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Corruzione propria: quando l’atto è contro i doveri

La Corte di Cassazione conferma la condanna per corruzione propria a carico di un cittadino che aveva promesso denaro a un pubblico ufficiale per ottenere la falsificazione di denunce di smarrimento. La sentenza chiarisce la distinzione tra la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) e quella per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.), ribadendo che la redazione di un atto falso costituisce un’ipotesi di corruzione propria.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Corruzione Propria: la Cassazione traccia i confini del reato

La corruzione propria, disciplinata dall’art. 319 del codice penale, rappresenta una delle più gravi forme di illecito contro la Pubblica Amministrazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 21925/2024, offre un’importante occasione per analizzare i contorni di questa fattispecie, distinguendola dalla meno grave ipotesi di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.). Il caso esaminato riguarda la promessa di denaro a un Carabiniere in cambio della redazione di false denunce di smarrimento di documenti.

I fatti del processo

Un cittadino è stato condannato per aver offerto, tramite un’intermediaria, la somma di 600 euro a un Carabiniere. Lo scopo dell’accordo illecito era ottenere la compilazione di due false denunce di smarrimento di documenti d’identità. Tali documenti falsi sarebbero serviti a due suoi connazionali per eludere i controlli presso un centro di prima accoglienza e recarsi illegalmente in Francia.

Il piano, tuttavia, non è andato a buon fine. Le false denunce, infatti, riguardavano documenti di cittadini di un’altra nazionalità, e l’inganno è stato scoperto durante i controlli aeroportuali. La Corte di Appello, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva confermato la condanna per il reato di corruzione, rideterminando la pena. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza stessa del reato di corruzione propria.

Le argomentazioni della difesa e la decisione della Corte

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso su tre motivi principali:
1. Assenza di un patto corruttivo: Si sosteneva la mancanza di un nesso diretto (rapporto sinallagmatico) tra la promessa di denaro e l’atto illecito, affermando che il pubblico ufficiale avesse agito di sua iniziativa, andando oltre le richieste.
2. Errata interpretazione delle prove: La difesa ha contestato l’interpretazione delle intercettazioni telefoniche, ritenendo che dimostrassero solo una richiesta di generica “assistenza” e non un accordo per compiere un atto illecito.
3. Errata qualificazione giuridica: Si chiedeva di ricondurre il fatto alla più lieve fattispecie di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e non a quella di corruzione propria (art. 319 c.p.).

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, dichiarando il ricorso infondato e in parte inammissibile.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha innanzitutto chiarito che i primi due motivi del ricorso erano inammissibili. Essi, infatti, non contestavano un errore di diritto, ma proponevano una diversa lettura dei fatti e delle prove (le intercettazioni), un’attività che è riservata ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere svolta nel giudizio di legittimità della Cassazione. I giudici hanno ritenuto che la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello fosse logica e coerente, avendo correttamente individuato l’esistenza di un patto illecito basato sulla promessa di denaro in cambio della falsificazione dei documenti.

Il punto centrale della sentenza risiede nell’analisi del terzo motivo, relativo alla corretta qualificazione del reato. La Corte ha ribadito la distinzione fondamentale tra le due forme di corruzione:
* Corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.): Si configura quando il pubblico ufficiale viene pagato per mettere a disposizione la propria funzione per interessi privati, compiendo o omettendo atti che rientrano nelle sue competenze, senza che questi siano necessariamente illegittimi. È il caso del cosiddetto “asservimento della funzione”.
* Corruzione propria (art. 319 c.p.): Scatta quando la ricompensa è finalizzata al compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio. Qui non si lede solo il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, ma si realizza una concreta violazione dei doveri imposti dalla legge.

Nel caso specifico, la redazione di una denuncia di smarrimento rientrava nelle funzioni del Carabiniere. Tuttavia, falsificarne il contenuto, attestando un fatto non veritiero nell’interesse dei privati, costituisce un atto intrinsecamente contrario ai doveri di fedeltà, imparzialità e correttezza che gravano sul pubblico ufficiale. Pertanto, la Corte ha concluso che la condotta è stata correttamente qualificata come corruzione propria ai sensi dell’art. 319 c.p.

Le conclusioni

La sentenza n. 21925/2024 consolida un principio chiave in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione: la qualificazione del reato di corruzione dipende dalla natura dell’atto oggetto dell’accordo illecito. Se l’accordo prevede il compimento di un atto specifico e palesemente contrario ai doveri d’ufficio, come la creazione di un documento falso, si integra la più grave fattispecie di corruzione propria. Questa decisione ribadisce il rigore del sistema penale nel sanzionare non solo la generica “messa in vendita” della funzione pubblica, ma soprattutto la sua concreta deviazione verso finalità illecite.

Qual è la differenza tra corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e corruzione propria (art. 319 c.p.)?
La corruzione per l’esercizio della funzione riguarda la remunerazione del pubblico ufficiale per il generico “asservimento” della sua funzione a interessi privati, anche senza compiere atti illegittimi. La corruzione propria, invece, si configura quando la remunerazione è legata al compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio.

È possibile contestare in Cassazione l’interpretazione delle intercettazioni data dai giudici di merito?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove, come le intercettazioni, per fornire una nuova interpretazione. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non ricostruire i fatti.

Perché la falsificazione di una denuncia di smarrimento è stata considerata un atto di corruzione propria?
Perché, sebbene la redazione di denunce rientri nei compiti di un Carabiniere, falsificarne il contenuto attestando fatti non veri nell’interesse di un privato costituisce un atto specifico e palesemente contrario ai doveri d’ufficio, integrando così il reato di cui all’art. 319 c.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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