Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17309 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 1 Num. 17309 Anno 2025
Presidente: COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Relatore: COGNOME
PRIMA SEZIONE PENALE
Data Udienza: 31/01/2025
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Ord. n. sez. 75/2025
NOME COGNOME
Relatore –
PU – 31/01/2025
GIORGIO POSCIA
R.G.N. 39187/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato ad Albenga il 14/05/1981 COGNOME NOME nato il 21/07/1966
NOME COGNOME nato il 09/03/1981
inoltre:
COGNOME NOME
COGNOME NOME
COGNOME NOME
RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOME
Lo Giudice NOME
NOME
COGNOME NOME
avverso la sentenza del 20/05/2024 del Tribunale di Savona lette le richieste del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le richieste del difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che ha fatto pervenire memoria, con p.e.c. del 15 gennaio 2025, con la quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
lette le richieste del difensore di ufficio di COGNOME, avv. M. NOME COGNOME che ha fatto pervenire conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le richieste del difensore, avv. S. L. COGNOME che ha fatto pervenire, con p.e.c. del 21 gennaio 2025, memoria con la quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso o in subordine, il rigetto.
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Savona, all’esito di rito ordinario, ha assolto, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dal reato loro ascritto al capo 1 per non aver commesso il fatto e Podestà anche dal reato di cui al capo 2 perché il fatto non sussiste.
Si tratta della contestazione del concorso nell’incendio del deposito di caravan e natanti denominato RAGIONE_SOCIALE , descritto nell’imputazione, avvenuto nella notte del 3 marzo 2017, nonché, per il solo Podestà, della contestazione del delitto di cui all’art. 611 cod. pen. per avere costretto i lavoratori suoi dipendenti COGNOME e COGNOME ad appiccare l’incendio di cui al capo 1 dietro minaccia di licenziamento.
Il Tribunale ha ritenuto che, a fronte delle deposizioni dei testi di polizia giudiziaria, si sarebbe potuta escludere, sulla base di argomenti non smentiti dal consulente tecnico della difesa escusso nel dibattimento, la natura accidentale del rogo con piena riconducibilità dell’evento a dolo dell’agente.
La tesi di accusa individua, quale mandante dell’incendio, COGNOME che avrebbe agito attraverso i suoi dipendenti, minacciando di licenziarli, in caso si fossero rifiutati di agire secondo le sue indicazioni.
A carico di COGNOME sono stati indicati plurimi indizi che, secondo la ricostruzione del Tribunale, sono stati reputati tali da condurre al proscioglimento ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Il movente dell’imputato, nel caso di specie, presenta un margine di ambiguità, a parere del Tribunale. Questo emergerebbe dalle deposizioni delle parti civili e in particolare dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, vicina di casa dell’imputato e comproprietaria del Riviera Parking , la quale ha descritto una stringente prossimità temporale tra l’incendio del rimessaggio e un alterco, intercorso poco prima tra i proprietari del posto e l’imputato, concluso con l’affermazione di quest’ultimo ‘ Federico (COGNOME) ha finito di lavorare ad Albenga ‘. Secondo elemento che collega l’evento al comportamento dell’imputato è la condotta, tenuta dal ricorrente e dalla moglie NOME COGNOME nelle immediatezze, nonché nei giorni successivi contraddistinti dalla totale interruzione dei rapporti di vicinato con le odierne parti civili e dal trasferimento in altri luoghi del nutrito parco autoveicoli della famiglia COGNOME. Ulteriori elementi indiziari indicati nella sentenza impugnata sono emersi da accertamenti
di polizia giudiziaria, sintetizzati in dibattimento dal teste COGNOME il quale, secondo la ricostruzione del Tribunale, ha descritto numerosi contatti telefonici intercorsi tra gli imputati nella notte dei fatti e in ordine alle celle attivate dalle utenze di questi.
Ulteriore atto di indagine di cui si è dato conto nel dibattimento, ha riguardato l’autovettura Porsche Cayenne , in uso a Podestà la cui targa è stata immortalata da due autovelox , ubicati lungo la strada provinciale 6 che separa Albenga da Ortovero.
