al momento in cui venga accertato che il credito ceduto
non era esistente (come avvenuto nella specie). La lettura della disposizione è stata puntualmente fornita dalla giurisprudenza di legittimità civile, osservando che l’art. 1266 cod. civ. «configura la garanzia del cedente come un’obbligazione accessoria che è effetto naturale dell’efficacia traslativa immediata del contratto di cessione» (Sez. 3 civ., n. 13853 del 6/7/2020, Rv. 658301-02) rivelando così la diretta connessione dell’obbligazione in esame con la conclusione del contratto di cessione del credito, indipendentemente dal momento in cui si accerti l’operatività in concreto della garanzia e del conseguente obbligo del cedente di corrispondere l’ammontare del credito che il cessionario non ha potuto riscuotere.
La necessità di distinguere il momento in cui l’obbligazione sorge dal momento in cui potrà esser richiesto l’adempimento di quell’obbligazione è coessenziale alla struttura dell’obbligazione; in altri termini, considerando l’assunzione mediante la stipula di un contratto di un’obbligazione, il cui adempimento potrà essere richiesto in funzione del realizzarsi di determinate condizioni, non può dirsi che il credito derivante dall’obbligazione assunta sorgerà in un momento successivo alla conclusione del contratto che resta la fonte di quell’obbligazione; nel diverso momento, che non può essere predeterminato all’atto della conclusione del contratto, in cui la prestazione dedotta in obbligazione diverrà esigibile decorreranno altri effetti giuridici (come per la prescrizione del diritto di credito per eventuali decadenze convenzionali o legali, per il sorgere di ulteriori crediti connessi al ritardo nell’adempimento o al maggior danno conseguente a specifiche condizioni di mercato – : Sez. 3 civ., n. 9428 del 18/12/1987, Rv. 456557 – 01).
Del resto, seguendo la prospettiva assunta dal provvedimento impugnato, si dovrebbe giungere ad affermare che il momento genetico del credito, in ipotesi quale quella sottoposta all’esame del giudice della prevenzione, non solo non è predeterminato, ma addirittura è correlato a contingenze del tutto imprevedibili in quanto dipendente da un accertamento, in sede contenziosa o extragiudiziale, che origina dalla verifica del difetto della qualità del credito che il cedente ha garantito al momento della conclusione del contratto di RAGIONE_SOCIALE; il che fa dipendere dall’iniziativa delle parti, oltre che dall’imponderabile durata di attivi giurisdizionali o di composizione stragiudiziale, l’individuazione del momento in cui sorge il diritto di credito.
1.3. La tesi seguita dal Tribunale per stabilire quando il diritto di credito sia sorto si pone, inoltre, in stridente conflitto con la ratio su cui si fonda il sistema di accertamento dei diritti di credito nell’ambito del procedimento di prevenzione.
Il presupposto dell’anteriorità del credito rappresenta lo strumento giuridico mediante il quale si è inteso assicurare la soddisfazione dei diritti dei terzi, potenzialmente pregiudicati dall’intervento ablatorio disposto nell’interesse dello stato, escludendo la possibilità di costituire ragioni creditorie “di comodo” in grado
di frustare l’esigenza preventiva mediante il recupero dei beni soggetti a confisca, grazie all’intervento di terzi compiacenti (Corte cost. n. 26 del 27/2/2019); per tale ragione, l’individuazione del momento genetico del credito deve essere operata considerando la fonte (negoziale o fattuale) dell’obbligazione da cui deriva il diritto di credito, restando irrilevante il momento in cui il diritto di credito accertato in sede giudiziale o stragiudiziale poiché, ove si dovesse annettere rilievo decisivo a tale accertamento, le ragioni dei creditori in buona fede potrebbero essere irragionevolmente pregiudicate.
Il principio a cui il collegio intende dare seguito è stato espresso, pur se in riferimento ad una fattispecie peculiare, da Sez. 6, n. 13474 del 21/03/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284276 – 01, in relazione ad un’ipotesi di credito per il risarcimento del danno e per le restituzioni sorto da fatto illecito, affermando che la nozione di anteriorità del credito «deve intendersi nel senso che il relativo diritto sia sorto antecedentemente all’applicazione della misura cautelare, non rilevando che esso sia divenuto certo, liquido ed esigibile in un momento successivo».
1.4. Una volta accertata l’anteriorità del credito, alla stregua del principio di diritto su enunciato, deve esser esaminata la censura del ricorrente riguardante il profilo della tempestività della domanda di ammissione al passivo, che il Tribunale ha escluso.
