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Conversione impugnazione: rimedio a errore processuale

Una terza parte interessata impugna un provvedimento di confisca di un immobile utilizzando un mezzo di gravame errato (il riesame). La Corte di Cassazione, applicando il principio della conversione dell’impugnazione, annulla la dichiarazione di inammissibilità e riqualifica il ricorso come opposizione all’esecuzione, trasmettendo gli atti al giudice competente. La sentenza sottolinea la prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto processuale.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Conversione dell’impugnazione: l’errore non ferma la giustizia

Nel complesso mondo del diritto processuale, un errore formale può talvolta sembrare un ostacolo insormontabile. Tuttavia, il nostro ordinamento prevede dei meccanismi volti a garantire che la sostanza prevalga sulla forma, assicurando che il diritto alla difesa possa essere esercitato efficacemente. Uno di questi principi cardine è la conversione dell’impugnazione, magnificamente illustrato dalla sentenza n. 7026/2024 della Corte di Cassazione. Questa decisione chiarisce come un ricorso, sebbene presentato con uno strumento processuale errato, non debba essere automaticamente respinto se la volontà di contestare il provvedimento è chiara.

I fatti del caso: una confisca transfrontaliera

La vicenda nasce da un provvedimento di confisca emesso da un’autorità giudiziaria tedesca nei confronti di un immobile situato in Italia. Il proprietario formale dell’immobile era stato condannato per reati fiscali in Germania. La figlia, che da anni risiedeva nell’abitazione e sosteneva di esserne la proprietaria di fatto e di essere totalmente estranea ai reati del padre, si è trovata di fronte all’esecuzione di tale confisca da parte del Tribunale di Genova.

Ritenendo ingiusto il provvedimento, la donna, in qualità di terza interessata, ha deciso di impugnare l’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari che disponeva l’esecuzione. Per farlo, ha proposto una richiesta di riesame.

La decisione di primo grado e l’impugnazione in Cassazione

Il Tribunale di Genova ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame. La motivazione era netta: il provvedimento di esecuzione della confisca non ha natura cautelare, ma definitiva ed esecutiva. Il riesame, secondo il codice, è uno strumento previsto specificamente per le misure cautelari (come un sequestro), non per i provvedimenti definitivi. Di conseguenza, il mezzo scelto era legalmente inappropriato.

Contro questa decisione, la difesa della donna ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto comunque esaminare nel merito la sua richiesta, basandosi su norme relative all’ordine europeo di indagine.

Le motivazioni della Corte: l’applicazione della conversione dell’impugnazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ma per ragioni diverse da quelle addotte dalla ricorrente. I giudici supremi hanno prima chiarito che le norme sull’ordine europeo di indagine erano inconferenti, poiché il caso riguardava il riconoscimento di provvedimenti di confisca, disciplinato da un diverso Regolamento Europeo.

Il punto cruciale della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 568, comma 5, del codice di procedura penale, che disciplina appunto la conversione dell’impugnazione. La Corte ha stabilito che, nonostante la ricorrente avesse commesso un ‘error in procedendo’ utilizzando il riesame, questo non doveva comportare l’inammissibilità del ricorso. Il giudice che riceve un’impugnazione errata nella forma deve infatti compiere due verifiche:

1. L’oggettiva impugnabilità del provvedimento: il provvedimento di esecuzione della confisca era effettivamente contestabile.
2. L’esistenza di una ‘voluntas impugnationis’: era evidente l’intenzione della ricorrente di sottoporre a un controllo giurisdizionale l’atto che la pregiudicava.

Poiché entrambe le condizioni erano soddisfatte, il Tribunale non avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità, ma piuttosto riqualificare l’atto. La Cassazione ha quindi ‘convertito’ la richiesta di riesame nel mezzo di gravame corretto, ovvero l’opposizione all’esecuzione (ai sensi dell’art. 667, comma 4, c.p.p.).

Le conclusioni: la sostanza prevale sulla forma

La Corte ha dunque annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata. Ha riqualificato l’originaria impugnazione e disposto la trasmissione degli atti al Giudice per le Indagini Preliminari di Genova, identificato come il giudice competente a decidere sull’opposizione all’esecuzione. Questa sentenza riafferma un principio fondamentale di giustizia: un errore nella scelta dello strumento processuale non può precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale, a condizione che l’intenzione di impugnare sia manifesta e il provvedimento sia legalmente contestabile. La decisione della Cassazione garantisce che il caso della ricorrente venga finalmente esaminato nel merito dal giudice corretto, salvaguardando il suo diritto di difesa.

Cosa succede se si sbaglia il tipo di ricorso contro un provvedimento giudiziario?
Se si utilizza un mezzo di impugnazione errato, ma il provvedimento è oggettivamente impugnabile e l’intenzione di contestarlo è chiara (‘voluntas impugnationis’), il giudice non deve dichiarare il ricorso inammissibile. Deve invece applicare il principio di conversione dell’impugnazione (art. 568, comma 5, c.p.p.), qualificare l’atto nella forma corretta e trasmetterlo al giudice competente.

Perché il ‘riesame’ non era lo strumento corretto in questo caso?
Il riesame è un mezzo di impugnazione previsto dalla legge specificamente per contestare provvedimenti che applicano misure cautelari (come un sequestro preventivo o un arresto). Il provvedimento impugnato, invece, era un ordine di esecuzione di una confisca già decisa, quindi un atto con natura definitiva/esecutiva, non cautelare. Lo strumento corretto era l’opposizione all’esecuzione.

Qual è il principio fondamentale che ha guidato la decisione della Corte di Cassazione?
Il principio guida è stato quello della conversione dell’impugnazione. La Corte ha ritenuto che l’errore procedurale della parte non dovesse comportare una conseguenza così grave come l’inammissibilità, che avrebbe impedito qualsiasi esame nel merito. Ha quindi privilegiato la sostanza (la volontà di contestare un atto lesivo) rispetto alla forma (l’errata scelta del tipo di ricorso).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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