Nel corso delle indagini preliminari l’insieme degli elementi avevano trovato riscontro nelle dichiarazioni della teste NOME, figlia di NOME, la quale aveva indicato quali responsabili dell’incendio gli odierni imputati, con la precisazione che suo padre era stato obbligato a perpetrare il gesto, dietro minaccia del datore di lavoro. Si tratta di dichiarazioni che il Pubblico ministero ha reputato credibili e che ha chiesto di acquisire, ai sensi dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., all’esito di una deposizione dibattimentale discordante, resa con videocollegamento con il Tribunale sito in Albania, con l’ausilio di un interprete di lingua albanese (il Tribunale evidenzia che, all’esito dell’esame dei testi indiretti, COGNOME, COGNOME e COGNOME le difese avevano chiesto che venisse chiamata a deporre la testimone diretta, ai sensi dell’art. 195, comma 1 e 3, cod. proc. pen.).
Da p. 17 e ss. il Tribunale confuta i singoli elementi indiziari e ne esclude il requisito della precisione e gravità, anche con riferimento alla perquisizione svolta nel mese di giugno del 2017 a distanza di tempo rispetto ai fatti e, in particolare, rispetto al primo sopralluogo dei Vigili del fuoco sul posto. Ancora si contesta il contenuto di conferma delle dichiarazioni della figlia dell’imputato, ricavabili dalle sommarie informazioni testimoniali rese da NOMECOGNOME in data 16 dicembre 2019 e il 26 giugno 2020 acquisite al dibattimento, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., persona che aveva una relazione con la teste all’epoca dei fatti.
Il Tribunale giunge all’ assoluzione di tutti gli imputati reputando non sufficienti le prove raccolte nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Avverso il descritto provvedimento il Procuratore presso il Tribunale di Savona ha proposto tempestiva impugnazione denunciando, con due motivi, inosservanza ed erronea applicazione di legge penale, vizio di motivazione, nonché violazione di cui all’art. 606 lett. d) cod. proc. pen. per mancata assunzione di prova decisiva.
Il ricorrente premette che l’incendio doloso che ha colpito il deposito descritto nell’imputazione ha avuto ampie proporzioni e ha interessato circa 130 mezzi e 40 roulotte per ciascun piano di edificio, come acclarato dai Vigili del fuoco intervenuti nelle immediatezze.
L’indagine è partita, secondo il ricorrente, dopo aver acclarato la natura dolosa dell’incendio, dalle dichiarazioni rese dalla figlia di uno dei ricorrenti odierni, la quale aveva individuato, quale mandante e organizzatore dell’incendio, il datore di lavoro di suo padre, il quale si sarebbe avvalso dell’aiuto materiale dei due coimputati lavoratori alle sue dipendenze presso il campeggio ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ sito in Albenga.
La teste è stata poi risentita dal Tribunale, in data 20 maggio 2024, con videocollegamento dal Tribunale sito in Durres (Albania), occasione nella quale ha ritrattato le dichiarazioni rese nel corso delle indagini assumendo che queste erano state, all’epoca, rese perché, a sua volta, minacciata dall’allora fidanzato NOME COGNOME così concludendo che, in sostanza, aveva mentito nelle indagini preliminari.
Si segnala che la deposizione di NOME COGNOME è stata acquisita, ai sensi dell’art. 512 del codice di rito, attesa la constatata irreperibilità del teste, il quale, in quella sede, aveva raccontato di aver sentito l’imputato rife rire al fratello della donna, di essere stato costretto ad appiccare l’incendio da NOME COGNOME.
2.1. Ciò premesso, l’impugnante sostiene , con una prima censura, che il Collegio è incorso in errore quanto all’operatività del disposto di cui all’art. 500, comma 4, cod. proc. pen. Perché trovi applicazione la norma, infatti, non è necessario discernere se la teste avesse mentito perché sottoposto a minaccia o violenza nelle due occasioni in cui era stata sentita dal pubblico ministero o piuttosto all’udienza svolta in collegamento con il Tribunale albanese.
Sicché, per il ricorrente, indebitamente il Tribunale ha respinto la richiesta del pubblico ministero di acquisire ex art. 500, comma 4, cod. proc. pen. le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari.
