Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 28049 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 28049 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato in Angola il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/11/2023 della CORTE di APPELLO di TRIESTE
PARTE CIVILE: COGNOME NOME
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore, AVV_NOTAIO del foro di Udine, che, riportandosi al ricorso, ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 29/11/2023 la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone emessa il 20/10/2020, appellata dall’imputato NOME COGNOME, ha rideterminato la fine inflitta a seguito della condanna di costui per il reato di truffa, in danno della convivente, previa esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen.; ha confermato altresì le statuizioni in favore della costituita parte civile.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia e procuratore speciale, eccependo la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen., sussistendo i presupposti della convivenza di fatto con la persona offesa.
3. Il ricorso non merita accoglimento per infondatezza del motivo.
In realtà, la motivazione della sentenza impugnata perviene alla conclusione secondo cui la causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista per il coniuge dall’art. 649 cod. pen. non si estende al convivente more uxorio, sulla base di una giurisprudenza (Sez. 5, n. 28638 del 21/09/2015, G., Rv. 267367) da ritenersi superata da una più ampia riflessione sulla questione da parte delle sezioni unite; indirizzo – pure richiamato dalla corte territoriale – che aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. pen. nella parte in cui non estende la causa di non punibilità da essa prevista ai rapporti di convivenza (Sez. 5, n. 37873 del 23/05/2019, COGNOME, Rv. 277757; in motivazione la Corte aveva evidenziato che l’introduzione, da parte del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6, dell’art. 574-bis cod. pen. e del comma 1-bis all’art. 649 cod. pen. rendeva palese l’intento del legislatore di voler attribuire rilievo, ai fi dell’operatività della causa di esclusione della pena in esame, all’esistenza di una convivenza qualificata, differenziandola quindi da quella more uxorio).
La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite riguardava l’ipotesi di cui all’art. 384, primo comma, cod. pen. – secondo cui nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis, 371 ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore – e la sua applicabilità al convivente more uxorio.
Trattandosi di una fattispecie di favoreggiamento personale, si è stabilito che, in quanto causa di esclusione della colpevolezza, la previsione normativa è applicabile analogicamente anche a chi abbia commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore (Sez. U., n. 10381 del 26/11/2020, dep. 2021, Fialova, Rv. 280574 – 01).
4.1. Il problema, per quanto d’interesse nel caso in esame, è se anche la causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen. per i fatti previsti dal titolo del Libro II del Codice penale (delitti contro il patrimonio, artt. 624 e segg.) e, quindi, per la truffa, sia applicabile in via analogica al convivente more uxorio, nel senso di escludere la punibilità se la vittima sia legata all’autore del reato da una relazione familiare de facto.
Premesso che il “silenzio” sulle coppie di fatto da parte della c.d. legge Cirinnà del 2016 acquista un significato neutro, spiegabile con l’obiettivo principale della legge di occuparsi delle c.d. unioni civili, e che le convivenze di fatto sono oggetto di una regolamentazione dovuta, soprattutto, agli interventi della giurisprudenza, la pronuncia delle sezioni unite ha individuato le coordinate ermeneutiche nell’ambito di alcuni principi fondamentali del diritto penale, in un’ottic sistematica tesa alla tutela dei diritti nel perimetro circoscritto nel quale si muove l’interprete, in assenza di un intervento legislativo ad hoc.
4.2. All’esimente di cui all’art. 384, primo comma, cod. pen. è stata riconosciuta natura di scusante a struttura soggettiva, che investe direttamente la colpevolezza, con delle importanti ricadute sul piano ermeneutico quando si va a verificarne l’applicabilità ai casi non espressamente considerati.
Il tema – con effetto diretto, come accennato, nel presente giudizio – è quello della possibilità di applicazione analogica in bonam partem dell’art. 384, primo comma, cod. pen., una volta che sia stata esclusa la sua natura di causa di non punibilità in senso stretto.
Posto che il divieto di analogia in materia penale, ricondotto all’art. 25 Cost., non si riferisce all’intera materia penale, ma si rivolge alle sole disposizioni punitive, le sezioni unite hanno escluso l’esistenza di impedimenti di carattere costituzionale che consentano operazioni di interpretazione analogica che operino nel senso di un restringimento dei confini di ciò che è penalmente rilevante, ammettendo l’esperibilità di un intervento analogico in bonam partem (in sostanza, l’art. 25, comma 2, Cost. proibisce solo l’analogia in malam partem).
Riconosciuto il carattere “relativo” del divieto di analogia, riferito alla sol interpretazione delle norme penali sfavorevoli, la pronuncia in commento ha quindi verificato i limiti di un’interpretazione analogica in bonam partem, in presenza di una disposizione generale, come l’art. 14 preleggi, che esclude comunque l’applicazione analogica delle leggi eccezionali.
Le cause di non punibilità in senso stretto, in quanto norme eccezionali, sono considerate escluse dall’applicazione analogica. In questo caso, l’esclusione del ricorso all’analogia è affermata in quanto esse derivano il carattere eccezionale dal fatto che sono riconducibili a valutazioni di opportunità estrinseche rispetto al fatto di reato.
Al contrario, si ritiene che non abbiano carattere eccezionale le cause di giustificazione e quelle di esclusione della colpevolezza, per le quali può riconoscersi uno spazio per l’applicazione analogica.
In particolare, per le scusanti si ritiene che possa negarsi la natura di norme eccezionali ogni qualvolta siano espressione di un principio generale dell’ordinamento, impedendo la punizione in presenza di una condotta che viene
percepita come inesigibile. Queste caratteristiche hanno portato ad escludere la valenza eccezionale dell’art. 384, primo comma, cod. pen. – così come intesa dall’art. 14 preleggi – che non introduce una deroga alle norme generali e che può essere oggetto di un procedimento di applicazione analogica proprio perché espressione dei principi generali nemo tenetur se detegere e ad impossibilia nemo tenetur, riconducibili al principio di colpevolezza di cui all’art. 27, comma 1, Cost., sotto il profilo della necessaria valutazione della possibilità per il soggetto di pote agire diversamente.
4.3. A diverse conclusioni deve giungersi per quanto riguarda la causa di non punibilità in senso stretto di cui all’art. 649 cod. pen., in cui la rinuncia alla pe – come sottolineato dalle sezioni unite – ubbidisce a ragioni di opportunità politica, che sono del tutto estranee al tema del disvalore oggettivo del fatto o della “situazione esistenziale psicologica dell’agente”, posto che la condotta in tal caso non è stata determinata dalla presenza di circostanze peculiari, che hanno influito sulla volontà dell’agente, sì da non potersi esigere un comportamento alternativo.
La deroga, in via eccezionale, all’applicazione della pena, nonostante la consapevole commissione del reato, non consente analogie, operando il divieto di cui all’art. 14 delle preleggi.
Il rigetto del ricorso determina la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 14/06/2024
Il Consigliere estensore
Presidente