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Correzione errore materiale: limiti e differenze

La Corte di Cassazione chiarisce i confini della procedura di correzione errore materiale. Il caso riguarda un decreto di archiviazione che includeva un reato mai contestato all’indagata. La Corte ha stabilito che tale vizio non è un semplice errore materiale, ma un errore sostanziale che incide sulla volontà del giudice. Pertanto, non può essere corretto con la procedura ex art. 130 c.p.p., ma doveva essere impugnato per abnormità. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Correzione Errore Materiale: Quando un Errore Giudiziario Non È Solo un Refuso

Nel complesso mondo della procedura penale, la distinzione tra un errore formale e uno sostanziale è cruciale. La procedura di correzione errore materiale, disciplinata dall’art. 130 c.p.p., offre uno strumento agile per rimediare a sviste e refusi, ma i suoi confini sono netti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire quando questo strumento può essere utilizzato e quando, invece, l’errore del giudice richiede un rimedio impugnatorio più complesso, come il ricorso per abnormità.

I Fatti del Caso: Un’Archiviazione Anomala

Una donna veniva indagata per un reato di minaccia, commesso tramite una telefonata. Il procedimento si concludeva rapidamente con un decreto di archiviazione, poiché la persona offesa aveva ritirato la querela e l’indagata aveva accettato tale remissione.

Tuttavia, il decreto di archiviazione emesso dal GIP conteneva un’anomalia: disponeva l’archiviazione non solo per l’episodio della telefonata, ma anche per un’ipotesi di scritto anonimo minaccioso. Il problema era che questo secondo fatto non era mai stato formalmente contestato all’indagata. Ritenendo si trattasse di un palese errore, la difesa presentava un’istanza di correzione errore materiale al giudice dell’esecuzione, chiedendo di emendare il provvedimento e rimuovere il riferimento al reato mai contestato.

Contrariamente alle aspettative, il giudice rigettava l’istanza, sostenendo che accoglierla avrebbe comportato una modifica sostanziale del provvedimento originario. Contro questa decisione, la donna proponeva ricorso in Cassazione.

La Procedura di Correzione Errore Materiale e la Decisione della Corte

Il cuore della questione giuridica ruota attorno alla natura dell’errore commesso dal primo giudice. La difesa sosteneva che si trattasse di un’evidente svista, un errore materiale che alterava la corrispondenza tra la volontà del giudice e la sua manifestazione scritta. La Corte di Cassazione, però, ha sposato una linea interpretativa differente, dichiarando il ricorso inammissibile.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la correzione errore materiale è applicabile solo quando vi è una difformità puramente esteriore tra il pensiero del giudice e il modo in cui è stato trascritto. Si tratta di refusi, errori di calcolo, o altre sviste che non intaccano il processo logico-volitivo che ha portato alla decisione. In altre parole, l’errore non deve far parte del ragionamento del giudice.

Nel caso di specie, secondo la Suprema Corte, l’errore non era una semplice discrepanza formale. Includendo nel decreto di archiviazione anche il riferimento allo scritto anonimo, il GIP aveva compiuto una valutazione, seppur errata, che era entrata a far parte del contenuto decisorio del provvedimento. Correggere tale decreto avrebbe significato modificare la sostanza della decisione, un’operazione che esula dalle finalità dell’art. 130 c.p.p. L’errore, una volta divenuto “partecipe del processo formativo della volontà del giudice”, non può essere emendato con la procedura di correzione, perché ciò equivarrebbe a sostituire una decisione con un’altra.

Le Conclusioni

La Cassazione ha concluso che il vizio del decreto di archiviazione non era un errore materiale, ma un’anomalia talmente grave da configurare un’ipotesi di “abnormità”. L’atto del GIP, disponendo l’archiviazione per un reato mai contestato, si poneva al di fuori del sistema processuale. Pertanto, lo strumento corretto per contestare tale provvedimento non era l’istanza di correzione, ma un’impugnazione specifica per abnormità. Avendo scelto un rimedio giuridicamente errato, il ricorso della donna è stato dichiarato manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile, con condanna al pagamento delle spese processuali.

Qual è la differenza tra un errore materiale correggibile e un errore sostanziale in un provvedimento giudiziario?
L’errore materiale è una difformità esteriore tra il pensiero del giudice e la sua trascrizione (es. un refuso o un errore di calcolo) che non incide sul processo decisionale. L’errore sostanziale, invece, fa parte del processo formativo della volontà del giudice e incide sul contenuto della decisione. Solo il primo può essere corretto con la procedura ex art. 130 c.p.p.

Perché nel caso esaminato la richiesta di correzione dell’errore materiale è stata respinta?
È stata respinta perché l’aver incluso nel decreto di archiviazione un reato mai contestato all’indagata non è stato considerato un mero refuso, ma un errore che faceva parte del contenuto decisionale del provvedimento. Modificarlo avrebbe significato alterare la sostanza della decisione, un’operazione non consentita dalla procedura di correzione.

Qual era il rimedio corretto per contestare il decreto di archiviazione errato?
Secondo la Corte di Cassazione, il vizio era talmente grave da rendere il provvedimento “abnorme”, cioè anomalo rispetto al sistema processuale. Il rimedio corretto sarebbe stato proporre un’impugnazione specifica per abnormità dell’atto, e non un’istanza di correzione di errore materiale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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