I presupposti che, secondo il ricorrente, sono necessari secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova testimoniale sono la sussistenza di elementi concreti per ritenere che il teste è stato sottoposto a pressioni, desumibili da qualsiasi circostanza, purché connotata da obiettiva significatività. Si sostiene che la teste, al momento della sua deposizione presso il Tribunale, versava in stato di intimidazione. La donna, a quell’epoca, si trovava da tempo nel proprio contesto familiare in Albania e le sue dichiarazioni avrebbero, necessariamente, comportato l’incriminazione del padre.
Inoltre, si valorizza, da parte del ricorrente, lo stesso contegno tenuto dalla teste nel corso della sua escussione, durante la quale aveva manifestato inequivoci indici di uno stato di forte soggezione subita all’interno della propria cerchia familiare.
Tale contegno sicuramente può essere tenuto in considerazione secondo la giurisprudenza di legittimità (si richiama, quale precedente Rv. 270155) per la
quale le modalità di deposizione e il contegno tenuto dal teste in dibattimento rappresentano elementi valutabili ai fini delle indebite pressioni esterne da accertare per l’operatività della disposizione di cui all’art. 500, comma 4, cod proc pen.
I testi COGNOME e COGNOME hanno riferito che il fidanzato della donna avrebbe detto loro che NOME aveva paura di parlare per l’eventualità che suo padre fosse venuto a conoscenza delle sue dichiarazioni e la stessa dichiarante, nel corso della deposizione resa al Pubblico ministero, aveva espresso tale preoccupazione.
Il ricorrente, insiste, dunque, nel reputare maggiormente credibili le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari, anche perché assistite da plurimi riscontri che, a parere dell’ impugnante, sarebbero stati indebitamentii trascurati dal Tribunale.
La teste, infatti, immediatamente dopo essere stata escussa in data 8 giugno 2020, si era trasferita in Albania con la sua famiglia compreso il padre e quando era stata escussa in dibattimento, questa si trovava in quello stesso contesto familiare.
La deposizione è avvenuta in un clima di forte omertà, tanto che la teste non voleva nemmeno fornire le proprie generalità e aveva tenuto un contegno (voce tremante, timorosa di dire qualsiasi cosa) espressione di evidente, imposta violenza psicologica. Inoltre, l’escussione era stata possibile solo a seguito della traduzione coattiva presso il Tribunale albanese, a seguito di attivazione di rogatoria internazionale.
La stessa dichiarante, prima, ha sostenuto di essere stata minacciata dal padre e, solo successivamente, di essere stata minacciata dall’allora fidanzato.
Quali riscontri alle originarie dichiarazioni, poi, si richiamano le deposizioni testimoniali rese al dibattimento il 19 ottobre 2022 e il 7 dicembre 2022 dalle tre parti civili che hanno riferito di aver appreso la ricostruzione dei fatti accaduti nella notte del 3 marzo 2017, direttamente dalla ragazza, la quale, nel corso di un incontro organizzato in un bar di Albenga, nel 2019, aveva narrato loro tutti gli accadimenti in termini coincidenti con quelli, poi, formulati al pubblico ministero nel marzo e giugno del 2020.
Si riportano una p. 11 e ss. le testimonianze delle tre parti civili e si richiamano anche le dichiarazioni rese il 26 giugno 2020 dall’ex fidanzato della ragazza, concludendo nel senso che queste dichiarazioni sono perfettamente coincidenti con quelle rese dalla donna al pubblico ministero nonché con quelle rese dal fidanzato di questa, acquisite ai sensi dell’art. 512 del codice di rito.
Le dichiarazioni della teste contengono il riferimento ad affermazioni del padre autoindizianti e di contenuto etero accusatorio nei confronti dei coimputati. Si tratta, quindi, di dichiarazioni che per questa parte devono essere valutate ai sensi dell’art. 192, comma 3, del codice di rito. Riscontro, secondo il Pubblico
ministero, è rappresentato dal movente che ha determinato la condotta. L’incendio avviene nella notte del 3 marzo 2017, poche ore prima vi era stato un alterco per motivi di parcheggio tra Fanetti e Podestà.