Come risulta dalla ricostruzione in fatto, condivisa dal provvedimento impugnato, la società RAGIONE_SOCIALE (subentrata alle società che avevano originariamente concluso i contratti di RAGIONE_SOCIALE) dopo aver ottenuto il decreto ingiuntivo, per il pagamento dei crediti ceduti dalle società che sarebbero poi state oggetto di confisca in sede di prevenzione, e la condanna in primo grado per l’intero ammontare dei crediti ceduti, si era vista accogliere in grado di appello la domanda di condanna della debitrice RAGIONE_SOCIALE con riduzione delle somme, per l’accertata inesistenza di parte di quei crediti (per effetto di condotte fraudolente poste in essere dai vertici delle società cedenti e da funzionari dell’RAGIONE_SOCIALE, responsabili di condotte di truffa aggravata realizzate mediante l’artificiosa riproduzione di pagamenti già avvenuti). Accertata per tali ragioni la decadenza dal beneficio pro soluto, l’odierna ricorrente aveva introdotto un nuovo giudizio con atto di citazione del 1 luglio 2018, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, per ottenere la restituzione delle somme corrisposte in dipendenza del contratto di RAGIONE_SOCIALE, e nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE per conseguire il risarcimento del danno subìto per aver confidato nell’esistenza dei crediti oggetto delle cessioni, danno cagionato dalle condotte illecite dei funzionari pubblici.
Il Tribunale civile di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 1 febbraio 2022 dichiarava il difetto di competenza in favore della sezione per le misure di prevenzione dello stesso Tribunale.
Il 27 maggio 2022 la società RAGIONE_SOCIALE depositava la domanda di ammissione allo stato passivo dei crediti vantati nei confronti delle società confiscate, ai sensi della I. 228/2012.
Entrambe le ragioni che hanno indotto il Tribunale a ritenere che la domanda di ammissione fosse stata proposta tardivamente (omettendo di valutare l’efficacia della domanda già proposta al giudice civile e ravvisando nella litispendenza tra il giudizio instaurato davanti al giudice civile e quello proposto dinanzi al giudice della prevenzione l’ostacolo alla procedibilità della domanda di ammissione al passivo) non sono fondate.
La successione degli eventi processuali rende palese l’interesse che il creditore ha coltivato prima con la proposizione della domanda al giudice civile (nel 2018), quando non era stata ancora riconosciuta la possibilità, anche per i creditori chirografari, di richiedere l’ammissione al passivo secondo le disposizioni della I. 228/2012, e poi, una volta dichiaratosi quel giudice incompetente – ravvisando la competenza a conoscere della domanda da parte del giudice della prevenzione – , depositando l’istanza di ammissione al passivo.
Era, dunque, compito del giudice della prevenzione verificare se la domanda proposta dinanzi ad un giudice, poi dichiaratosi incompetente, avesse conservato i suoi effetti processuali e sostanziali, ed in particolare quello di evitare l decadenza stabilità dall’art. 1, comma 199, I. 228/2012.
Il principio degli effetti della translatio iudicii , e in particolare della conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta, pur se dinanzi a giudice incompetente (secondo le disposizioni del codice di rito: artt. 44, 45 e 50 cod. proc. civ.) o carente di giurisdizione (art. 59 della I. 18 giugno 2009, n. 59), costituisce espressione del canone costituzionale del diritto alla tutela giurisdizionale e della ragionevole durata del giusto processo secondo la lezione del Giudice delle leggi (in quanto “la conservazione degli effetti prodotti dalla domanda originaria discende (…) direttamente dall’ordinamento, interpretato alla luce della Costituzione”: Corte cost. n. 77 del 12/3/2007; n. 220 del 14/10/1986); non v’è ragione, pertanto, per escluderne l’applicazione nella situazione considerata dai giudici della prevenzione.
Il richiamo alla disciplina della litispendenza, ritenuta di ostacolo all’operare del principio ora ricordato, non è corretto.
La litispendenza, che mira a risolvere l’individuazione del giudice competente rispetto alla medesima controversia, opera pacificamente tra giudizi, aventi ad oggetto la stessa causa, che siano pendenti dinanzi a “giudici diversi” (art. 39 cod.
proc. civ.) e quindi a giudici che non appartengono allo stesso ufficio giudiziario. Nella nozione di giudici diversi non possono, pertanto, essere compresi giudici che appartengono al medesimo tribunale, ma ad articolazioni interne differenti. Secondo un orientamento del tutto consolidato, la distinzione tra le varie sezioni – anche civili e penali – del medesimo tribunale si riferisce a mere articolazioni interne di un unico ufficio, con la conseguente esclusione della possibilità di qualificare le rispettive attribuzioni sia come questione «di giurisdizione, trattandosi di individuare la sfera di attribuzione di magistrati ordinari che esercitano l’identico potere giurisdizionale» (Sez. Unite civili, n. 26296 del 31/10/2008, Rv. 605186 – 01), che come “questione di competenza” nel processo civile (Sez. Unite civili, n. 38596 del 06/12/2021, Rv. 663248 – 01), poiché la questione di competenza, «secondo la nozione desumibile dal codice di procedura civile, configurabile esclusivamente in riferimento a contestazioni riguardanti l’individuazione del giudice al quale, tra i vari organi di giurisdizione in materia civile, è devoluta la cognizione di una determinata controversia» (Sez. 6 civ., n. 14573 del 28/05/2019, Rv. 653942 – 01).
In ragione delle considerazioni che precedono, il provvedimento impugnato dev’essere annullato con rinvio al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, sezione per le misure di prevenzione, che procederà al nuovo esame dell’istanza di ammissione del credito formulata dall’istituto ricorrente applicando i principi di diritto su enunciati.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE misure di prevenzione.
Così deciso il 23 aprile 2024
La Presidente
Il Consig i e Estensore