Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22822 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22822 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna nel procedimento a carico di
NOME COGNOME nato a Milazzo (ME) il DATA_NASCITA
L
avverso la sentenza del 13/12/2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ravenna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza e di restituire gli atti al giudice di merito per la prosecuzione del giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna impugna la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Ravenna del 13 dicembre scorso, che, in sede di udienza preliminare, ha applicato la pena ad NOME , su sua richiesta e con il consenso del Pubblico ministero, a norma dell’art. 444, cod. proc. pen., per i delitti di maltrattamenti, lesioni personali ed atti persecutori.
2. Il ricorso è sorretto da quattro motivi.
2.1. Con il primo si lamenta la non consentita instaurazione del cd. “patteggiamento”, in quanto avvenuta dopo che, in accoglimento di precedente richiesta dell’imputato, lo stesso giudice aveva emesso ordinanza di ammissione al rito abbreviato: provvedimento – deduce il ricorso – che, una volta emesso, non può essere revocato, se non nel caso eccezionale di nuove contestazioni a sèguito di integrazione istruttoria (art. 441-bis, commi 1-bis e 4, cod. proc. pen.), non verificatosi nel caso di specie.
L’illegittimo accesso al rito ed al correlato premio sanzionatorio determina, dunque, l’illegalità della pena applicata.
Inoltre, per effetto della non consentita trasformazione del rito, l’imputato ha potuto beneficiare dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen., che non avrebbe potuto essergli riconosciuta ove il processo fosse proseguito secondo il già disposto rito abbreviato, dovendo la relativa prestazione risarcitoria intervenire «prima del giudizio» ed avendola egli effettuata, invece, successivamente all’ordinanza ammissiva di tale rito.
2.2. La seconda doglianza consiste nella violazione dell’art. 62, n. 6), cit., in quanto la circostanza attenuante da esso prevista è stata riconosciuta pur in assenza della riparazione integrale del danno, quanto meno di quello relativo alla più grave delle violazioni, essendo state queste ultime ritenute in continuazione tra loro.
2.3. Il terzo motivo consiste nell’illegalità della pena, per essere rimasto privo di sanzione uno dei reati di maltrattamenti.
Nel capo A) dell’imputazione elevata in uno dei due processi poi riuniti all’udienza preliminare, era contestato all’imputato il delitto di maltrattamenti in danno sia della sua compagna che della figlia minore di lei: si trattava, quindi, di due distinti reati, mentre la sentenza impugnata ha individuato quale violazione più grave, ex art. 81, secondo comma, cod. pen., quella di cui a tale capo d’imputazione nel suo complesso ed ha determinato la pena nel minimo edittale, così non applicando alcuna pena per uno di essi.
2.4. L’ultima censura consiste nel difetto di correlazione tra richiesta ex art. 444, cod. proc. pen., e decisione, con riferimento alla sospensione condizionale della pena.
Nel modulo a stampa utilizzato dalle parti per redigere la richiesta di applicazione di pena, era apposta in calce la dicitura “depennare chiaramente le voci che non interessano”; la voce riguardante la sospensione condizionale non è stata depennata, dovendo perciò dedursi che le parti abbiano richiesto l’applicazione del beneficio; la sentenza, invece, non opera alcun cenno a quest’ultimo e non lo concede (non potendo nemmeno farlo, del resto, avendo applicato una sanzione sostitutiva della pena detentiva, così come richiesto dalle parti), mentre avrebbe dovuto respingere l’intera richiesta delle parti, non essendo consentito al giudice accoglierla solo parzialmente.
Il Procuratore generale in sede ha depositato in cancelleria la propria requisitoria, chiedendo di annullare senza rinvio la sentenza e di restituire gli atti al giudice di merito per la prosecuzione del giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È fondato il primo motivo di ricorso, con conseguente superamento ed assorbimento degli altri.
È indiscusso che, all’atto della presentazione della richiesta di “patteggiamento”, il Giudice dell’udienza preliminare avesse già emesso ordinanza di ammissione dell’imputato al rito abbreviato.
Ebbene, l’ordinanza di accoglimento della richiesta di rito abbreviato segna il momento d’inizio del relativo giudizio (così, in motivazione, Sez. U, n. 30200 dei 28/04/2011, Ohonba, Rv. 250348) e, una volta ammesso, il giudizio abbreviato non è revocabile.
Vi è incompatibilità, infatti, tra tale giudizio ed il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti: la differenza di struttura dei due riti, i diversi effetti delle sentenze emesse al loro esito ed il differente regime di impugnazione di queste escludono la convertibilità dell’uno nell’altro; nessuna disposizione, dei resto, disciplina la trasformazione del giudizio abbreviato nel patteggiamento, la cui alternatività, viceversa, è evidenziata da tutte quelle norme che, regolando la facoltà dell’imputato di operare una scelta fra i possibili giudizi speciali, gli impongono un’esplicita opzione tra l’uno o l’altro procedimento (in questi termini, già Sez. U, n. 12752 del 11/11/1994, Abaz, Rv. 199397; nonché, più di recente, in fattispecie del tutto analoga a quella in esame, Sez. 4, n. 42260 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 270881, che ha ribadito la non convertibilità del giudizio abbreviato nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti).
La trasformazione del rito compiuta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ravenna, dunque, è priva di qualsiasi base legale, al punto da rasentare l’abnormità di tipo “strutturale” per carenza di potere in concreto, quella, cioè, che si configura nel caso di esercizio, da parte del giudice, di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, vale a dire completamente al di fuori dei casi consentiti.
Da tanto consegue, peraltro, la possibilità di esperire avverso tale decisione il ricorso per cassazione, pur non versandosi in alcuna delle ipotesi tipicamente individuate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., per l’impugnazione delle sentenze di “patteggiamento”.
In linea generale, infatti, a norma dell’artt. 111, settimo comma, Cost., e dell’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., è sempre consentito il ricorso per cassazione contro le sentenze per violazione di legge.
In particolare, poi, in caso di applicazione di pena ex art. 444, cod. proc. è ricorribile per cassazione la sentenza che ratifichi un accordo illegale, poiché concluso in violazione di una norma processuale stabilita a pena di inammissibilità del rito, vizio deducibile ex art. 606, lett. c), cod. proc. pen., secondo il regime generale delle impugnazioni. I limiti al potere di impugnare previsti dal citato art. 448, comma 2-bis, infatti, si giustificano in relazione alle statuizioni della sentenza che sono ricognitive di un patto fondato sull’accordo delle parti, dal quale l’imputato non può recedere, mentre non si applicano con riguardo alle condizioni di ammissibilità di accesso al rito (così Sez. 6, n. 19679 del 27/0112021, Bove, Rv. 281664).
La sentenza impugnata, in conclusione, dev’essere annullata senza rinvio ed il processo dev’essere rimesso dinanzi al giudice di merito competente per l’ulteriore corso secondo il rito abbreviato, in conformità alla originaria scelta dell’imputato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al G.u.p. del Tribunale di Ravenna per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2024.