Lo stesso Tribunale evidenzia l’esistenza di un movente credibile in capo all’imputato. Esiste, poi, un ulteriore elemento quello dei comportamenti tenuti dall’imputato e dalla moglie nella nottata dei fatti e nei giorni successivi. i due non parlano mai con COGNOME dell’incendio e spostano immediatamente i loro automezzi dal parcheggio condominiale, nel quale non verranno mai più parcheggiati.
Ancora l’analisi dei contatti telefonici avvenuti nella notte del 3 marzo tra Podestà, la moglie e i suoi sottoposti è elemento di prova ben sintetizzato dal teste COGNOME, all’udienza del 14 settembre 2022, che ha illustrato un vero e proprio tourbillon di telefonate, intercorse tra questi soggetti nella notte del 3 marzo 2017. Inoltre, si richiama l’analisi degli autovelox e delle videocamere comunali installate nella strada provinciale INDIRIZZO che collega l’abitazione di Podestà con il deposito di COGNOME
Secondo il ricorrente proprio le affermazioni svolte dal Tribunale per giustificare il fatto che le dichiarazioni della donna rese nelle indagini preliminari non sono acquisibili, ai sensi dell’art 500 comma 4, cod. proc. pen., avrebbero dovuto indurre all’acquisizione di tali dichiarazioni in quanto riscontrate da diversi distinti ulteriori elementi di prova che ne confermano l’attendibilità.
Del resto, secondo la giurisprudenza di legittimità, i riscontri non devono avere lo spessore di prova autosufficiente perché in caso contrario la chiamata da riscontrare non avrebbe alcun rilievo in quanto la prova si fonderebbe su elementi esterni, non sulla chiamata in correità.
2.2. Con una seconda censura, si deduce che, nella parte in cui il Tribunale non ha acquisito le precedenti dichiarazioni della teste di cui si è discusso, l’organo giudicante ha privato l’accusa di una prova decisiva.
Una volta riconosciuto lo stato di intimidazione della testimone il Collegio avrebbe dovuto acquisire ex art. 500, comma 4, cod. proc. pen. le dichiarazioni rese al pubblico ministero, nel marzo e nel giugno del 2020 e valutarne la credibilità confrontandole con il residuo compendio probatorio raccolto nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Il Tribunale peraltro non opera alcun confronto tra le dichiarazioni rese nelle indagini preliminari e quelle rese nel corso dell’escursione testimoniale, né confronta il contenuto di tali dichiarazioni con quelle raccolte nel dibattimento dalle persone offese, parti civili, nonché con le dichiarazioni ex art. 512 cod. proc. pen. acquisite per la irreperibilità del teste.
Peraltro, si tratta di dichiarazioni de relato rispetto alle quali è stata chiesta la escussione del teste riferito, con conseguente inutilizzabilità delle prime ex art 195 cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, osservando che esso è interamente incentrato sul merito, cerca di prospettare una diversa valutazione dei fatti, già compiutamente valutati dal Tribunale, chiedendo una non consentita rivalutazione delle prove in questa sede, e proponendo, peraltro, un’impugnazione meramente esplorativa.
Il difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che ha fatto pervenire memoria, con p.e.c. del 15 gennaio 2025, con la quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso .
Le difese, avv.ti M. DCOGNOME e RAGIONE_SOCIALE COGNOME quest’ultimo a mezzo di memoria del 21 gennaio 2025, hanno chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso o il rigetto.
L’impugnazione, erroneamente proposta come ricorso per cassazione, dev’essere convertita in appello e gli atti vanno conseguentemente trasmessi alla Corte di appello di Genova per il giudizio per le ragioni che s’indicano di seguito.
4.1. Si deve rilevare che il Pubblico ministero, tra i vizi che denuncia, inserisce anche quello di motivazione, nonché vizio di cui all’art. 606 lett. d) cod. proc. pen.
Il vizio di motivazione attiene alla deduzione secondo la quale il Tribunale non avrebbe, debitamente, motivato circa le ragioni per le quali ha reputato di attestarsi sul contenuto delle dichiarazioni rese nel dibattimento dalla teste, rispetto a quelle rese al Pubblico ministero nelle indagini preliminari che lo stesso organo aveva chiesto di acquisire ex art. 500 comma 4 cod. proc. pen.
4.2. Appare necessario, comunque, precisare che, ad avviso del Collegio, il testo dell’art. 593 cod. proc. pen., come modificato dalla legge 9 agosto 2024, n. 114 (che ha circoscritto la legittimazione del pubblico ministero ad appellare determinate sentenze di proscioglimento), non si applica in riferimento alla sentenza qui impugnata, siccome essa è stata emessa in tempo antecedente (in data 20 maggio 2024) all’entrata in vigore della richiamata innovazione processuale.
Si ritiene, infatti, di dover condividere il principio di diritto secondo cui, in tema di impugnazioni, le sentenze di proscioglimento, emesse prima del 25 agosto 2024, data di entrata in vigore della suddetta legge n. 114 del 2024, possono essere appellate dal pubblico ministero anche nel caso in cui riguardino i reati indicati dall’art. 550, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non applicandosi la preclusione prevista dall’art. 593, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. p), della richiamata legge: in assenza di disciplina transitoria, il principio tempus regit actum determina l’operatività del regime impugnatorio previsto all’atto della pronunzia della sentenza, essendo quello il momento in cui sorge il diritto all’impugnazione.
4.3. Chiarito ciò, deve osservarsi che i reati di cui all’imputazione sono delitti puniti con la sola pena detentiva e, quindi, per questi non è sancita l’inappellabilità stabilita dall’art. 593 cod. proc. pen. , vigente ratione temporis , in relazione alle sentenze di proscioglimento riguardanti reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena alternativa. Di qui l’a mmissibilità da parte del Pubblico ministero dell’appello in via ordinaria, salvo a proporre ricorso per saltum , ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen.
In definitiva, nella specie si verte in uno dei casi di ricorso per cassazione proposto dal Pubblico ministero, in sostanza, per errore nella scelta del mezzo, con conseguente ammissibilità della conversione ex art. 569, comma 3, cod. proc. pen.
Invero, l ‘inappellabilità stabilita dall’art. 593 cod. proc. pen., nel testo applicabile in questo snodo, in relazione alle sentenze di proscioglimento, riguarda, infatti, soltanto i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena alternativa. Sicché, nel caso che ci occupa, il Pubblico ministero poteva o appellare la decisione in via ordinaria o proporre ricorso per cassazione per saltum , ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen., ovviamente nei limiti dei vizi e dei motivi consentiti da ciascun mezzo d’impugnazione.
Pertinente si reputa, al riguardo, richiamare il principio espresso da questa Corte -che si condivide e ribadisce -secondo cui «il ricorso per cassazione, che contenga tra i motivi, la censura di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., relativa a vizi di motivazione della sentenza impugnata, non può essere proposto per saltum , e, se proposto, deve essere convertito in appello ai sensi dell’art. 569, comma 3, cod. proc. pen.» (Sez. 4, n. 1189 del 10/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274834).
Ma -si precisato -ciò può avvenire a condizione che «l’impugnante, per ignoranza o non corretta interpretazione delle norme processuali, abbia errato, in buona fede, nell’individuazione del mezzo di impugnazione da utilizzare, e non anche se abbia voluto deliberatamente provocare il sindacato del giudice sovraordinato con un mezzo d’impugnazione diverso da quello correttamente proponibile» (Sez. 3, n. 1616 del 22/11/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 285738 -01; Sez. 6, n. 1108 del 06/12/2022, dep. 2023, G., Rv. 284333 -01).
Invero, nel caso in cui una parte (nella specie, il Pubblico ministero) proponga il ricorso immediato per cassazione di cui all’art. 569, comma 1, cod. proc. pen., deducendo motivi che introducono questioni previste dal comma terzo di detta disposizione , non può conseguire la conversione del ricorso per cassazione in appello se le doglianze siano formulate in modo generico e astratto al punto di non essere idonee a concretare l’interesse all’impugnazione di cui all’art. 568, comma 4 cod. proc. pen., cioè a conseguire l’effetto -attraverso l’eliminazione di un provvedimento
pregiudizievole -di ottenere una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante, rispetto a quella esistente.
In tal caso, la Corte di cassazione deve dichiarare inammissibili i motivi in tal modo formulati (Sez. 1, n. 44602 del 15/07/2022, NOME COGNOME COGNOME, Rv. 283746 -01; Sez. 2, n. 48344 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 230536; Sez. 6, n. 12975 del 10/06/1998, COGNOME, Rv. 212309).
Si demanda, pertanto, una necessaria indagine dell’effettiva volontà del ricorrente al fine di accertare se egli abbia voluto o no deliberatamente impugnare il provvedimento con un mezzo o con motivi diversi da quelli consentiti, con la consapevolezza sia dell’improponibilità del mezzo strumentalmente prescelto e dichiarato, sia dell’esistenza di altro e unico rimedio processuale, appositamente predisposto dal sistema e dallo stesso ricorrente rifiutato.
4.4. Tanto premesso, la lettura della proposta impugnazione -com’è reso chiaro dalla sintesi fatta in premessa -rende evidente che il Pubblico ministero abbia dedotto prevalentemente questioni riconducibili al vizio di motivazione della sentenza (certamente non deducibili con il ricorso per saltum ), sebbene quello riguardante l’omessa attivazione dei poteri istruttori in relazione a prova indicata come decisiva, sia vizio ricondotto alla violazione di legge (tra le altre, Sez. 3, n. 10488 del 17/02/2016, Nica, Rv. 266492 – 01).
Centrale, invero, appare la deduzione di omessa motivazione sulla ragione per la quale il Tribunale non ha acquisito le prime dichiarazioni rese dalla teste, senza precisare i motivi di quelle rese al dibattimento, nelle quali la teste aveva ritrattato la precedente versione, non siano frutto di intimidazione. Peraltro (v. p. 21) si dà atto che vi è stata difficoltà nell’escussione, sia per la presenza dell’interprete per la lingua, sia per gli interventi del giudice albanese che correggeva la inesatta traduzione, dando atto, comunque, di minacce nei confronti della teste, pur specificando di non comprendere dalla deposizione resa al dibattimento se le minacce provenissero dal padre o dall’ex fidanzato.
Ebbene, in un caso come quello che ci occupa, la doverosa indagine sulla volontà della parte finalizzata a stabilire di quale mezzo d’impugnazione la stessa abbia inteso effettivamente avvalersi consente di ritenere che il Pubblico ministero abbia proposto ricorso per cassazione in modo non deliberato, in sostanza per errore nella scelta del mezzo, che può e deve essere convertito ai sensi dell’art. 569, comma 3, cod. proc. pen.
Ciò, in primo luogo, perché il ricorso per cassazione proposto per saltum da qualsiasi parte processuale e, quindi, anche dal Pubblico ministero, che contenga tra i motivi, pur se in via subordinata, la censura di cui all’art. 606, comma primo, lett. d) ed e), cod. proc. pen., deve essere convertito in appello ai sensi dell’art. 569, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 1189 del 10/10/2018,
dep. 2019, COGNOME, Rv. 274834 – 01; Sez. 3, n. 48978 del 08/10/2014, COGNOME, Rv. 261208 – 01).
In secondo luogo perché, ad avviso del Collegio, a fronte di casi dubbi, deve privilegiarsi il tipo ordinario di gravame, talché, ove -come nel caso in scrutinio -vi sia una formale denuncia di difetto e manifesta illogicità della motivazione e il contenuto delle censure, che letteralmente deducono anche violazione di legge, le riveli, invece, come dirette avverso la valutazione delle prove in ordine ad una questione di mero fatto, il ricorso dev’essere convertito in appello (Sez. 2, n. 17297 del 13/03/2019, Sezze, Rv. 276441 – 01; Sez. 2, n. 1848 del 17/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258193 – 01).
Ne deriva la conversione del ricorso proposto in appello, con trasmissione degli atti alla Corte territoriale competente per il gravame.
P.Q.M.
Convertito il ricorso in appello, dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Genova per il giudizio.
Così deciso il 31 gennaio 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME